07/05/2020 - La rimborsabilità delle spese sostenute dal dipendente per la propria difesa in giudizio è ammessa in presenza di presupposti e condizioni da verificarsi in concreto
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La rimborsabilità delle spese sostenute dal dipendente per la propria difesa in giudizio è ammessa in presenza di presupposti e condizioni da verificarsi in concreto
di Massimo Asaro - Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile affari legali e istituzionali
La disposizione legislativa contenuta nell'art. 18 del D.L. n. 67/1997 conv. L. n. 135/1997 ha la finalità di sollevare i dipendenti pubblici, in particolare quelli delle Amministrazioni statali, dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all'espletamento del servizio e tenere perciò indenni i soggetti che abbiano agito in nome, per conto e nell'interesse dell'Amministrazione dalle spese legali sostenute per difendersi dalle accuse di responsabilità, poi rivelatesi infondate [cfr. Gerardo M., Il rimborso delle spese di patrocinio legale nei giudizi di responsabilità nei confronti di dipendenti pubblici ai sensi dell'art. 18 del D.L. 25 marzo 1997 n. 67, su Rassegna dell'Avvocatura dello Stato n. 3/2018]. Disposizioni analoghe sono contenute nei CCNL del personale dipendente in regime di diritto privato speciale, di cui alle Amministrazioni non statali (es. art. 59 CCNL 06 ottobre 2008 del Comparto Università e art. 1, comma 10, del CCNL Comparto Istruzione e Ricerca del 19 aprile 2018). L'istituto del rimborso delle spese legali, disciplinato dalla normativa in questione, si giustifica per evidenti ragioni di ordine equitativo e ha carattere di indennizzo, e non risarcitorio o restitutorio in senso stretto (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 17 ottobre 2019, n. 11962). Ai sensi dell'art. 18 citato, condizioni del diritto al rimborso sono che:
a) il giudizio sia promosso nei confronti del (e non dal) dipendente pubblico, nel quale non è parte l'Amministrazione di appartenenza;
b) il titolare della pretesa deve avere la qualifica di dipendente di amministrazione statale;
c) il giudizio si sia concluso sentenza o provvedimento dell'Autorità giudiziaria che abbia escluso la responsabilità;
d) vi sia connessione dei fatti contestati con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali;
e) vi sia assenza di conflitto di interesse con l'Amministrazione di appartenenza.
Quanto alla pronuncia definitiva sull'esclusione della responsabilità del dipendente, qualora si tratti di una sentenza penale vi deve essere un accertamento della assenza di responsabilità, anche quando sia stato applicato l'art. 530, comma 2, c.p.p. (Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2017, sent. n. 4176; Cons. Stato, Ad. generale, 29 novembre 2012, n. 20/2013; Cons. Stato, Sez. IV, 21 gennaio 2011, sent. n. 1713). L'art. 18 invece non può essere invocato quando il proscioglimento sia dipeso da una ragione diversa dalla assenza della responsabilità, cioè quando sia stato disposto a seguito dell'estinzione del reato (es. per prescrizione), o quando vi sia stato un proscioglimento per ragioni processuali, quali la mancanza delle condizioni di promovibilità o di procedibilità dell'azione (Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2017, sent. n. 4176).
