Un atto formalmente illegittimo può non essere dannoso o esserlo in misura più contenuta rispetto all'importo della correlativa spesa indebita, tenuto conto dei vantaggi comunque conseguiti dall'ente o dalla comunità amministrata. Sulla base di questo principio la Corte dei conti d'appello, con la sentenza n. 14/2020, pur confermando la condotta antigiuridica di un sindaco per l'utilizzo indebito della carta di credito del Comune, ha dimezzato l'addebito posto a carico dell'amministratore per effetto della condanna del giudice di primo grado.
La sentenza è interessante perché delinea il quadro normativo di riferimento per l'uso della carta di credito aziendale da parte della pubblica amministrazione, in alternativa agli ordinari mezzi di pagamento e «qualora non sia possibile o conveniente ricorrere alle ordinarie procedure», come specificato dall'articolo 1, comma 47, della legge 549/1995.
QUI la sentenza della Corte dei conti d'appello n. 14/2020
Sent. 14/2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
TERZA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE
D'APPELLO
composta dai seguenti magistrati:
dott. Angelo Canale Presidente relatore
dott.ssa Giuseppa Maneggio Consigliere
dott.ssa Chiara Bersani Consigliere
dott. Marco Smiroldo Consigliere
dott.ssa Patrizia Ferrari Consigliere
SENTENZA
sull’appello iscritto al numero 53181 del registro di segreteria, acquisito al protocollo della Sezione il 16 febbraio 2018, proposto dal signor Adriano Alessandrini nato a Milano il 2.12.1965 (LSSDRN65T02F205Q), rappresentato e difeso dall’avv. Pietro Gabriele Roveda (RVDPTR71T19E648W) del Foro di Lodi, elettivamente domiciliato presso lo studio del predetto in Milano, Via Gaetano Donizzetti 2, con richiesta di notifica di tutti gli atti e le comunicazioni relativi al presente appello all’indirizzo PEC, pietro.roveda@lodi.pecavvocati.it
avverso e per l’annullamento
della sentenza della Sezione giurisdizionale per la Lombardia n.163/2017, depositata in data 20 novembre 2017, notificata il 29 novembre 2017;
contro
- il Procuratore generale presso la Corte dei conti, domiciliato per la carica in Roma, alla Via Baiamonti 25,
- il Procuratore regionale presso la Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la regione Lombardia, domiciliato per la carica presso la Corte dei conti Lombardia, Milano, Via Marina n.5,
- Malcangio Paola Carmela, nel domicilio eletto nel giudizio di primo grado, presso l’avv. Tiziano Ugoccioni, in Milano, Via Lanzone 31.
Visto l’atto di appello;
Letti gli atti e i documenti di causa;
Uditi, all’udienza del 23 ottobre 2019, con l’assistenza della funzionaria di segreteria sig.ra Lucia Bianco, il relatore, pres. Angelo Canale, l’avv. Pietro Roveda per l’appellante; il rappresentante del Procuratore generale, vpg dott. Arturo Iadecola.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n.163/2017 la Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la regione Lombardia – ha condannato il signor Adriano Alessandrini, già sindaco del Comune di Segrate e la dott.ssa Carmela Malcangio, dirigente della “direzione relazioni esterne e segreteria del sindaco” al risarcimento del danno erariale per complessivi euro 34.403,09, oltre interessi legali e spese di giudizio, cagionato dall’indebito utilizzo – da parte del primo – della carta di credito del Comune e della liquidazione – da parte della seconda – delle relative spese in assenza della prescritta rendicontazione e documentazione giustificativa.
Il primo Giudice, ripartendo l’addebito in ragione della accertata equivalenza delle condotte causali, condannava ciascuno dei predetti alla somma di euro 17.201,54== , comprensiva di rivalutazione, oltre interessi e spese di giudizio liquidate complessivamente in euro 1.836,01==.
La sentenza è stata impugnata dal solo signor Adriano Alessandrini, col patrocinio dell’avv. Roveda del Foro di Lodi.
2. L’atto di appello si articola nei seguenti motivi:
In primo luogo l’appellante reitera, come motivo di appello, l’eccezione di prescrizione – quanto meno parziale, per i fatti sino al 23 giugno 2011 – già formulato in primo grado.
