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26/06/2020 - Nessuna dequalificazione del dirigente in presenza di un attribuzione di un incarico di studio e di ricerca

tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Nessuna dequalificazione del dirigente in presenza di un attribuzione di un incarico di studio e di ricerca
di Vincenzo Giannotti - Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone;
 
La vicenda
Un dirigente comunale che, alla scadenza di un incarico di struttura, si è visto attribuire un incarico di studio e di ricerca, con conseguente minore retribuzione di posizione e di risultato, si è rivolto al giudice ordinario per chiedere il risarcimento del danno subito. A dire del dirigente, l'ente avrebbe attivato un comportamento vessatorio, costituito da dequalificazione ed emarginazione professionale e da note personali negative - che le aveva comportato un pregiudizio economico per perdita di maggiori retribuzioni anche a titolo di retribuzione di risultato e di posizione e che le aveva cagionato uno stato depressivo con conseguente ulteriore danno patrimoniale e non patrimoniale. Sia il Tribunale di primo grado che, successivamente la Corte di appello, hanno ritenuto che la mancata conferma della dirigente ricorrente nell'incarico di direzione di struttura non fosse censurabile essendo conforme al disposto di cui all'art. 19D.Lgs. n. 165 del 2001. Infatti, secondo i giudici di appello, il ricorrente non poteva considerare l'incarico di struttura quale diritto soggettivo ma è nella discrezionalità dell'ente il conferimento di incarichi dirigenziali anche di studio e di ricerca, senza che ciò possa costituire demansionamento. Nel caso di specie, l'incarico ricevuto di in staff presso la Direzione Centrale con il compito di svolgere funzioni dirigenziali di studio, ricerca ed elaborazione, mirati alla costituzione di una nuova attività amministrativa inerente il progetto Europa, rilevava che alla ricorrente fosse stata, in concreto, posta in condizione di poter espletare i compiti a lei affidati per la creazione di un ufficio ex novo.
Avverso la sentenza della Corte territoriale la ricorrente ha proposto ricorso in Cassazione. Secondo la ricorrente, infatti, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che l'assegnazione della ricorrente ad un diverso incarico non necessitasse di alcuna motivazione. In particolare, la ricorrente lamenta come la sentenza impugnata non avesse dato il giusto rilievo alle funzioni tipiche di un dirigente di staff che, in quanto dirigenziali, non sarebbero potute essere caratterizzate dai compiti connessi alla costituzione ex novo di un ufficio.
La conferma del giudice di legittimità
Secondo i giudici di Pizza Cavour i motivi del ricorso sono infondati. E' stato, infatti, osservato come tutti i motivi in cui si articola l'impugnazione della sentenza della Corte territoriale, discendono dalla riproposizione di una ricostruzione della vicenda per la quale la ricorrente sarebbe stata vittima di un demansionamento all'atto dell'attribuzione dell'incarico di dirigente in posizione di staff presso la Direzione Generale che, di fatto, per le problematiche attinenti, da una parte, alla mancata predisposizione di risorse umane e strumentali oltre che di una specifica formazione e, dall'altro, all'indeterminatezza dei compiti da svolgersi, avrebbero di fatto determinato uno svilimento della sua dignità professionale e personale con pregiudizio le la sua salute. Sul punto la Cassazione non può che convenire con la ricostruzione fatta dai giudici di appello, secondo cui l'assegnazione alla ricorrente, dopo la cessazione dell'incarico di direzione del Servizio, del compito di svolgere funzioni dirigenziali di studio e ricerca, fosse riconducibile alla previsione di cui all'art. 19, comma 10D.Lgs. n. 165 del 2001, norma di carattere generale che si riferisce anche alle amministrazioni locali e si aggiunge alle previsioni specifiche contenute nel D.Lgs. n. 267 del 2000 (Testo unico degli enti locali) e in particolare negli artt. 109 e 110 D.Lgs. n. 267 del 2000.
Precisa sul punto la Cassazione come in diverse occasioni il giudice di legittimità ha avuto modo di evidenziare che fanno capo al dirigente due distinte situazioni giuridiche soggettive, perché rispetto alla cessazione anticipata dell'incarico lo stesso è titolare di un diritto soggettivo che, ove ritenuto sussistente, dà titolo alla reintegrazione (se possibile) nella funzione dirigenziale ed al risarcimento del danno, mentre a fronte del mancato conferimento di un nuovo incarico può essere fatto valere un interesse legittimo di diritto privato, che, se ingiustamente mortificato, non legittima il dirigente a richiedere l'attribuzione dell'incarico non conferito ma può essere posto a fondamento della domanda di ristoro dei pregiudizi ingiustamente. Tuttavia, precisa la Cassazione, non vanno, dunque, confusi il diritto soggettivo al conferimento dell'incarico e l'interesse legittimo di diritto privato correlato all'obbligo imposto alla pubblica amministrazione di agire nel rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede nonché dei principi di imparzialità, efficienza e buon andamento consacrati nell'art. 97 Cost., sicché il dirigente non può pretendere dal giudice un intervento sostitutivo e chiedere l'attribuzione dell'incarico, ma può agire per il risarcimento del danno, ove il pregiudizio si correli all'inadempimento degli obblighi gravanti sull'amministrazione subiti. Su quest'ultimo adempimento da parte dell'ente, è stato richiamato il principio generale secondo cui, nel lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l'attitudine professionale all'assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo e pertanto non è applicabile l'art. 2103 c.c., risultando la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite non compatibile con lo statuto del dirigente pubblico. In modo non diverso anche nel sistema normativo del lavoro pubblico dirigenziale negli enti locali (trasfuso, come detto, nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 109) è stata esclusa la configurabilità di un diritto soggettivo del dirigente a conservare in ogni caso determinate tipologie di incarico dirigenziale, ancorché corrispondenti all'incarico assunto a seguito di concorso specificatamente indetto per determinati posti di lavoro, pure anteriormente alla cosiddetta 'privatizzazione'. In altri termini, anche negli enti locali alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l'attitudine professionale all'assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo e non consente perciò - anche in difetto della espressa previsione di cui all'art. 19 D.Lgs. n. 165 del 2001 stabilita per le Amministrazioni statali - di ritenere applicabile l'art. 2103 c.c. (e l'art. 52 D.Lgs. n. 165 del 2001), risultando la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite non compatibile con lo statuto del dirigente pubblico locale, con la sola eccezione della dirigenza tecnica, nel senso che il dirigente tecnico, il cui incarico è soggetto ai principi della temporaneità e della rotazione, deve comunque svolgere mansioni tecniche (v. Cass. civ. n. 23760/2004 cit.; Cass. civ. n. 3451/2010 cit.; Cass. civ. n. 4621/2017 cit.; Cass. civ. n. 19442/2018 cit.).
In conclusione, gli incarichi di studio conferiti alla ricorrente dopo la cessazione di quello di direzione di struttura non potevano essere letti in termini di dequalificazione, mentre in merito alla perdita di posizione e di risultato atteso che, dal momento in cui non si sia in presenza di un demansionamento nell'attribuzione di un incarico di studio, allora non può riconoscersi come danno la perdita (di quota) della retribuzione di posizione e di risultato, non configurandosi, come precisato, un diritto del dirigente alla preposizione ad un ufficio di direzione di struttura, alle quali le predette voci siano connesse.
Il ricorso, quindi, è stato rigettato con condanna della ricorrente alle spese di giudizio e all'ulteriore importo del contributo unificato.
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