Riguardo alla connessione, l'art. 18 si applica a favore del dipendente che abbia agito in nome e per conto, oltre che nell'interesse, dell'Amministrazione (e cioè quando per la condotta oggetto del giudizio sia ravvisabile il «nesso di immedesimazione organica»). Tale connessione sussiste qualora sia stata contestata al dipendente la violazione dei doveri di istituto e, all'esito del procedimento, il giudice abbia constatato non solo l'assenza della responsabilità, ma che esso sia sorto in esclusiva conseguenza di condotte illecite di terzi, di natura diffamatoria o calunniosa, oppure qualificabili come un millantato credito (si pensi al funzionario, al dirigente o al magistrato accusato di corruzione, ma in realtà del tutto estraneo ai fatti, perché vittima di una orchestrata attività calunniosa o di un millantato credito emerso dopo l'attivazione del procedimento penale). Sotto tale profilo, la disposizione tutela senz'altro il dipendente statale che sia stato costretto a difendersi, pur innocente, nel corso del procedimento penale nel quale, ratione officii e non aver posto in essere specifici atti, sia stato coinvolto nel procedimento penale perché sostanzialmente vittima di illecite condotte altrui, che per un qualsiasi motivo illecito hanno coinvolto il dipendente, a maggior ragione se è stato designato come vittima proprio quale appartenente alle Istituzioni e per il servizio prestato [Vitello G., Dipendente assolto: non sono dovute le spese legali affrontate nel processo penale per fatti occasionati da ragioni personali, su Responsabilità Civile e Previdenza, n. 5/2013]. Qualora in tali casi il giudice penale disponga il proscioglimento del dipendente statale, non rileva pertanto la natura attiva od omissiva della condotta oggetto della contestazione, perché ciò che conta è l'accertamento da parte del giudice penale dell'estraneità del dipendente ai fatti contestati, nonché il carattere diffamatorio o calunnioso delle dichiarazioni altrui (Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 2019, sent. n. 8137) [cfr. Deodati M., Rimborso spese legali per i dipendenti coinvolti in vicende giudiziarie: presupposti normativi e verifiche istruttorie, su questa Rivista, 13/12/2019]
Passando alla quantificazione del rimborso, l'art. 18 attribuisce un peculiare potere valutativo all'Amministrazione con riferimento all'an e al quantum, poiché essa deve verificare se sussistano in concreto i presupposti per disporre il rimborso delle spese di giudizio sostenute dal dipendente, nonché - quando sussistano tali presupposti - se siano congrue le spese di cui sia chiesto il rimborso, con l'ausilio della Avvocatura dello Stato, il cui parere di congruità ha natura obbligatoria e vincolante (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Cons. Stato, Sez. IV, 8 luglio 2013, n. 3593). Il parere dell'Avvocatura erariale -per la sua natura tecnico-discrezionale- non deve attenersi all'importo preteso dal difensore (Cons. Stato, Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/2012), o a quello liquidato dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati per quanto rileva nei rapporti tra il difensore e l'assistito (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Cons. Stato, Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4942), ma deve valutare quali siano state le effettive necessità difensive (Cass. civ., S.U., 6 luglio 2015, n. 13861; Cons. Stato, Sez. IV, 7 ottobre 2019, n. 6736; Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Cons. Stato, Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/12) ed è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità per errore di fatto, illogicità, carenza di motivazione, incoerenza, irrazionalità o per violazione delle norme di settore (Cons. Stato, Sez. II, 30 giugno 2015, n. 7722). Qualora il diniego (totale o parziale) di rimborso risulti illegittimo, il suo annullamento non comporta di per sé l'accertamento della spettanza del beneficio, dovendosi comunque pronunciare sulla questione l'Amministrazione, in sede di emanazione degli atti ulteriori. La misura del rimborso deve essere limitata allo «stretto necessario» nella prospettiva di un contemperamento tra le esigenze di salvaguardia della spesa pubblica e di protezione del dipendente e, a tal fine, l'organo tecnico (ossia l'Avvocatura dello Stato) deve tenere conto della natura e della complessità della causa, importanza delle questioni trattate, durata del processo, qualità dell'opera professionale prestata e vantaggio arrecato al cliente e non solo delle tariffe professionali (TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 21 novembre 2018, n. 5471).
Trattando infine della erogazione, argomento affrontato dalla sentenza in commento, per conseguire il rimborso delle spese per il patrocinio legale o la loro anticipazione il dipendente deve dimostrare di aver pagato gli onorari al suo difensore, dando prova del pagamento, mediante l'esibizione della fattura di quanto pagato. La P.A. non può effettuare il pagamento diretto in favore del legale del dipendente. L'art. 18 D.L. n. 67/1997 prevede il rimborso di quanto effettivamente pagato dal dipendente. In assenza di una istanza che dia atto di una tale comprovata circostanza (pagamento), l'Amministrazione non ha l'obbligo di attivare e di concludere il relativo procedimento.