L’appellante contesta la decisione del primo giudice laddove ha ritenuto che il “dies a quo” della prescrizione sia decorso dalla data in cui la verifica interna – che ha fatto emergere il fatto dannoso – è stata portata a compimento. Posto che la condotta dell’Alessandrini non era stata connotata dal dolo, né vi era stato alcun occultamento delle spese, tutte registrate e individuate, l’appellante sostiene che nella fattispecie la prescrizione quinquennale sia decorsa dal momento della esecuzione della spesa.
Con diffuse argomentazioni, dovendosi pacificamente escludere il dolo, l’appellante insiste sulla piena conoscibilità, da parte dell’ente e dei dirigenti preposti, delle spese, asseritamente dannose, sin dal momento della loro effettuazione. Da ciò fa derivare la conclusione che al momento del primo atto interruttivo il danno – per lo meno quello relativo alle spese sino al 23 giugno 2011- era già prescritto, in quanto riferentesi a fatti antecedenti il quinquennio dall’invito a dedurre, notificato appunto il 23 giugno 2016.
Aggiunge l’appellante che il ragionamento seguito dal primo Giudice, che àncora la decorrenza della prescrizione alla verifica postuma dell’inerenza delle spese, porterebbe ad una incerta e indeterminata dilatazione del termine prescrizionale.
Con ulteriori motivi di appello, che per ragioni di sintesi qui si raggruppano, l’Alessandrini deduce l’assenza di colpa grave; l’omessa valutazione – tradottasi in difetto di motivazione - delle prove proposte da parte convenuta e della copiosa documentazione che “spesa per spesa ricostruisce e giustifica ogni euro di spesa” nell’interesse del Comune di Segrate; l’omessa considerazione, ai fini dell’elemento psicologico, che i rendiconti delle spese erano stati vagliati positivamente dagli uffici preposti, con ciò ingenerando nel Sindaco la convinzione di operare correttamente; l’assoluta inerenza delle spese effettuate con la carta di credito al pubblico interesse (si fa riferimento alle esigenze di rappresentanza e promozione istituzionale, economica o culturale del Comune, nonchè ad occasioni conviviali offerte ai militari della Fanfara dei Carabinieri o della Banda dell’Aeronautica Militare che si erano esibiti gratuitamente, o a relatori di incontri o convegni tenutisi in Comune).
L’appellante, poi, precisa che le determinazioni dirigenziali che assegnavano al Sindaco la carta di credito prescrivevano (non un rendiconto ma) un mero riepilogo, da far pervenire entro il 15 del mese successivo a quello in cui le spese erano state effettuate, corredato dalla prescritta documentazione giustificativa: il tutto per agevolare e semplificare il controllo da parte degli uffici di controllo. Ricostruisce inoltre l’iter amministrativo finalizzato alla liquidazione della spesa, nel quale intervenivano dirigenti del Comune che vagliavano anche, con l’ausilio dell’agenda del Sindaco, il profilo della rispondenza ai fini istituzionali.
Conclusivamente, l’appellante chiede in via principale l’accoglimento del proprio gravame, annullando o comunque riformando la sentenza impugnata. In subordine, chiede l’ulteriore riduzione dell’addebito, ai sensi dell’art. 1, comma 1bis, della L.20/1994.
3. Con atto depositato il 3 ottobre 2019, la Procura Generale ha chiesto il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
In particolare, in merito alla prescrizione, fa riferimento alla sentenza di questa Corte – I sezione d’appello n.494 del 4 dicembre 2007 e alla sentenza della Cassazione 5 luglio 2019 , n.18176 (“ il termine di prescrizione …comincia a decorrere non dal momento in cui il fatto dannoso si verifica nella sua materialità e realtà fenomenica, ma da quando esso si manifesta all’esterno con tutti i connotati che ne determinano l’illiceità”).
Quanto al merito, la Procura generale osserva che per una parte delle spese non è stata fornita alcuna documentazione giustificativa; fa riferimento inoltre, per dedurne l’estraneità al fine pubblico o comunque alle finalità istituzionali, ad acquisti di beni mobili o titoli di viaggio per persone diverse dal Sindaco, alle spese di rifornimento di carburante, al pagamento di pedaggi autostradali.
In merito alla c.d. subordinata formulata da parte appellante, la Procura generale concludente osserva che il primo Giudice aveva già concesso il beneficio della riduzione dell’addebito, non avendo conteggiato la rivalutazione monetaria. Sul punto si è comunque rimesso alla valutazione del Giudice dell’appello.
