26/05/2020 - Dal D.L. Cura Italia al D.L. Rilancio: come cambia il lavoro nella P.A. attraverso il lavoro agile
tratto da quotidianogiuridico.it
Dal D.L. Cura Italia al D.L. Rilancio: come cambia il lavoro nella P.A. attraverso il lavoro agile
lunedì 25 maggio 2020
di Rossi Stefano - Ispettore del lavoro presso la ITL di Bari e Dottorando presso l’Università di Taranto
L’efficacia e l’efficienza di una struttura pubblica dipende essenzialmente dalla dimensione dinamica della sua organizzazione, capace di affrontare le sfide che provengono dall’esterno, risolvere le criticità e i problemi attraverso la valorizzazione delle professionalità e delle competenze delle risorse umane presenti al suo interno. Per realizzare un modello organizzativo efficiente e resistente ai cambiamenti interni ed esterni, provocati dall’emergenza epidemiologica da Covid-19, è fondamentale creare sinergie e relazioni che rendano osmotico il passaggio di informazioni, competenze e know how tra interno ed esterno dell’organizzazione. L’attuale crisi economica e sociale indotta dall’emergenza sanitaria deve rappresentare l’occasione per ripensare all’istituto del lavoro agile quale strumento per contemperare l’esigenza di un’indifferibile modernizzazione del servizio pubblico e la valorizzazione del capitale umano presente nelle pubbliche amministrazioni, senza, tuttavia, dimenticare che la stretta connessione tra l’esecuzione della prestazione smart e il raggiungimento del risultato produttivo descrive lo scopo sotteso al lavoro agile, che consiste, quindi, in un risparmio dei costi di gestione degli spazi interni, in una diminuzione del tasso di assenteismo e in una più efficiente gestione del tempo di lavoro da parte del lavoratore.
Il profluvio dei provvedimenti normativi ed amministrativi di quest’ultimi mesi, tesi ad arginare la gravissima emergenza epidemiologica da Covid-19 in atto, hanno anche lo scopo di garantire la continuità dell’azione amministrativa bilanciandola con la tutela della salute del personale della P.A.
Oggi si assiste ad una difficile opera di bilanciamento degli interessi e principi di rilievo costituzionale che spaziano, tra gli altri, dal diritto alla salute (art. 32 Cost.), al diritto all’iniziativa economica (art. 41 Cost.), al principio del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97). In realtà nell’operazione di comparazione non esiste una regola statica o universale di prevalenza o cedevolezza di un diritto su un altro, ma è necessario procedere ad una valutazione lasciata alla regola del “caso per caso” per poter affermare la conformità di una disposizione alla Carta costituzionale.
Al netto, quindi, di eventuali eccezioni di incostituzionalità che potrebbero tacciare la normativa emanata, il d.l. n. 18/2020, convertito con modificazioni nella legge n. 27/2020, disciplina una serie di misure straordinarie finalizzate all’esecuzione della prestazione di lavoro da parte dei lavoratori del comparto pubblico.
Inoltre, il d.l. n. 34/2020, c.d. «decreto Rilancio», è intervenuto a modificare ulteriormente il d.l. n. 18/2020 e ha introdotto nuove misure in tema di lavoro agile.
Prima di affrontare le particolari fattispecie disciplinate nei predetti decreti, è necessario ripercorrere le tappe che hanno condotto all’attuale formulazione del lavoro agile nella PA.
Il Governo spinto dall’inarrestabile diffusione del contagio da Covid-19 ha utilizzato lo strumento amministrativo dei DPCM e solo successivamente ha regolamentato il fenomeno con la decretazione d’urgenza. A parte la dibattuta problematica della legittimità dei provvedimenti di alta amministrazione, in particolare i DPCM, a disciplinare la limitazione di alcuni fondamentali diritti di rilievo costituzionale, nonché a derogare ad una disciplina di rango superiore (legge o decreto legislativo che sia), la regolamentazione del lavoro nella PA è apparsa, almeno in prima battuta, alquanto frastagliata e sconnessa dalla primaria esigenza di garantire la continuità dell’azione amministrativa, soprattutto, in un momento in cui i servizi pubblici assumono un fondamentale ruolo per la tutela degli interessi economici e sociali della collettività, dei cittadini e delle imprese in primis.
