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25/06/2020 - Condizioni e principi per l'esperimento dell'azione di annullamento del Regolamento comunale.

tratto da ildirittoamministrativo.it
Condizioni e principi per l'esperimento dell'azione di annullamento del Regolamento comunale.
 
Tar Catanzaro,Sez. I, sent. del 20 giugno 2020, n. 1112.
"... rientra nei compiti del Comune la tutela della sicurezza urbana, intesa come bene pubblico che concerne il regolare ed ordinato svolgimento della vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale (compito recentemente valorizzato dal d.l. 20 febbraio 2017 n. 14, convertito nella l. 18 aprile 2017, n. 48, in ordine alla potestà regolamentare del comune circa sicurezza della città, il cui art. 4 individua la sicurezza urbana come “bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire anche attraverso (…) la promozione della cultura del rispetto della legalità e l'affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile”)."
Ancora, è indubitabile che, in base all’art. 41 Cost., l’iniziativa economica privata, pur libera, “non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, di modo che sono lecite eventuali limitazioni alla concorrenza dettate da fini sociali, ai quali ovviamente deve ispirarsi l’azione del Comune di cui si tratta (come affermato, da ultimo, da C. cost. 22 luglio 2010 n°270). È, infine, vero, che anche il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), nell’elevare con l’art. 119 a principio dell’ordinamento europeo la concorrenza di mercato pone dei limiti, a cominciare da quelli di cui all’art. 9, per cui “Nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e azioni, l'Unione tiene conto” fra l’altro, “delle esigenze connesse con () la garanzia di un'adeguata protezione sociale () e tutela della salute umana”.
... l’imposizione di limiti all’attività privata deve obbedire ai principi di proporzionalità e adeguatezza. Ciò nel senso che, ogni limitazione deve essere in grado di assicurare il raggiungimento del risultato avuto di mira e non andar oltre quanto necessario a raggiungerlo (come affermato in termini generali per tutte dalla sentenza della Corte di Giustizia, 22 febbraio 2002, C 390/99, Canal Satelite).
Ciò posto, in base alle note acquisizioni giurisprudenziali (Cons. Stato, Sez. VI, 17.4.2007 n°1736, TAR Lazio – Roma 6 dicembre 2006 n°563 e n°777) circa l’indagine “trifasica” in cui si sostanzia il test di proporzionalità, si deve verificare anzitutto la “idoneità” del provvedimento (“rapporto tra il mezzo adoperato e l'obiettivo perseguito, In virtù di tale parametro l'esercizio del potere è legittimo solo se la soluzione adottata consenta di raggiungere l'obiettivo”), quindi la sua “necessarietà” (ovvero la “assenza di qualsiasi altro mezzo idoneo ma tale da incidere in misura minore sulla sfera del singolo. In virtù di tale parametro la scelta tra tutti i mezzi astrattamente idonei deve cadere su quella che comporti il minor sacrificio”) e, infine, la sua “adeguatezza” (cioè la “tollerabilità della restrizione che comporta per il privato. In virtù di tale parametro l'esercizio del potere, pur idoneo e necessario, è legittimo solo se rispecchia una ponderazione armonizzata e bilanciata degli interessi, in caso contrario la scelta va rimessa in discussione”).
Nel caso concreto, la disposizione impugnata (Regolamento) vieta sic et simpliciter la vendita, dalle ore 22.00 alle ore 7.00, di bevande alcoliche e superalcoliche da parte di chiunque risulti autorizzato – a vario titolo – alla vendita al dettaglio, per asporto, nonché attraverso distributori automatici e presso attività di somministrazione di alimenti e bevande.
Detta disposizione, nella sua assolutezza, appare eccedente e sproporzionata rispetto alle finalità poste dal Regolamento; né si ricavano, da quanto evidenziato dall’amministrazione (anche relativamente alla preparatoria del Regolamento), elementi tali da giustificare una siffatta ampiezza del divieto. Difatti, anche ad ammettere superabile il test di idoneità (potendo risultare tale limite astrattamente idoneo a raggiungere l'obiettivo posto dal regolamento), appare già discutibile la sua necessarietà, non evincendosi la presenza di elementi idonei a far ritenere impraticabili misure equipollenti, nel senso, cioè, di misure parimenti idonee ma dotate di carica meno lesiva sulla sfera del singolo (es.: limitazione oraria basata sulla stagione o sui giorni della settimana); opzioni che, peraltro, non risulta siano state neanche adeguatamente vagliate, sia pure per escluderne la praticabilità. Né, da ultimo, la disposizione appare, di per sé, adeguata, nel senso di rispecchiare una “ponderazione armonizzata e bilanciata degli interessi come indicato dalla succitata giurisprudenza (magari distinguendo, lo si osserva solo a titolo esemplificativo, tra la somministrazione con servizio ai tavoli e alla vendita destinata all’asporto, come avvenuto nel caso esaminato da TAR Toscana, 8.2.2018, n. 243 e per il quale la motivata discriminazione è stata ritenuta legittima).
In altri termini, una limitazione operativa dalle ore 22.00 di per sé potrebbe non essere illegittima, ma va saggiata alla luce del principio di proporzionalità, in base al quale lo diventa quando risulta teleologicamente “eccedente” rispetto alla ratio di tale principio, sacrificando eccessivamente la libertà d’impresa senza tenere conto delle circostanze di contesto e delle possibili differenziazioni, anche tra le diverse categorie di operatori, in modo tale da limitare il divieto a quelle situazioni che, rispetto alla generalità delle attività commerciali interessate, possono risultare più pregiudizievoli nei confronti dei beni che il regolamento intende tutelare (ossia contemperando adeguatamente le legittime esigenze degli esercenti, oltre che degli avventori, e le, altrettanto legittime, aspirazioni dei residenti alla tranquillità, soprattutto nelle ore notturne).
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