All’odierna pubblica udienza, le parti hanno puntualizzato oralmente le rispettive posizioni e formulato le rispettive conclusioni. Esaurita la discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
Ragioni della decisione
4. Il Collegio è chiamato a valutare se il signor Adriano Alessandrini, già Sindaco del Comune di Segrate, abbia fatto corretto uso – negli anni dal 2010 al 2014 - della carta di credito fornitagli dal medesimo Comune.
Il primo Giudice, accogliendo le argomentazioni della Procura regionale attrice, ha ritenuto di censurare numerosi casi i cui l’uso della carta di credito – e la conseguente liquidazione delle spese - non è stato conforme alle prescrizioni normative e regolamentari. L’Alessandrini ha impugnato la sentenza di condanna, eccependo preliminarmente la prescrizione quanto meno dei danni riferibili a spese effettuate prima del quinquennio antecedente il primo atto interruttivo della prescrizione (e cioè le spese anteriori al 23 giugno 2011).
Nel merito ha insistito per l’assenza tanto dell’elemento soggettivo (la colpa grave) quanto dell’elemento oggettivo (il danno ingiusto).
In estrema sintesi, l’appello dell’Alessandrini si impernia, sul fatto che tutte le spese contestategli sarebbero state conformi ai fini istituzionali dell’ente e a vantaggio della comunità amministrata.
Ciò posto, e prima di entrare nel merito dei singoli motivi di appello, il Collegio ritiene di richiamare sinteticamente il quadro normativo e regolamentare che, con riferimento alla Pubblica Amministrazione, disciplinava, in alternativa agli ordinari mezzi di pagamento, l’uso della carta di credito aziendale.
Va infatti detto che tanto il Procuratore regionale quanto il primo Giudice, nei rispettivi atti, hanno esaurientemente illustrato tale quadro.
L’uso delle carte di credito – nell’ambito dei mezzi di pagamento all’epoca vigenti – fu previsto, per le pubbliche amministrazioni, con legge 549 del 1995. Il Legislatore, evidentemente preoccupato delle criticità alle quali poteva dar luogo la nuova modalità di pagamento, dispose che si potesse ricorrere alla carta di credito, da parte di dirigenti e funzionari, “qualora non sia possibile o conveniente ricorrere alle ordinarie procedure” (art. 1, comma 47). “L'utilizzo della carta di credito (era) altresì ammesso per il pagamento delle spese di trasporto, vitto e alloggio sostenute dal personale, inviato in missione in Italia e all'estero” (comma 48).
La legge rinviava ad un successivo regolamento la definizione delle concrete modalità di utilizzo della carta di credito, nonché dei relativi controlli.
Con D.M. n.701 del 9 dicembre 1996 il Ministro del Tesoro dettava quindi, in apposito Regolamento, le disposizioni di dettaglio.
Il Regolamento ribadiva (art. 1, comma 2) che l’uso della carta di credito “qualora non sia possibile o conveniente ricorrere alle ordinarie procedure” (art. 1, comma 47 L.549/95) era consentito per l’esecuzione di spese relative a :
“ a) beni, lavori e servizi in economia disciplinati da speciali regolamenti ai sensi dell'articolo 8 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440;
b) rappresentanza delle amministrazioni in Italia ed all'estero;
c) organizzazione e partecipazione a seminari ed a convegni;
d) trasporto, vitto e alloggio sostenute dal personale abilitato all'uso della carta di credito in occasione di missioni;
e) espletamento di servizi per le esigenze di campagna, di bordo e di volo per le unita' dell'Esercito, della Marina militare e dell'Aeronautica militare;
f) esercizio di funzioni di giustizia, di emergenza affidate a strutture della protezione civile, di tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico”.
All’art. 2 erano precisati i soggetti abilitati all’uso della carta di credito (tra i quali era compreso il vertice preposto all’indirizzo politico-amministrativo, cioè nella specie, il Sindaco).
Quanto al controllo sulle spese effettuate con tale mezzo di pagamento, era previsto (art. 7, comma 2) che:
“ Il titolare della carta di credito deve far pervenire, entro il
15 del mese successivo a quello in cui le spese sono state sostenute, all'ufficio competente per la liquidazione, apposito riepilogo corredato della prescritta documentazione giustificativa, ivi comprese le ricevute rilasciate dai fornitori di beni e/o servizi attestanti l'utilizzo della carta stessa.”
