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17/06/2020 - Variante urbanistica per impedire la moschea e giusta considerazione degli interessi religiosi

tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Variante urbanistica per impedire la moschea e giusta considerazione degli interessi religiosi
di Michele Deodati - Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
 
Il progetto: la costruzione di un luogo di culto per la religione islamica
Un'Associazione culturale islamica ha acquisito un'area di 3500 mq. destinata urbanisticamente a servizi religiosi per il culto e attività culturali e sociali, per la quale era anche prevista una fascia di rispetto con gli edifici adiacenti e con il margine carrabile della strada di almeno 10 m lineari. Sulla medesima area insiste anche un vincolo paesaggistico posto a tutela dei filari alberati che costeggiano la provinciale. L'area è inoltre compresa all'interno del perimetro della "Dichiarazione di importante interesse archeologico delle aree urbane di ..." emanata dall'allora Soprintendenza Archeologica della Toscana.
Definita l'acquisizione dell'area, l'Associazione culturale islamica presentava richiesta di permesso di costruire per la realizzazione di un complesso edilizio costituito da edificio per il culto e centro culturale. A questo punto, l'Amministrazione comunale procedeva ad avviare il procedimento presso la competente Soprintendenza, che conclusa l'istruttoria emetteva parere favorevole con prescrizioni. In particolare, a livello paesaggistico si prescriveva una rotazione della pianta dell'edificio, con inversione della facciata principale con quella secondaria e l'inserimento di qualche alberatura di essenza mista. Quanto all'aspetto archeologico, la Soprintendenza si limitava a suggerire di valutare l'opportunità di eseguire, su esplicita richiesta del proponente, saggi archeologici preventivi alla realizzazione delle opere in progetto, a carico del richiedente e sotto la direzione scientifica Soprintendenza. Preso atto del parere, l'associazione presentava all'Ufficio edilizia una modificata soluzione progettuale che recepiva le prescrizioni di rilievo paesaggistico.
In seguito, l'Amministrazione comunale comunicava la sussistenza di motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di permesso di costruire, contestando la mancata osservanza di una delle fasce di rispetto previste dalla normativa di piano da parte della soluzione progettuale derivante dal recepimento delle prescrizioni della Soprintendenza, in quanto la distanza di uno degli edifici in progetto e altra area adiacente arrivava a 5,5 m dal confine. Nel frattempo, è intervenuto un atto di annullamento in autotutela del parere favorevole con prescrizioni della Soprintendenza - motivato dal riscontro di un errore materiale tale da provocare un vizio logico dell'atto - che non essendo stato superato da atti successivi, ha impedito il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica. Il procedimento si concludeva con un diniego.
La variante: da luogo di culto a spazio pubblico e parcheggi
Da qui l'impugnazione degli atti di diniego da parte dell'associazione culturale proponente, che in particolare ha motivato le proprie doglianze riscontrando che l'Amministrazione comunale, dopo l'elezione del nuovo Sindaco, con un'apposita delibera d'indirizzo ha disposto l'avvio di una procedura di variante urbanistica relativa all'area in oggetto, al fine di eliminare l'attuale previsione ad edifici di culto della zona interessata per destinarla a spazi pubblici. Successivamente, veniva dato avviso all'associazione culturale dell'avvio del procedimento amministrativo diretto all'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio per pubblica utilità. Con successiva deliberazione, il Comune abbandonava l'idea della variante appena descritta, per far confluire la variante della destinazione d'uso dell'area della ricorrente all'interno della più complessa variante finalizzata alla riqualificazione dello stadio cittadino, ad esito della quale all'area de qua è stata impressa la destinazione a parcheggi pubblici.
Il giudizio davanti al T.A.R. Toscana: il bilanciamento degli interessi nel procedimento di variante urbanistica per destinazione a parcheggio e a verde
Il Tribunale amministrativo per la Toscana, con la sentenza n. 663 del 1 giugno 2020, ha ritenuto fondata l'impugnativa per motivi aggiunti avente ad oggetto la variante destinata a mutare la destinazione dell'area, di proprietà dell'Associazione ricorrente, sulla quale quest'ultima intende realizzare un edificio di culto, come consentito dalla normativa urbanistica previgente, destinandola a parcheggi e verde pubblico.