L’analisi che seguirà non terrà in considerazione i servizi per le emergenze ed i servizi pubblici essenziali direttamente coinvolti nella gestione dell’emergenza ai quali sono dedicate numerose norme del d.l. n. 18/2020; devono, invece, essere valutati, ai nostri fini, i DPCM di marzo e quello del 26 aprile 2020, tutti adottati sulla base del disposto di cui all’art. 3, comma 1, d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito in l. 5 marzo 2020, n. 13.
Così, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi dell’epidemia in corso, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. e), DPCM 8 marzo 2020 – disposizione la cui efficacia è stata estesa dall’art. 1, comma 1, DPCM 9 marzo 2020 all’intero territorio nazionale – il legislatore ha anzitutto raccomandato «ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere […] la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e di ferie».
Al medesimo scopo, ma tenendo conto al contempo dell’esigenza di salvaguardare la continuità dell’azione amministrativa, l’art. 1, n. 6, DPCM 11 marzo 2020 ha disposto che, sull’intero territorio nazionale, «le pubbliche amministrazioni assicurano lo svolgimento in via ordinaria delle prestazioni lavorative in forma agile del proprio personale dipendente, anche in deroga agli accordi individuali e agli obblighi informativi di cui agli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81 e individuano le attività indifferibili da rendere in presenza». Peraltro, per quanto riguarda il lavoro agile, nei confronti dei datori di lavoro privati trovano applicazione delle misure differenti, ovvero quelle di cui all’art. 2, comma 1, lett. r), DPCM 8 marzo 2020, nonché quelle di cui all’art. 1, n. 7, lett. a), e n. 10, del DPCM 11 marzo 2020. La principale differenza tra queste misure e quelle valevoli nei confronti delle pubbliche amministrazioni sta nel fatto che queste ultime, a differenza dei datori di lavoro privati, sono esentate sia dall’obbligo di consegnare al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza l’informativa scritta di cui all’art. 22, comma 1, l. n. 81 del 2017 sui rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di svolgimento della prestazione di lavoro, sia da quello di effettuare le comunicazioni obbligatorie di cui al successivo art. 23, comma 1.
Sempre in tema di lavoro agile, giova ricordare come l’art. 18, comma 5, d.l. n. 9/2020 abbia modificato l’art. 14, comma 1, l. 7 agosto 2015, n. 124, sopprimendo l’inciso «per la sperimentazione». Sul punto, la Circolare del Ministro per la pubblica amministrazione 4 marzo 2020, n. 1, recante «Misure incentivanti per il ricorso a modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa», chiarisce che «per effetto delle modifiche apportate […], è superato il regime sperimentale dell’obbligo per le amministrazioni di adottare misure organizzative per il ricorso a nuove modalità spazio temporali di svolgimento della prestazione lavorativa con la conseguenza che la misura opera a regime».
Altra disposizione finalizzata ad incentivare modalità flessibili della prestazione, in primis il lavoro agile, è l’art. 18, comma 1, d.l. n. 9/2020, ai sensi del quale, «allo scopo di agevolare l’applicazione del lavoro agile […] quale ulteriore misura per contrastare e contenere l’imprevedibile emergenza epidemiologica, i quantitativi massimi delle vigenti convenzioni-quadro di Consip S.p.A. per la fornitura di personal computer portatili e tablet possono essere incrementati sino al 50 per cento del valore iniziale delle convenzioni». La scarsità delle risorse finanziarie a disposizione per l’acquisto di nuove strumentazioni informatiche ha portato il Ministero a precisare nella Circolare n. 1 del 2020 che, «a fronte dell’indisponibilità o insufficienza di dotazione informatica da parte dell’amministrazione», è in ogni caso possibile ricorrere a «modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa anche nei casi in cui il dipendente si renda disponibile ad utilizzare propri dispositivi», con l’obbligo – in questo caso – di garantire «adeguati livelli di sicurezza e protezione della rete secondo le esigenze e le modalità definite dalle singole pubbliche amministrazioni» (art. 3). Nella medesima direzione si era posta anche la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 1° giugno 2017, n. 3, recante «Indirizzi per l’attuazione dei commi 1 e 2 dell’articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124 e linee guida contenenti regole inerenti all’organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempo di vita e di lavoro dei dipendenti» (in particolare il par. 1.D).