Naturalmente siffatta prescrizione era funzionale a consentire all’ ufficio preposto alla liquidazione delle spese la verifica della rispondenza (o “inerenza”) delle medesime spese alle finalità indicate al comma 2 dell’art. 1 del Regolamento.
Tale era dunque il quadro normativo di riferimento all’epoca dei fatti di causa.
A ciò va aggiunto, per completezza, che le determinazioni dirigenziali (del Comune di Segrate) di assegnazione della carta di credito facevano riferimento alla normativa sopra richiamata. Che era dunque ben nota. Ed inoltre, a proposito delle dette “determine” dirigenziali, la Procura regionale accertava che esse non coprivano il periodo 2013/2015, ancorchè sia stato provato che in quel periodo il Sindaco aveva utilizzato una carta di credito intestata al Comune di Segrate. Tale ultima “anomalia” non era tuttavia approfondita dal primo Giudice, atteso che la questione poteva ritenersi assorbita nelle censure relative all’estraneità delle spese ai fini istituzionali o all’assenza di documentazione giustificativa.
4. Il Collegio ritiene che debba essere subito scrutinata, per il suo carattere preliminare, la questione relativa all’eccezione di prescrizione, già formulata e rigettata in primo grado. Sostiene l’appellante che, dovendosi escludere una sua condotta dolosa finalizzata all’occultamento delle spese (e di conseguenza, del danno), si applicherebbe il principio per il quale la prescrizione decorre dal momento della spesa, cioè dal momento in cui il danno si è materialmente verificato.
Non rileverebbe, in tale tesi, il momento del compimento delle postume attività di verifica, come invece argomentato dal primo Giudice.
Aggiunge l’appellante che le dette spese, in ipotesi illecite e dannose, erano conosciute e comunque conoscibili - nell’ambito degli uffici comunali materialmente preposti al loro pagamento, prenotazione, registrazione, controllo delle rendicontazioni, etc. - da più soggetti (segreteria del sindaco, segretario comunale, ragioneria) che avrebbero potuto/dovuto riscontrare le asserite irregolarità e denunciarle.
5. Ciò premesso, il Collegio è chiamato a decidere se l’azione risarcitoria proposta a suo tempo dalla Procura regionale nei confronti del signor Alessandrini sia stata tempestiva (anche per le spese effettuate nel 2010 e sino al 23 giugno 2011) come sostenuto dal primo Giudice e dal Procuratore generale concludente; ovvero, secondo le argomentazioni dell’appellante, sia stata esercitata – almeno per le anzidette spese effettuate in epoca antecedente al quinquennio dalla notifica dell’invito a dedurre - quando era già decorso il termine quinquennale di prescrizione.
La questione si concentra dunque sul “dies a quo”, cioè sul termine di decorrenza della prescrizione.
Secondo il primo Giudice esso decorrerebbe dal momento della conoscenza dei fatti dannosi, che viene individuato nell’emersione degli illeciti amministrativi a seguito della verifica interna. Infatti, solo dal momento in cui la verifica è stata portata a compimento, l’Amministrazione è stata posta in grado di esercitare le proprie pretese risarcitorie e ciò per generale applicazione dell’art. 2935 c.c.
Prima di tale ultimo momento, pur usando l’ordinaria diligenza, la produzione del danno non era oggettivamente percepibile e conoscibile da parte dell’Amministrazione danneggiata.
La contraria tesi, nella quale si sostanzia lo specifico motivo di appello, si impernia – con riferimento al caso concreto - sulla conoscibilità oggettiva del danno, posto che nell’ambito delle attività materiali dei funzionari preposti al controllo dei documenti di spesa gli asseriti fatti dannosi sarebbero stati “conoscibili”.
7. Com’è noto, ai sensi dell’art. 1, comma 2 della legge 20/1994 e succ. modif. “ Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta”. La detta disciplina consolidava l’indirizzo giurisprudenziale di cui alla sentenza SS.RR. n.743/1992, ribadendo il principio della decorrenza della prescrizione dalla conoscibilità obiettiva del danno, restando salvo il principio della conoscenza effettiva solo in caso di occultamento doloso.
