19/06/2020 - Permessi retribuiti per attività elettorale: il Comune deve rimborsare la società in house
tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Permessi retribuiti per attività elettorale: il Comune deve rimborsare la società in house
di Federico Gavioli - Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
Il comune deve rimborsare il datore di lavoro per gli oneri derivanti dai premessi retribuiti previsti per l'esercizio delle funzioni elettive presso l'ente locale; la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 11265, dell'11 giugno 2020, nel rigettare il ricorso di un ente locale ha stabilito che i costi derivanti dalla fruizione, da parte dei dipendenti di società a partecipazione pubblica, dei permessi retribuiti previsti per l'esercizio di funzioni elettive presso un ente locale partecipante, sono a carico di quest'ultimo e devono essere rimborsati alla società datrice di lavoro, nei termini e secondo le modalità di cui all'art. 80 del TUEL.
Il contenzioso
Una società in house, interamente partecipata dal Comune, gestiva il servizio dei trasporti della città e nell'area metropolitana, chiedeva al Tribunale la condanna del Comune alla restituzione degli importi corrisposti a taluni dei propri dipendenti per assenze dal servizio dovute allo svolgimento di mandato elettorale nei consigli municipali.
Il Tribunale, con sentenza del 2013, rigettava le domande della società , ritenendo che la qualifica dell'azienda quale società in house providing, soddisfatta dalla presenza della delegazione interorganica e dall'assenza di autonomia tra società e Comune, dai poteri di direzione e coordinamento esercitati dall'ente locale sulla società e dall'esistenza di un "controllo analogo" sulla gestione societaria, ne avrebbe escluso la natura di soggetto di diritto privato e l'assoggettamento all'art. 80 TUEL, là dove è previsto per il datore di lavoro privato il diritto di rimborso degli oneri sostenuti per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti.
La società in house ha impugnato davanti alla Corte di appello la sentenza sfavorevole del Tribunale; i giudici del merito di secondo grado in accoglimento della domanda della società, condannava l'ente locale al pagamento di quasi 49mila euro, a titolo di rimborso dei permessi retribuiti corrisposti dall'azienda ai propri dipendenti, eletti nelle consultazioni amministrative.
La Corte, ricostruita, per gli aspetti rilevanti in giudizio, la natura privata delle società in house, in quanto assoggettate a modelli privatistici, fallibili, regolate dal diritto societario comune, nella necessità, comunque, ex art. 4, L. n. 75 del 1970, che vi sia una espressa previsione legislativa per riconoscere natura pubblica ad un soggetto privato, ha escluso che gravasse su queste l'onere economico dei permessi goduti dai propri dipendenti, per l'espletamento del mandato elettorale.
Per la Corte di appello sarebbe irrazionale una interpretazione dell'art. 80 TUEL, norma che nel riconoscere il diritto di rimborso dei permessi retribuiti ai lavoratori dipendenti per motivi elettorali, che restano a carico dell'ente presso il quale quei lavoratori esercitano funzioni pubbliche, equipara il datore di lavoro privato all'ente pubblico economico, che escludesse il rimborso alle società in house in quanto soggetti, nella loro struttura giuridica, più vicini alle imprese private che agli enti pubblici economici.
Avverso la sentenza sfavorevole il Comune è ricorso in Cassazione.
L'analisi della Cassazione
I giudici di legittimità evidenziano preliminarmente che laddove il fenomeno delle società a partecipazione pubblica sia strumentale alla gestione di un servizio pubblico locale di rilevanza economica, ecco che nella diretta applicabilità della normativa europea, tra le modalità di affidamento si colloca la gestione diretta da parte dell'ente locale, cosiddetta gestione internalizzata o "in house providing".
Si tratta di società in controllo pubblico, titolari di affidamenti diretti di contratti pubblici, in cui si realizza "l'autoproduzione" di beni, servizi o lavori da parte della pubblica amministrazione che, in tal modo, li acquisisce, attingendoli all'interno della propria compagine organizzativa, purché sussistano i requisiti previsti dall'ordinamento comunitario e vi sia il rispetto dei vincoli normativi vigenti.
In particolare, la giurisprudenza comunitaria consente la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale, là dove l'applicazione delle regole di concorrenza non sia di ostacolo "all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione" che è affidata all'ente pubblico (art. 106 del "Trattato sull'Unione Europea e del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea", T.F.U.E.), alle sole condizioni: a) del capitale totalmente pubblico della società affidataria;
b) del cosiddetto controllo "analogo", per il quale quello esercitato dall'aggiudicante sull'affidatario deve essere di "contenuto analogo" a quello esercitato dall'aggiudicante sui propri uffici;
c) dello svolgimento della parte più importante dell'attività dell'affidatario in favore dell'aggiudicante.