In continuità con le precedenti disposizioni si registrano due norme all’interno del d.l. n. 18/2020, l’art. 75 rubricato «Acquisti per lo sviluppo di sistemi informativi per la diffusione del lavoro agile e di servizi in rete per l’accesso di cittadini e imprese» e l’art. 87-bis, introdotto dalla legge di conversione n. 27/2020, rubricato «Misure di ausilio allo svolgimento del lavoro agile da parte dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e degli organismi di diritto pubblico», finalizzate entrambe a semplificare le procedure di aggiudicazione nelle gare di appalto con l’esclusione della pubblicazione del bando di gara.
Anche il d.l. n. 34/2020 è intervenuto sul tema con l’art. 6 che deroga alle riduzioni di spesa per la gestione del settore informatico prevista dall’art. 1, cc. 610 e 611, della legge 27 dicembre 2019, n. 160. La disposizione mira a ripristinare, per il solo esercizio finanziario 2020, la disponibilità delle risorse finanziarie originariamente allocate in capo al Ministero della salute per la gestione del settore informatico, in ragione dell’intervenuta emergenza sanitaria. In particolare, il Ministero della salute deve fronteggiare notevoli spese di gestione afferenti al settore informatico, che derivano, oltreché dall’incremento del servizio informativo per lo smart working dei dipendenti, dall’incremento delle infrastrutture e degli strumenti di cui si avvale, quali il portale internet istituzionale, il numero d’emergenza “1500” (il cui pieno funzionamento anche in orari notturni e festivi richiede il potenziamento del servizio di videoconferenza), eventuali applicazioni per telefonia mobile per l’adozione di misure di contenimento e biosorveglianza, nonché sistemi di interconnessione dei dati raccolti.
D’interesse è anche la Direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione 12 marzo 2020, n. 2, recante «Indicazioni in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165» - che ha provveduto a sostituire la Direttiva 25 febbraio 2020, n. 1 – secondo la quale le P.A., di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, devono ridurre la presenza dei dipendenti pubblici negli uffici e evitare il loro spostamento. Inoltre, la direttiva precisa che la misura non deve pregiudicare lo svolgimento dell’attività amministrativa da parte degli uffici pubblici, ma anche che è necessario contemperare tale valore con l’interesse alla salute pubblica, pertanto, nell’esercizio dei poteri datoriali le PA assicurano il ricorso al lavoro agile come modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa. Dunque, le stesse sono tenute a limitare «la presenza del personale negli uffici ai soli casi in cui la presenza fisica sia indispensabile […], adottando forme di rotazione dei dipendenti per garantire un contingente minimo di personale da porre a presidio di ciascun ufficio, assicurando prioritariamente la presenza del personale con qualifica dirigenziale in funzione del proprio ruolo di coordinamento». Mentre, «per le attività che, per la loro natura, non possono essere oggetto di lavoro agile, le amministrazioni, nell’esercizio dei propri poteri datoriali, adottano strumenti alternativi quali, a titolo di esempio, la rotazione del personale, la fruizione degli istituti di congedo, della banca ore o istituti analoghi, nonché delle ferie pregresse nel rispetto della disciplina definita dalla contrattazione collettiva».
La situazione economica e sociale del Paese, durante l’avvicendarsi delle disposizioni normative e regolamentari, ha subito (e sta subendo) una profonda deregolamentazione e destrutturazione con gravi ripercussioni sui redditi delle famiglie e delle imprese, incidendo, altresì, sulla tenuta del mercato del lavoro. Procedendo ad un’analisi cronologica delle disposizioni, il d.l. n. 18/2020 introduce due misure urgenti e straordinarie per fronteggiare la crisi sanitaria, le quali impattano anche sul settore pubblico, gli artt. 26 e 87, rispettivamente rubricati «Misure urgenti per la tutela del periodo di sorveglianza attiva dei lavoratori del settore privato» (in realtà il c. 2 coinvolge anche i lavoratori pubblici) e «Misure straordinarie in materia di lavoro agile e di esecuzione dal servizio e di procedure concorsuali». A queste due disposizioni si deve aggiungere anche l’art. 39, comma 1, rubricato «Disposizioni in materia di lavoro agile», che tutela i lavoratori disabili dipendenti delle PA.