Il recente Codice di giustizia contabile ha posto limiti alla possibilità di reiterate interruzioni dei termini di prescrizione dell’azione risarcitoria erariale (art. 66 c.g.c), ma non ha apportato modifiche ai principi generali dell’istituto. La Corte dei conti, da parte sua, in questi anni - in relazione alla varietà delle fattispecie dannose portate alla sua cognizione - ha elaborato una copiosa giurisprudenza in merito al termine iniziale di decorrenza della prescrizione e al concetto del “fatto dannoso” suscettibile di far decorrere la prescrizione.
Infatti, il carattere ordinariamente non tipizzato dell’illecito dannoso ha imposto al Giudice contabile, nel declinare la regola generale ex art. 2935 c.c. (che è ovviamente applicabile anche alla prescrizione dell’azione risarcitoria erariale), importanti sforzi interpretativi per individuare nel “fatto dannoso” – che è costituito dal binomio “condotta/danno” - sia il momento dell’effettivo verificarsi del danno, che può essere temporalmente distinto dalla condotta dannosa, sia il momento di esordio della prescrizione dell’azione risarcitoria erariale, che può fisiologicamente non coincidere con la verificazione materiale del pregiudizio patrimoniale laddove al soggetto danneggiato sia impedita la stessa conoscibilità del danno.
Quanto al termine iniziale della prescrizione, la giurisprudenza della Corte, come si è detto, da tempo ha condiviso gli arresti della Cassazione, che hanno individuato nella percepibilità e “conoscibilità obiettiva” del danno da parte del danneggiato il “dies a quo” della prescrizione, mentre hanno fatto riferimento, per individuare tale decorrenza, al momento della “conoscenza” effettiva del danno nei casi in cui cause giuridiche ne abbiano impedito la conoscibilità obiettiva.
Ciò premesso, il Collegio rileva che le argomentazioni e i principi enunciati nella impugnata sentenza in tema di esordio della prescrizione sono in linea con la giurisprudenza corrente.
Ritiene tuttavia il Collegio che nella fattispecie in esame andava anche adeguatamente valutata e valorizzata l’incidenza, ai fini del computo del termine prescrizionale, dell’omesso adempimento delle prescrizioni contenute nelle determine dirigenziali di assegnazione e autorizzazione all’uso della carta di credito, e specificamente dell’obbligo (comunque previsto dal richiamato art. 9 del DM n.701/1996) in capo all’utilizzatore della carta di credito, di produrre entro il 15 del mese successivo a quello di effettuazione delle spese un riepilogo delle spese medesime, con allegata la documentazione giustificativa.
In sostanza, semplificando, se il titolare della carta di credito adempie alla suddetta prescrizione, che per lui è un preciso obbligo giuridico, può ritenersi che dal momento del deposito del “riepilogo” (o “rendiconto”, comunque lo si voglia chiamare) l’Amministrazione sia posta in astratto in grado di controllare l’inerenza della spesa rispetto alle prescrizioni di cui alla L. 549/95. Ma, al contrario, se il riepilogo non è prodotto, tale controllo – e quindi la stessa conoscibilità del danno - è di fatto impedito, attesa che la mera trasmissione degli estratti di spesa da parte della banca o il deposito delle fatture, se pure consente il loro pagamento, non permette – per l’assenza del riepilogo e soprattutto della documentazione giustificativa - il controllo sulla legittimità della spesa medesima.
Ed è ciò che nella fattispecie è accaduto, atteso che l’omesso adempimento da parte dell’Alessandrini degli obblighi di inoltro del riepilogo corredato della documentazione giustificativa, non consentendo l’apprezzamento dell’inerenza della spesa, di fatto aveva impedito la “esteriorizzazione” e conseguente “percepibilità” del danno medesimo da parte dell’amministrazione danneggiata, e dunque la sua stessa “conoscibilita”.
Può inoltre affermarsi che l’omesso volontario adempimento dell’obbligo giuridico di trasmissione della documentazione giustificativa di una spesa equivale a non palesarne volontariamente l’inerenza alle necessarie finalità istituzionali.
In conclusione, l’eccezione di prescrizione non può essere accolta , atteso che tutte le spese effettuate nel 2010 e sino al 23 giugno 2011 ( cfr. tabelle allegate dell’atto di citazione), per le quali il sindaco Alessandrini ha eccepito , come motivo d’appello, l’intervenuta prescrizione alla data della notifica dell’invito a dedurre, sono risultate – all’esito degli accertamenti istruttori svolti prima del detto invito a dedurre - prive della documentazione prescritta dalle determine dirigenziali e dalla normativa di riferimento. Essendone stata impedita, per la suddetta ragione, la oggettiva “conoscibilità”, il termine prescrizionale non era pertanto già decorso prima dell’esito della verifica interna.
