05/06/2020 - Necessità della motivazione a monte delle scelte di pianificazione urbanistica: il caso del maggiore dimensionamento degli standard
tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Necessità della motivazione a monte delle scelte di pianificazione urbanistica: il caso del maggiore dimensionamento degli standard
di Michele Deodati - Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
Attuazione delle previsioni urbanistiche senza piano attuativo e opere di urbanizzazione
Alcuni privati si sono rivolti al competente Tribunale amministrativo regionale per sentir dichiarare l'illegittimità degli atti amministrativi comunali, con particolare riferimento ad un comparto produttivo per il quale è stata successivamente disposta l'attuazione senza prevedere un piano di lottizzazione, in quanto ritenuto già sufficientemente urbanizzato. Il collegio di primo grado ha richiamato l'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, e inaugurato dalla sentenza del Cons. di Stato, Ad. Plen. 6 ottobre 1992, n. 12, secondo cui è illegittimo il diniego di concessione edilizia fondato sulla rilevata carenza di un piano di lottizzazione, anche se richiesto dal piano regolatore, quando l'area sia integralmente urbanizzata. Secondo la ricostruzione offerta dal Tribunale, infatti, la scelta pianificatoria del Comune è illegittima nella parte in cui prevede un comparto di espansione con edificabilità circoscritta ad un'area di circa 5.000 mq., ubicata all'interno di una vasta area produttiva di completamento di circa 40.000 mq. già edificata e urbanizzata, situata sullo stesso lato stradale del comparto in esame. La zona è altresì edificata e urbanizzata anche sul lato opposto della strada, occupata dal grande impianto sportivo.
Insufficiente urbanizzazione: un esempio offerto dalla sentenza n. 2824 del 4 maggio 2020
Di diverso avviso è stato il Giudice d'appello, che con la sentenza n. 2824 del 4 maggio 2020 ha valutato il grado di urbanizzazione dell'area insufficiente. In concreto, è emersa la necessità di opere a rete di pubblica illuminazione, parcheggio pubblico, verde pubblico, strada pubblica di accesso al parcheggio. Dunque nel caso difettino opere di questo tipo, non è possibile ritenere che il livello di urbanizzazione sia sufficientemente adeguato al punto da escludere un piano di attuazione.
Il Collegio d'appello ha poi chiarito la lettura di alcune previsioni contenute nella normativa nazionale in materia: lo standard di cui all'art. 5, D.M. n. 1444/1968 deve prendere come base di calcolo esclusivamente la destinazione principale e non le destinazioni compatibili (di carattere facoltativo); nel caso affrontato, la destinazione principale è quella di carattere commerciale e direzionale.
Quanto alla base di calcolo, che nel caso in commento prevedeva valori percentuali maggiori rispetto ai minimi di cui al decreto ministeriale, sempre la sentenza n. 2824/2020 ha spiegato che il sovradimensionamento degli standard minimi di spazio da destinare a verde pubblico di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, se sufficientemente contenuto, non necessita di una apposita giustificazione urbanistica, rientrando nell'ambito della discrezionalità della Amministrazione la possibilità di scostamento dagli stessi (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6326; Cons. di Stato, sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1732).
La motivazione a fondamento delle scelte in materia di pianificazione urbanistica: la giurisprudenza
Tale orientamento si muove nel solco dei principi costantemente affermati dalla giurisprudenza amministrativa (cfr., da ultimo, Cons. di Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2011, n. 1015) secondo cui le scelte effettuate dalla P.A. in sede di formazione ed approvazione dello strumento urbanistico generale, sono accompagnate da un'amplissima valutazione discrezionale, per cui nel merito appaiono insindacabili. Rimangono perciò attaccabili - sempre secondo la sentenza del Consiglio di Stato n. 2824/2020 - solo per errori di fatto, per abnormità e irrazionalità delle stesse. In ragione di tale discrezionalità, l'Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte operate nella sede di pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l'impostazione del piano. Inoltre, rispetto al delicato tema della destinazione delle singole aree da svolgere in sede di adozione del P.R.G., le scelte assunte dall'Amministrazione comunale per ciò che attiene la destinazione delle singole aree non necessitano di una specifica motivazione se quando la scelta va ad incidere negativamente su posizioni giuridicamente differenziate, ravvisabili unicamente però nell'esistenza di piani e/o progetti di lottizzazione convenzionati già approvati o situazioni di diverso regime urbanistico accertate da sentenze passate in giudicato.
Quando la motivazione deve essere più intensa: i casi
Più dettagliatamente, è ancora la giurisprudenza del Consiglio di Stato a venirci in aiuto nel definire le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali. Queste evenienze, evidenziate dalla Consiglio di Stato sentenza n. 1197 del 4 marzo 2003, si verificano nei seguenti casi:
a) nel superamento degli standard minimi di cui al D.M. citato, con l'avvertenza la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; su questo particolare aspetto, la sentenza in commento ha richiamato l'orientamento, descritto poc'anzi, secondo cui i sovradimensionamenti contenuti non necessitano di puntuali motivazioni.
b) Nella lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato tra Comune e proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia e di silenzio-rifiuto su una domanda di permesso di costruire;
c) Nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.
Altra analoga lettura è offerta dalla Consiglio di Stato sentenza n. 3806/2016, sempre del Collegio d'appello, secondo la quale il tradizionale principio di esenzione dall'obbligo di motivazione per gli atti di pianificazione territoriale, ha subito delle eccezioni in ipotesi molto puntuali: varianti specifiche e peggiorative delle scelte generali; reiterazioni di vincoli scaduti; violazione dell'affidamento del privato. Come si vede, l'obbligo di un più intenso corredo motivazionale sorge quanto l'atto indice direttamente e negativamente sulla sfera giuridica dei privati. Per la motivazione degli strumenti urbanistici non è tuttavia richiesta una puntuale disamina di tutti i possibili interessi privati coinvolti, ma basta una sintetica esposizione dei criteri posti a base delle scelte di piano.
Un caso particolare sull'impatto motivazionale delle scelte pianificatorie: i "limiti territoriali"
Un filone giurisprudenziale sviluppatosi nella stagione delle liberalizzazioni ha contribuito a mettere in crisi l'esenzione dalla motivazione degli atti programmatori. L'orientamento, facente capo a Corte Cost., nn. 27, 38 e 65 del 2013; T.A.R. Lombardia n. 2271 del 2013 e poi ulteriormente sviluppatosi in tale direzione, è emerso sempre in tema di urbanistica, nell'ambito dei c.d. "limiti territoriali", da ritenere illegittimi se non giustificati a protezione di un interesse generale (tutela ambiente, assetto urbano, salute lavoratori, ecc.). Al fine di verificare la legittimità di tali atti alla luce del contesto comunitario, è oggi consentito al giudice un controllo molto più penetrante rispetto al passato, pertanto va rafforzato quel complesso di dati, studi e analisi a sostegno delle scelte intraprese in sede di piano. Arricchire l'istruttoria con ulteriori elementi di studio e analisi altro non significa che introdurre anche per gli strumenti di pianificazione l'obbligo di un corredo motivazionale la cui mancanza o insufficienza appare sindacabile in sede giurisdizionale.