Le accennate disposizioni sono state modificate, in sede di conversione, dalla legge n. 27/2020 e contestualmente sono stati abrogati i dd.ll. 2 marzo 2020 n. 9, 8 marzo 2020 n. 11, 9 marzo 2020 n. 14, con conservazione degli effetti e dei rapporti giuridici sorti in virtù degli atti e dei provvedimenti emanati.
La legge di conversione riscrive integralmente il comma 2 dell’art. 26 d.l. n. 18/2020 stabilendo che «Fino al 30 aprile» ai lavoratori privati e pubblici in possesso dellecertificazioni di disabilità con connotazione di gravità o in condizioni di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o terapie salvavita, il periodo di assenza dal servizio è equiparato al ricovero ospedaliero di cui all’art. 87, comma 1. In definitiva, le persone c.d. “fragili” secondo la definizione data dalla Convenzione dell’ONU del 13 dicembre 2006, sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, sono maggiormente esposte al rischio del contagio e pertanto il decreto tutela non solo la loro salute ma anche il mantenimento del reddito, come può accadere per i lavoratori in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all’art. 1, comma 2, lett. h) e i) d.l. n. 6/2020 e art. 1, comma 2, lett. d) e e), d.l. n. 19/2020, convertito in l. n. 13/2020.
La data di entrata in vigore della legge di conversione coincide, tuttavia, con la scadenza della misura, rendendola, in prima istanza, inapplicabile. Con l’art. 74 d.l. n. 34/2020 il Governo è intervenuto a modificare il termine di scadenza spostandolo al 31 luglio 2020, senza disciplinare, tuttavia, le conseguenze della mancata applicazione della misura nel periodo intercorrente tra il primo maggio e l’entrata in vigore del c.d. «decreto rilancio».
La tutela dei lavoratori disabili è presente anche nel comma 1 dell’art. 39 d.l. n. 18/2020 secondo cui fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, i lavoratori dipendenti disabili nelle condizioni di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità nelle condizioni di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile ai sensi dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. La misura è estesa anche ai lavoratori immunodepressi e ai familiari conviventi di persone immunodepresse. L’estensione, però, non coincide dal punto di vista soggettivo con la previsione dell’art. 87, con la conseguenza che i soggetti affetti da patologia oncologiche, per i quali quindi non opera la priorità nello svolgimento del lavoro agile, potranno usufruire solo della misura dell’equiparazione del periodo di assenza dal servizio al ricovero ospedaliero ex art. 87, senza che li si possa imporre lo svolgimento del lavoro agile, determinando, perciò, una disparità di trattamento tra soggetti comunque rientranti nella categorie delle persone c.d. “fragili”.
Altra disparità di trattamento è contenuta nell’art. 90 d.l. n. 34/2020 che consente il diritto di svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile, anche in assenza degli accordi individuali, ai genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore.
Norma cardine e di portata generale in materia di pubblico impiego – così la definisce la Direttiva n. 2/2020 – è l’art. 87 d.l. n. 18/2020, che ha subito importanti modifiche in sede di conversione, completata poi con l’art. 263 d.l. n. 34/2020.
La disposizione, in particolare, in continuità con la precedente normativa emergenziale, afferma che per la durata dello stato di emergenza epidemiologica, ovvero fino ad una data antecedente stabilita con DPCM su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nella PA.
L’obiettivo è quindi quello di contemperare la tutela della salute dei dipendenti pubblici, riducendo la loro presenza nei luoghi di lavoro, con l’esigenza di garantire la continuità dell’azione amministrativa per tutte le attività ritenute indifferibili che dovranno, perciò, essere svolte con la necessaria presenza del personale. A tal fine – prosegue la norma – si prescinde dall’accordo individuale e dagli obblighi informativi previsti dagli artt. da 18 a 23 l. n. 81/2017.
