03/01/2020 - La demenziale gestione del personale pubblico: un altro anno sprecato
tratto da phastidio.net
La demenziale gestione del personale pubblico: un altro anno sprecato
di Luigi Oliveri
Egregio Titolare,
pochi mesi fa avemmo modo di evidenziare l’incoerenza del pacchetto di riforme immaginato dal precedente Governo e dal ministro Giulia Bongiorno. Ricorda, Titolare? L’intenzione era di attivare concorsi unici superveloci, abolendo gli “idonei”, cioè chi supera le prove concorsuali non piazzandosi però nei posti della graduatoria utili per le assunzioni previste dai bandi. Quindi, con la legge di bilancio 2019 (legge 145/2018) si è abolita la possibilità di scorrere le graduatorie chiamando gli idonei.
Il tutto, proprio quando si rivelava assolutamente indispensabile attivare un programma di assunzioni esteso e rapido. Infatti, quello stesso Governo aveva nel frattempo attivato “quota 100”, con l’effetto di anticipare al 2019 quasi un quinto dei circa 500.000 pensionamenti in rampa di lancio nel biennio 2020-2021.
Era chiaro a tutti che i concorsi unici non sarebbero mai decollati e comunque sarebbero stati tutt’altro che veloci ed efficienti. Così come era chiaro a tutti sin dall’inizio che la possibilità di scorrere le graduatorie degli idonei sarebbe stato uno strumento semplice e veloce per coprire i fabbisogni di personale.
Era chiaro, ma non all’ex Ministro della Funzione Pubblica ed al suo staff. Lo slogan era: “Nonostante sia molto più comodo prorogare le graduatorie degli idonei, io invece le ho tagliate perché credo che debbano entrare solo i migliori”.
A un anno di distanza dal varo della legge di bilancio per il 2019, cos’è successo, Titolare, con la legge di bilancio 2020 (160/2019)?
L’ovvio della realtà ha vinto. La nuova legge ha abolito l’abolizione degli idonei e li ha ripristinati. Come “contentino” a chi ha inteso, chissà perché, investire risorse e tempo nella campagna anti idonei, ha accorciato la durata dell’efficacia delle graduatorie da 3 a 2 anni. Ma non per tutti: infatti, nell’ordinamento degli enti locali (d.lgs 267/2000) resta una norma che prevede una durata triennale delle graduatorie e ora non si capisce se per i comuni prevalga ancora questa o la novità prevista dalla legge 160/2019.
Dunque, caro Titolare, c’è voluto esattamente un anno perché Governo e Parlamento si rendessero conto che la riforma di un anno prima era inefficace.
Un anno nel corso del quale i pensionamenti sono arrivati molto prima delle nuove assunzioni, anche perché l’incremento del turn-over oltre il 100%, che avrebbe dovuto vedere la luce nei primi mesi del 2019, per regioni ed enti locali decorrerà solo dal 2020; per altro, il decreto relativo alle regioni è stato adottato a fine 2019, mentre per gli enti locali non è ancora nemmeno in vigore e per essi il 2020 si apre senza alcuna regola certa sui limiti quantitativi e finanziari ai reclutamenti.
Insomma, se il ripensamento degli errori, cui segue una loro correzione, è certamente un dato positivo, non si può fare a meno di notare che quell’errore, l’illusione di concorsi unici nazionali e lo stop alle graduatorie, non avrebbe dovuto essere commesso, tanto chiari erano gli effetti deleteri conseguenti ed inevitabili.
Per tutto il 2019 si è atteso l’oracolo dei decreti attuativi dei concorsi unici e lo sblocco del turn over, mentre le contraddizioni organizzative e normative hanno portato alle solite conseguenze: un caos interpretativo che ha indotto le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ad affermare, sulla possibilità di scorrere le graduatorie degli anni precedenti al 2019, come al solito, tutto ed il suo contrario: possibilità di scorrerle, impossibilità di farlo, possibilità di utilizzare in convenzione graduatorie di altri enti sì, no, forse, solo per i contratti a termine.
La correzione al tiro è, quindi, opportuna, ma tardiva. Quel che non manca mai, come visto prima, è l’incertezza, insieme con la decisione di correggere davvero in modo definitivo gli errori commessi, dei quali quello sull’efficacia delle graduatorie e la possibilità di chiamare gli idonei è solo l’ultimo e forse nemmeno il più clamoroso.
Limitandosi alla sola gestione del personale pubblico, restano ancora in piedi tutti i problemi creati in questi anni dallo stratificarsi di riforme su riforme, approvate spesso al solo scopo di ottenere visibilità nei media. Per esempio, Titolare, capito che dal 2020 si può tornare a scorrere le graduatorie, nella PA resta ancora il problema, posto ben 7 anni fa col decreto D’Alia, dell’obbligo di assumere i dipendenti con contratto a termine, chiamandoli, però, dalle graduatorie di concorsi a tempo indeterminato. Un obbligo, per la verità, rispettato da ben poche amministrazioni, per quanto sanzionato con la nullità dell’assunzione, la cui ulteriore vigenza sfugge al senso comune. Non si capisce perché esigenze flessibili connesse a lavori a termine debbano essere previste e programmate da concorsi invece a tempo indeterminato.
Basterebbe individuare causali chiare per consentire alle PA di assumere con contratti a termine, rinvenibili facilmente nelle causali indicate nei contratti collettivi nazionali per andare oltre il limite del 20% dei dipendenti di ruolo in servizio.
Restano ancora le totali carenze di controlli sulle assunzioni di dirigenti a contratto per via fiduciaria e senza controlli; la gravissima carenza di segretari comunali negli enti locali, in servizio meno di 3.500 contro oltre 8.200 enti. Si vorrebbe rimediare raccattando avvocati o commercialisti o funzionari qui e là, mentre nel frattempo è indetto un concorso per pochissime centinaia di posti: quando, cioè, si potrebbe realizzare davvero un concorso unico da migliaia di posti per rimediare celermente ad un problema immediato, chissà perché non si interviene sul bando estendendone la portata.
E, ancora, la contrattazione nazionale collettiva si conferma tardiva (nel 2018 si sono sottoscritti – e nemmeno ancora tutti – i Ccnl del triennio 2016-2018 a triennio scaduto) e con risorse di difficile reperimento, mentre le regole per stabilire le risorse da destinare al “merito” dei dipendenti pubblici restano irrisorie (nel comparto enti locali circa 1200 euro lordi l’anno), ma di difficilissima gestione, con un contenzioso continuo.
Nessuna novità sulla valutazione della produttività, rimasta sempre solo una teoria, mista ad una serie di adempimenti burocratici e costi per gli “organismi di valutazione indipendenti”, senza la fissazione di metriche del lavoro e standard da valutare.
Come dice, Titolare? Che ne è stato dei controlli biometrici degli ingressi? Non se ne è fatto nulla, ed anche questo era largamente prevedibile. La norma immaginata sempre dal precedente Governo era troppo impattante sulla privacy.
Un 2019 lastricato di slogan ed errori di traiettoria è andato via. Il passo col quale si è aperto il 2020 è ancora troppo asfittico per immaginare una correzione di rotta finalmente efficace.
I criteri di gestione degli organici pubblici sono un modello assoluto di irrazionalità organizzativa. Forse perché le funzioni di utilità di chi produce gli esiti finali sono diverse dalla ottimizzazione gestionale. Ma così facendo, oltre che con alcuni esempi eclatanti di tale “razionalità alternativa”, non si fa altro che perpetuare il luogo comune della pubblica amministrazione da abbattere anziché da riformare per contribuire alla produttività del sistema paese. (MS)