A sostegno, il Collegio ha argomentato che l'esercizio della discrezionalità può essere ritenuto corretto se tutti gli interessi implicati dall'azione amministrativa sono stati acquisiti al procedimento e posti a raffronto con gli altri interessi, ugualmente presenti. Nel caso concreto, si tratta dell'interesse alla realizzazione di un edificio di culto per la pratica della religione islamica, l'unico edificio in tutto il Comune. Gli atti comunali non hanno tenuto in alcun conto tale esigenza, che trova tutela anche costituzionale (art. 8 Cost.). Che l'Amministrazione abbia erroneamente trascurato di considerare l'interesse dell'associazione alla realizzazione dell'edificio per la pratica religiosa, lo si evince anche dalle previsioni della previgente disciplina urbanistica, che destinava l'area in argomento ad edifici di culto. L'esercizio della libertà religiosa trova fondamento anche nella Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, e secondo il Tribunale, quanto deliberato dal Comune resistente frappone un rilevante ostacolo all'esercizio della "libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti". Per contro, il Comune ha replicato che le esigenze della comunità islamica non sono state trascurate, in quanto la normativa urbanistica prevedeva altre aree destinate alla realizzazione di edifici di culto. Di conseguenza, il diritto della Comunità islamica poteva essere soddisfatto in una delle suddette aree, e pertanto sarebbe venuto meno l'onere, per il Comune, di motivare specificamente sul punto. In conclusione, il Comune ha affermato la potestà di modificare la disciplina urbanistica del proprio territorio, sostenendo di avere esercitato la relativa discrezionalità in termini ragionevoli e nella corretta comparazione degli interessi pubblici implicati.
Ma il Tribunale, con la sentenza n. 663 del 1 giugno 2020, ha ritenuto diversamente, argomentando che se da un lato è vero che la deliberazione impugnata non pregiudica definitivamente la soddisfazione del diritto della Comunità Islamica, dall'altro pone un rilevante ostacolo. Si deve invece rimarcare che l'Associazione ricorrente ha acquisito un terreno sul quale era possibile realizzare un edificio di culto, ha progettato il medesimo e ha avviato il procedimento per ottenere il necessario permesso di costruzione. La deliberazione impugnata priva di qualsiasi utilità quanto fatto fino a ora e costringe l'Associazione ricorrente a ricominciare da capo tutta la procedura, addirittura cercando di acquistare uno dei terreni in questione. L'atto comunale impugnato non pregiudica definitivamente e in assoluto il diritto dell'Associazione ricorrente di realizzare un luogo di culto, ma rende estremamente difficile la sua soddisfazione, e non si fa carico in alcun modo delle gravi difficoltà provocate.
L'impugnazione del diniego al premesso di costruire: i vizi del parere negativo della Soprintendenza
Il rigetto dell'istanza è stato motivato sulla base dell'annullamento d'ufficio, da parte della competente Soprintendenza, del parere favorevole in precedenza rilasciato in ordine al progetto presentato dall'Associazione ricorrente. Il provvedimento in autotutela, evidenza il Collegio, non ha chiuso il procedimento che la Soprintendenza aveva, ai sensi dell'art. 2 della L. 7 agosto 1990, n. 241, l'onere di concludere con un provvedimento espresso. Il Comune quindi non aveva l'obbligo di accogliere la richiesta della ricorrente, in quanto il progetto non aveva ottenuto i necessari nulla osta, ma nemmeno poteva respingerla in mancanza di un espresso parere negativo. In più, la soprintendenza è caduta in contraddizione quando ha previsto di dover esprimere un nuovo parere, dopo l'annullamento in autotutela del precedente, richiedendo un nuovo progetto senza peraltro chiarire sufficientemente gli adempimenti necessari al fine di superare le difficoltà riscontrate.
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