La deroga, in realtà, non attiene all’intero impianto normativo previsto dai suddetti articoli, ma al solo accordo individuale e agli obblighi informativi, pertanto, troveranno applicazione il rispetto dei tempi di lavoro previsti dalla contrattazione collettiva e dal d.lgs. n. 66/2003, il divieto di mutamento di mansioni e, in generale, del trattamento economico e normativo, della tutela della sicurezza e salute, nonché della tutela contro gli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.
Le criticità, invece, si registrano sugli artt. 19 e 21 l. n. 81/2017 che attengono strettamente ai profili sostanziali dell’accordo. In particolare, non sarà necessaria la forma scritta – richiesta ai fini della regolarità amministrativa e della prova - «anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L’accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro». Strettamente connesso è l’art. 21, anch’esso derogato, secondo cui l’accordo disciplina anche le modalità di esercizio del potere di controllo sulla prestazione di lavoro resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali e individua le condotte che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari. Quindi, la mancanza di un accordo scritto potrebbe determinare l’inconsistenza dell’esecuzione della prestazione con riflessi, perciò, anche sull’eventuale provvedimento disciplinare per il mancato adempimento della prestazione di lavoro. A tal fine le amministrazioni, nell’esercizio dei poteri datoriali, possono prevedere una reportistica giornaliera sugli obiettivi raggiunti dal lavoratore agile. La stretta connessione tra l’esecuzione della prestazione smart e il raggiungimento del risultato produttivo rappresenta infatti lo scopo sotteso al lavoro agile, che consiste, quindi, in un risparmio dei costi di gestione degli spazi interni dell’amministrazione oppure in una diminuzione del tasso di assenteismo o ancora in una più efficiente gestione del tempo di lavoro da parte del lavoratore.
Altra rilevante problematica attiene al profilo della tutela e della sicurezza del lavoro reso in modalità agile, poiché l’art. 87 d.l. n. 18/2020 deroga all’informativa di cui all’art. 22 l. n. 81/2017 in merito ai rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro e alle comunicazioni relative all’assicurazione obbligatoria per gli infortuni e le malattie professionali prevista dall’art. 23 l. n. 81/2017. In realtà, l’esonero della informativa impatta sul profilo formale e non sostanziale della tutela, conservando, quindi, la responsabilità del datore di lavoro, desumibile dall’art. 2087 c.c. e dal d.lgs. n. 81/2008, in tema di salute e sicurezza del lavoratore ovvero per infortuni e malattie professionali occorse al prestatore durante lo svolgimento della prestazione lavorativa.
L’art. 87 d.l. n. 18/2020 stabilisce altresì che «La prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dall’amministrazione» In questi casi il datore di lavoro non è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Una disposizione simile è stata prevista anche nel settore privato dall’art. 96 d.l. n. 34/2020 in cui si prevede che «la prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dal datore di lavoro», tuttavia, la norma non prevede l’esclusione di responsabilità per il non corretto uso dei mezzi informatici.
Al fine di ovviare ad alcuni di queste criticità, la circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 2/2020 ha fornito indicazioni operative alle PA interessate.
Ribadendo che il lavoro agile rappresenta la forma ordinaria di svolgimento dell’attività lavorativa per i dipendenti pubblici, la circolare chiarisce che la presenza del personale negli uffici deve essere comunque limitata ai solo casi in cui la presenza fisica sia indispensabile per lo svolgimento delle attività strettamente necessarie alla gestione dell’emergenza e le attività indifferibili con riferimento sia all’utenza interna (pagamento stipendi, attività logistiche necessarie all’apertura e la funzionalità dei locali), sia all’utenza esterna. La presenza del personale dovrà essere attuata attraverso forme di rotazione per garantire un contingente minimo di personale da porre a presidio di ciascun ufficio, restando inteso che il dipendente non è autorizzato a non presentarsi al lavoro, ma dovrà essere l’amministrazione a comunicare la specifica modalità di esecuzione della prestazione, anche in riferimento al luogo. Quindi, per lo svolgimento del lavoro agile non dovrà essere il dipendente a farne richiesta, ma dovrà essere l’amministrazione di appartenenza, a disporre lo smart working con modalità semplificate e temporanee di accesso alla misura.
