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18/06/2020 - Incarichi extraistituzionali non autorizzati, doppia via per il recupero delle somme indebitamente ricevute dal dipendente pubblico

tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Incarichi extraistituzionali non autorizzati, doppia via per il recupero delle somme indebitamente ricevute dal dipendente pubblico
di Vincenzo Giannotti - Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone;
 
La contestazione della Procura
Un dipendente ministeriale è stato citato in giudizio dalla Procura per l'omesso riversamento dei compensi ricevuti in dieci anni, a fronte di attività non rientranti nei compiti d'ufficio, svolte in condizioni di incompatibilità assoluta o senza avere richiesto ed ottenuto la preventiva autorizzazione prevista dall'art. 53, comma 7, D.Lgs. n. 165/2001. Le attività extraistituzionali oggetto di contestazione da parte della Procura hanno riguardato l'esercizio di attività esercitate sia con contratto di lavoro subordinato (disc-jockey), sia con contratto di lavoro autonomo occasionale (presentatore e consulente artistico) in favore di soggetti privati. Nel caso di specie la Procura ha ravvisato la violazione del divieto di esercizio del commercio, dell'industria e di altra professione o impiego alle dipendenze di privati (incompatibilità assoluta), che gli artt. 60 e ss., D.P.R. n. 3/1957 impongono ai pubblici dipendenti, nonché dell'art. 53D.Lgs. n. 165/2001, che conferma tale divieto e, per le sole attività occasionali richiede l'autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza (incompatibilità relativa). In questo caso i compensi percepiti indebitamente dal dipendente pubblico rientrano nella violazione della norma prevista dall'art. 53, comma 7, D.Lgs. n. 165/2001, secondo cui le attività svolte in situazione di incompatibilità, sia quella assoluta sia quella relativa, in caso di omissione di versamento, del compenso percepito da parte del dipendente pubblico, costituisce distinta ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti. La Procura, non ha invece ritenuto rientranti nella fattispecie del danno erariale altre attività svolte in assenza di autorizzazione preventiva, come la scrittura di articoli di carattere culturale e la partecipazione a tavole rotonde, in quanto ritenute esplicazione delle libertà di pensiero e di scienza garantite dagli artt. 21 e 33 Cost.
La difesa del dipendente
In via preliminare il dipendente ha eccepito l'inammissibilità della citazione rilevando che le stesse contestazioni gli sono state mosse in via amministrativa dal proprio datore di lavoro, il Ministero, cui è seguita l'adozione della sanzione disciplinare del rimprovero scritto, nonché l'intimazione a restituire le somme percepite, intimazione che ha avuto esecuzione con una trattenuta mensile sulla retribuzione, tuttora in corso. In subordine, richiamando il procedimento disciplinare, ha sostenuto la ricorrenza della propria buona fede e, quindi, l'assenza di colpa grave.
Sul principio del ne bis in idem
In merito ad una presunta duplicazione del procedimento, uno già attivato dall'ente e l'atro dalla Procura contabile, il Collegio non ne condivide le argomentazioni. In particolare, seguendo le indicazioni della Corte di Cassazione (Cass. S.U. n. 17124/2019), il principio giuridico del ne bis in idem è diretto ad escludere una duplicità di azioni attivate contestualmente che, seppure con la propria specificità, tendono a conseguire, dinanzi al giudice munito di giurisdizione per ciascuna di esse, lo stesso identico petitum in danno del medesimo soggetto obbligato. Nel caso di specie, si tratta di stabilire se i compensi percepiti dal dipendente pubblico, in difetto di autorizzazione allo svolgimento dell'incarico che li ha determinati, possono o meno essere oggetto di altra azione di recupero anche della Corte dei conti al fine di essere destinati al bilancio dell'amministrazione di appartenenza di quel dipendente. Sul punto la Corte Europea, con specifico riferimento ai procedimenti incardinati dinanzi le Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti italiana, ha ritenuto non poter assimilare tali procedimenti ad un procedimento penale, cui il principio del ne bis in idem deve essere applicato. La giurisprudenza contabile (cfr., per tutte, Sez. II App. n. 17/2020) ha rimarcato come la Corte di Strasburgo abbia aderito ad un'interpretazione sostanzialistica della natura penale delle norme e delle procedure di diritto interno, prescindendo dal nomen juris ed escludendo la violazione della Convenzione nell'ipotesi in cui, a seguito della conclusione di un processo penale o in concomitanza con lo stesso, per gli stessi fatti, venga avviato un giudizio di responsabilità amministrativa innanzi alla Corte dei conti. In altri termini, la pronuncia della Corte dei conti, non costituisce una sanzione amministrativa di carattere sostanzialmente penale, essendo invece diretta prevalentemente al risarcimento di un pregiudizio di natura finanziaria.
Questa stessa impostazione, sempre a dire del Collegio contabile, è stata condivisa dalle SS.RR. con la sentenza n. 26/2019/QM, ritenendosi che la condotta omissiva del versamento del compenso, da parte del dipendente pubblico indebito percettore ex art. 53, comma 7-bis, D.Lgs. n. 165/2001, dia luogo ad un'ipotesi autonoma di responsabilità amministrativa tipizzata, con finalità risarcitoria del danno da mancata entrata per l'amministrazione di appartenenza del compenso indebitamente percepito, che deve essere versato in un apposito fondo vincolato.
Dopo aver, quindi, precisato il Collegio circa l'ammissibilità della rilevazione del danno erariale da parte della Procura, è possibile verificare se nel caso di specie, il procedimento disciplinare attivato dall'ente con quello contabile possano essere considerati o meno sovrapponibili tra loro. Il procedimento disciplinare ha formato oggetto di un procedimento di natura amministrativa e diretto alla tutela della disciplina del rapporto di lavoro, bene giuridico distinto dagli interessi finanziario-patrimoniali della P.A. sottesi all'azione della Procura contabile.
In merito al recupero del credito disposto dall'ente, pur sempre avviato in via amministrativa, del medesimo andrà tuttavia tenuto conto a scomputo del debito finale. In altri termini, nel caso di specie non si è in presenza di una duplicazione delle medesime azioni.
La quantificazione del danno erariale
Il Collegio contabile ha, quindi, rilevato come l'azione di responsabilità per danno erariale sia da considerare autonoma ovvero non condizionata dal comportamento dell'amministrazione danneggiata o dalla pendenza di procedure di recupero in via amministrativa o giudiziaria (tra le tante Sez. II App. n. 339/2016). In merito alla quantificazione del danno erariale, lo stesso deve essere commisurato all'ammontare del compenso da corrispondere e percepito dal dipendente pubblico (art. 53, comma 7-bis cit.) e non alla somma di cui questi ha mantenuto la disponibilità a proprio vantaggio o dopo aver adempiuto ai propri obblighi fiscali e contributivi (cfr. Sez. I App. n. 218/2018). Si tratta, in altri termini, di verificare tutti i compensi lordi percepiti, senza che sia dato distinguere, sul piano documentale, tra somme corrisposte a titolo di compenso ed eventuali rimborsi spese. In modo non diverso, è corretto parametrare il danno ai compensi ricevuti al lordo delle imposte e delle ritenute fiscali e previdenziali.
Infine, si dovrà tenere conto di quanto risulterà in quel momento già recuperato al predetto titolo secondo le trattenute stipendiali operate
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