Sugli indicati presupposti, si tratta di verificare se il "controllo analogo" a quello esercitato dall'amministrazione sui propri servizi e la "destinazione prevalente dell'attività" della società all'ente pubblico, escludano la terzietà della prima all'ente qualificando la sua attività come servizio proprio dell'amministrazione controllante, assimilabile alla situazione determinata dalla delegazione interorganica.
La Cassazione osserva che nel rapporto tra giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo il principio è stato quello per il quale le società per azioni con partecipazione pubblica non mutano la loro natura di distinti soggetti di diritto privato solo perché un Comune ne possegga, in tutto o in parte, le azioni.
Esclusa la concessione di un pubblico servizio, il rapporto tra ente territoriale e società partecipata viene ricostruito in termini di assoluta autonomia, valorizzandosi che non è consentito al primo di incidere unilateralmente, mediante l'esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, sul suo svolgimento e sull'attività della società per azioni che abbia assunto l'obbligo negoziale di gestire un pubblico servizio, ma solo di avvalersi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società.
Quanto alla giurisdizione da esercitarsi in materia di danno erariale nei rapporti tra partecipata e terzi, l'autonomia e la distinta personalità giuridica di cui gode la società di diritto privato a partecipazione pubblica e stata la ragione per escludere che, in materia di responsabilità contabile, il pregiudizio patrimoniale determinato dalla mala gestio dei suoi organi integri il danno erariale, trattandosi di "vulnus" che grava in via diretta esclusivamente sul patrimonio della società stessa, soggetta alle regole di diritto privato e dotata di autonoma e distinta personalità giuridica rispetto ai soci.
Il "rapporto di lavoro" destinato a venire in considerazione nella valutazione della norma, e tanto in relazione alla ricognizione della natura giuridica del datore di lavoro, ha trovato definizione attraverso interventi normativi di carattere generale e con il D.Lgs. n. 165/2001, recante "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche", all'art. 1, comma 2, sono valsi a precisare cosa debba intendersi per "amministrazioni pubbliche" con esclusione degli enti pubblici economici e quindi delle società per azioni a capitale pubblico.
Si tratta di una classificazione settoriale che si apprezza per il suo contenuto formale-organizzativo e che ha trovato conferma in un altro ambito specifico, di carattere generale, che è quello definito dalla L. 31 dicembre 2009, n. 196, "Legge di contabilità e finanza pubblica", che, all'art. 1, commi 2 e 3, qualifica, ai fini della legge medesima, come amministrazioni pubbliche gli enti e gli altri soggetti che costituiscono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche e gli enti ed i soggetti espressamente indicati dall'ISTAT nel conto economico consolidato, con specifico provvedimento da pubblicarsi sulla G.U. entro il 30 settembre di ogni anno.
L'art. 80, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, contenente il "Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali" (TUEL), dispone che gli oneri per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici sono a carico dell'ente presso il quale gli stessi lavoratori esercitano le funzioni pubbliche di cui all'art. 79 (consigli comunali, provinciali, metropolitani, delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché dei consigli circoscrizionali dei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti).
La ratio della norma è quella di tutelare l'esercizio delle funzioni pubbliche elettive da parte dei lavoratori-dipendenti senza gravare sulla patrimonialità dei datori di lavoro privati a cui la norma riconosce il diritto ad essere ristorati degli oneri sostenuti che invece esclude per quelli pubblici e tanto nella identità di funzione e di soggetti tra l'ente datore di lavoro e quello elettivo.
La Cassazione osserva che i punti destinati a venire in rilievo sono saldamente espressi dal principio per il quale, con la previsione contenuta nell'art. 80 TUEL, in ragione della quale sono a carico degli enti pubblici presso cui svolgono le proprie funzioni i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti "da privati o enti pubblici economici", si è voluto garantire lo svolgimento di funzioni pubbliche da parte di lavoratori dipendenti, senza che il relativo onere vada a ricadere sui datori di lavoro privati anziché rimanere a carico delle risorse pubbliche e del bilancio dell'ente che beneficia di tali funzioni.
L'indicata premessa è espressiva del generale principio civilistico del divieto di indebito arricchimento (art. 2041 c.c.) che vuole che il soggetto che si avvantaggi della prestazione sopporti gli oneri economici.
L'ente locale presso il quale svolgono incarico elettivo i dipendenti di una società in house deve provvedere ai permessi retribuiti che sono stati fruiti dai primi in adempimento del munus pubblico e che restano così addossati, quali spese per il funzionamento degli organi politici, all'ente presso il quale il dipendente è chiamato a svolgere funzioni politiche.
Le conclusioni
Per la Corte di Cassazione, conclusivamente, per il cennato quadro di riferimento, gli oneri derivanti dalla fruizione, da parte dei dipendenti di società a partecipazione pubblica, dei permessi retribuiti previsti per l'esercizio di funzioni elettive presso un ente locale partecipante sono a carico di quest'ultimo e devono essere rimborsati alla società datrice di lavoro, nei termini e secondo le modalità di cui all'art. 80 del TUEL