La predetta circolare n. 2/2020 ha fornito anche alcuni chiarimenti operativi: primo, nell’ipotesi di assunzione di nuovo personale il periodo di prova non è incompatibile con la modalità di lavoro agile; secondo, il buono pasto non scatta automaticamente ma sarà necessario un confronto con le organizzazioni sindacali; terzo, il lavoratore agile non ha diritto a prestazioni di lavoro straordinario.
Tornando al tema dell’individuazione delle attività indifferibili, è stata emanata, all’indomani della conversione del d.l. n. 18/2020, la direttiva n. 3/2020 del Ministero della pubblica amministrazione chiarendo che il DPCM del 26 aprile 2020 (c.d. “Fase due”), che, per quanto concerne la PA, rinvia all’art. 87 d.l. n. 18/2020, convertito, nel frattempo, con modificazioni, dalla legge n. 27/2020 (artt. 1, lett. gg) e hh) e 2), ha ampliato il novero delle attività economiche (cfr. allegato 3 con indicazione dei codici Ateco) non più soggette a sospensione, con conseguente rivisitazione da parte della PA delle attività ritenute nella prima fase come indifferibili. Al riguardo, perciò, per garantire la continuità dell’azione amministrativa dovranno essere selezionate quelle attività da rendere in presenza per assicurare il necessario supporto all’immediata ripresa delle attività produttive, industriali e commerciali. Resta fermo che le attività che le amministrazioni sono chiamate a garantire possono essere svolte sia nella sede di lavoro – anche solo per alcune giornate, nei casi in cui il dipendente faccia parte del contingente minimo posto a presidio dell’ufficio – sia con modalità agile.
Si tratta, in definitiva, di una nuova modulazione dell’organizzazione della struttura pubblica improntata alla ridefinizione degli obiettivi in funzione del soddisfacimento dell’utenza, tutelando, al contempo la salute e sicurezza dei lavoratori. Un traguardo raggiungibile solo se si valorizza la dematerializzazione dei procedimenti, con conseguente analisi organizzativa e semplificazione delle procedure; puntando, altresì, alla valorizzazione della professionalità dei dipendenti pubblici attraverso un’idonea attività formativa ed informativa, che, nell’ambito del lavoro agile, possa anche limitare al massimo il rischio stress correlato e garantire il diritto alla disconnessione.
Tali finalità sono al centro dell’art. 263 d.l. n. 34/2020 secondo il quale le PA adeguano le misure di cui all’art. 87 d.l. n. 18/2020 alle esigenze della progressiva completa riapertura di tutti gli uffici pubblici e a quelle dei cittadini e delle imprese connesse al riavvio delle attività produttive e commerciali. A tal fine, la norma pone al centro la flessibilità dell’orario di lavoro, con revisione dell’articolazione giornaliera e settimanale e con l’introduzione di modalità di interlocuzione programmata, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza con l’utenza. La novità di rilievo è contenuta nel comma 3 secondo cui le misure di adeguamento della struttura pubblica alle finalità della continuità dell’azione amministrativa, della celere definizione dei procedimenti e, non da ultimo, della tutela della salute dei dipendenti, sono valutate ai fini della performance. Nella medesima direzione è la previsione per cui le amministrazioni assicurano adeguate forme di aggiornamento professionale alla dirigenza.
Quanto alla tutela della salute e sicurezza dei dipendenti pubblici, le Amministrazioni, in relazione al rischio specifico ed anche sulla base dell’integrazione al documento di valutazione dei rischi, dovranno identificare le misure organizzative di prevenzione e protezione, adeguate al rischio di esposizione a SARS-COV-2, nell’ottica sia della tutela della salute dei lavoratori sia del rischio di aggregazione per la popolazione, coerentemente con i contenuti del documento tecnico approvato dal CTS nella seduta del 9 aprile 2020 e dello specifico protocollo di sicurezza sottoscritto dalle parti sociali il 4 aprile 2020.
Qualora non sia praticabile la via del lavoro agile, anche in funzione della riorganizzazione delle attività ritenute indifferibili, la PA dovrà utilizzare gli strumenti di flessibilità delle ferie pregresse, del congedo, della banca ore e di altri analoghi istituti, nel rispetto della contrattazione collettiva.
Per quanto riguarda le ferie pregresse, occorre fare riferimento alle ferie maturate e non fruite, nel rispetto della disciplina definita dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro. Pertanto, dovranno prevalere le disposizioni del CCNL di comparto, rispetto alla disciplina dell’art. 10 d.lgs. n. 66/2003, che pongono un limite alla discrezionalità del datore di lavoro, obbligandolo a consentire la fruizione delle ferie – non godute dal lavoratore nell’anno di maturazione per “indifferibili esigenze di servizio” – entro il primo semestre dell’anno successivo (cfr. Comunicazione interpretativa sulla direttiva n. 2003/88/CE del Parlamento europeo, circolare Ministero del lavoro e delle Politiche sociali n. 8/2005). Ne consegue che rientra nei poteri datoriali la possibilità di utilizzare l’istituto delle ferie anche a rotazione tra il personale o intervallandole con il lavoro agile, anche in ragione dei picchi di attività istituzionale. Non rientrano, invece, nell’ambito delle ferie pregresse le festività soppresse che devono essere godute nell’anno di riferimento.
Nella riscrittura dell’art. 87 d.l. n. 18/2020 è stato previsto che, qualora non sia possibile far ricorso al lavoro agile e non sia possibile utilizzare gli strumenti offerti dalla contrattazione collettiva in relazione ai periodi di assenza dal servizio dei dipendenti del pubblico impiego imposti dai provvedimenti di contenimento del fenomeno epidemiologico da Covid-19, le amministrazione possono motivatamente esentare il personale dal servizio, la cui assenza costituisce servizio prestato a tutti gli effetti di legge, senza diritto all’indennità sostitutiva di mensa. In realtà, la legge di conversione parla di esenzione dal servizio in maniera a-tecnica dovendosi riferire viceversa all’istituto del congedo straordinario di cui all’art. 37 DPR n. 3/1957; infatti, l’ultima parte del comma 3 dell’art. 87 d.l. n. 18/2020 stabilisce che il periodo di assenza dal servizio non è computato nei limiti dei 45 giorni nel corso dell’anno per la fruizione del congedo straordinario.
La modifica comporta anche un’altra incertezza interpretativa. Infatti, nei provvedimenti di contenimento del fenomeno epidemiologico da Covid-19 rientra anche la quarantena con sorveglianzaattiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva, così, l’evento potrebbe trovare copertura sia nella previsione del comma 1 sia in quella del comma 3. In definitiva l’amministrazione potrebbe decidere di riconoscere il ricovero ospedaliero, in cui, comunque, non opera l’esclusione dal periodo di comporto, o potrebbe concedere il congedo straordinario senza che operi il limite temporale.
Al fine di dare un’interpretazione sistematica alla disposizione si dovrà applicare il comma 1 nelle ipotesi di contagio da Covid-19 (diretto o indiretto), pertanto legato al concetto di malattia; mentre in tutti gli altri casi di contenimento dell’emergenza epidemiologica l’assenza dal servizio dovrà essere gestita con il congedo straordinario.
L’esenzione dal servizio dovrà essere adeguatamente motivata attraverso una preventiva valutazione delle esigenze di servizio e potrà essere in concreto esercitata solo qualora non determini, con riguardo al particolare ed eccezionale contesto emergenziale in atto, effetti negativi sull’attività che l’amministrazione è chiamata ad espletare.
Al fine di uniformare i comportamenti all’interno delle diverse strutture pubbliche sarà necessario individuare i criteri e le modalità per la regolamentazione della misura, fermo restando che l’accesso all’istituto sarà precluso per alcune figure professionali, quali i dirigenti e i titolari di posizione organizzative che svolgono una preminente funzione di coordinamento e direzione, che potrà, quindi, essere svolta in modalità agile.
Sul tema della malattia, l’art. 26, d.l. n. 18/2020 stabilisce, solo per il settore privato, che il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all’art. 1, comma 2, lett. h) e i), d.l. n. 6/2020, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto.
Prima delle modifiche introdotte dalla legge di conversione, restava, pertanto, escluso il settore pubblico che avrebbe dovuto imputare l’evento a congedo ordinario con relativa decurtazione dell’indennità dal trattamento economico erogabile.
Il Governo mosso da numerose istanze di chiarimenti scaturite dal profluvio dei provvedimenti normativi e regolamentari, ha predisposto una pagina internet, in continua evoluzione, ove ha fornito alcuni chiarimenti. In particolare, si chiedeva se il dipendente pubblico che mostrasse sintomi febbrili fosse da ritenere in regime di malattia ordinaria o dovesse, invece, ricadere nel disposto del decreto legge. Il Governo, al fine di mitigare la disparità di trattamento, risponde che l’evento deve rientrare nel regime della malattia ordinaria; tuttavia, qualora fosse successivamente accertato che si tratti di un soggetto che rientra nella misura della quarantena o infetto da Covid-19, non si applicherebbe la decurtazione. La soluzione, comunque, determina una disparità di trattamento con il settore privato poiché il dipendente pubblico non godrebbe dell’esclusione della malattia dal periodo di comporto.
Con la legge di conversione n. 27/2020 è stato introdotto un periodo al primo comma dell’art. 87 d.l. n. 18/2020 che equipara al ricovero ospedaliero il periodo trascorso in malattia o in sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva da parte dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
La modifica, in verità, non ha risolto del tutto la differente disciplina tra il settore privato e quello pubblico poiché l’equiparazione al ricovero ospedaliero non esclude la computabilità nel periodo di comporto.
In sede di conversione, comunque, è stata introdotta anche una modifica strutturale all’art. 71, comma 1, d.l. n. 133/2008 per cui non opera la decurtazione del trattamento economico fondamentale in caso di ricovero ospedaliero in strutture del servizio sanitario nazionale poiché le prestazioni sanitarie in parola rientrano nei livelli essenziali di assistenza (LEA).
La novità normativa, come evidenziato nella relazione illustrativa e tecnica allegate al disegno di legge di conversione del d.l. n. 9/2020, non incide in maniera rilevante poiché per il personale pubblico contrattualizzato i contratti collettivi già escludono la restrizione economica per le ipotesi di ricovero ospedaliero. L’art. 71, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 133 del 2008) fa infatti salvo il trattamento più favorevole per le assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro o a causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonché per le assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita.
In conclusione, possiamo sostenere che l’efficacia e l’efficienza di una struttura pubblica dipende essenzialmente dalla dimensione dinamica della sua organizzazione, capace di affrontare le sfide che provengono dall’esterno, risolvere le criticità e i problemi attraverso la valorizzazione delle professionalità e delle competenze delle risorse umane presenti al suo interno.
Per realizzare un modello organizzativo efficiente e resistente ai cambiamenti interni ed esterni è fondamentale quindi creare sinergie e relazioni che rendano osmotico il passaggio di informazioni, competenze e know how tra interno ed esterno dell’organizzazione.
L’attuale crisi economica e sociale indotta dall’emergenza epidemiologica da Covid-19 deve rappresentare perciò l’occasione per ripensare all’istituto del lavoro agile quale strumento per contemperare l’esigenza di un’indifferibile modernizzazione del servizio pubblico e la valorizzazione del capitale umano presente nelle pubbliche amministrazioni, senza, tuttavia, dimenticare che la stretta connessione tra l’esecuzione della prestazione smart e il raggiungimento del risultato produttivo descrive lo scopo sotteso al lavoro agile, che consiste, quindi, in un risparmio dei costi di gestione degli spazi interni, in una diminuzione del tasso di assenteismo e in una più efficiente gestione del tempo di lavoro da parte del lavoratore.
[Le considerazioni espresse sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.]