Il fatto che talune delle anzidette spese siano state oggetto ex post (cioè dopo la notifica dell’invito a dedurre) di ricostruzione documentale ad opera degli stessi convenuti non incide ovviamente sulla prescrizione.
Il primo motivo d’appello va pertanto respinto.
8. Gli altri motivi di appello, in sintesi, si concentrano sul merito delle spese, sull’assenza dell’elemento psicologico del dolo o della colpa grave, sulla mancata considerazione degli elementi difensivi proposti in primo grado.
Il Collegio ritiene che la stretta interconnessione dei motivi d’appello suddetti ne suggerisce l’esame congiunto.
Come esattamente osservato dal primo Giudice, si deve qui ribadire che la carta di credito, avuto riguardo al quadro normativo in precedenza richiamato, è uno strumento alternativo di pagamento non per qualsiasi tipologia di spesa, ma lo è solo per quelle specificamente previste dalla norma (art. n.701/96) e solo “qualora non sia possibile o conveniente ricorrere alle ordinarie procedure” (art. 1 , comma 47 L.549/1995).
Ed è strettamente correlato a tali limitazioni, l’obbligo giuridico di dar conto mese per mese delle spese effettuate, attraverso la presentazione di un riepilogo, corredato da adeguata documentazione comprovante non solo l’effettuazione della spesa, che gli estratti conti bancari o le fatture, ove in atti, pacificamente documentavano, ma la conformità della stessa spesa alle finalità istituzionali specificamente elencate nel D.M. 701/1996, che era richiamato nelle determine (cfr. determina n.1/2005) di assegnazione e autorizzazione all’utilizzo della carta di credito.
E’ stato osservato, a tale riguardo, che “la giustificazione della spesa forma oggetto di una obbligazione correlata alla fondamentale esigenza di garantire l’interesse alla trasparenza e alla legittimità dell’impiego del denaro pubblico” (sent. pag. 18).
Il “passaggio” motivazionale successivo ribadisce che presupposto per la liceità della spesa è la verifica – mediante esame del riepilogo e della documentazione di riferimento – della rispondenza della spesa agli specifici fini per i quali la legge autorizzava l’uso della carta di credito.
Questo passaggio, contenuto a pag. 18 della sentenza impugnata, sembra evidenziare, nella prospettiva che offre il primo Giudice, un rapporto di identità tra dannosità e illegittimità della spesa – entrambe conseguenti al mancato rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dalle norme per l’utilizzazione del mezzo di pagamento con carta di credito.
Sennonchè, secondo pacifica giurisprudenza, un atto formalmente illegittimo può, sotto il profilo sostanziale, non essere dannoso o esserlo in una misura più contenuta rispetto al quantum della spesa illegittima, ad esempio ove il Giudice tenga conto dei vantaggi “comunque” conseguiti dall’Amministrazione o dalla comunità amministrata.
Nel caso in esame, la sicura dannosità si deve collegare non (solo) alla inosservanza di prescrizioni normative circa l’uso del mezzo di pagamento, quantunque tale inosservanza possa concretizzare una condotta anche gravemente colposa, ma alle spese, frutto della medesima condotta, del tutto prive di documentazione o estranee in modo palese e inequivocabile alle finalità istituzionali e all’interesse pubblico. Dopo di ciò, avuto riguardo agli elenchi allegati alla citazione in giudizio, non può negarsi l’esistenza di spese che non sembrano perseguire interessi personali e che, pur con l’improprio utilizzo del mezzo di pagamento e la violazioni di prescrizioni formali, non escludono il rapporto con gli interessi dell’ente o il possibile vantaggio conseguito dalla collettività.
E’ il caso, ad esempio, di spese collegate ad eventi di sicuro rilievo pubblico, alle colazioni – confermate, sia pure ex post, da dichiarazioni degli Ufficiali comandanti - offerte ai militari impegnati nel disinnesco di ordigni esplosivi nel territorio comunale, alle colazioni offerte ai rappresentanti delle Forze dell’Ordine in occasione dell’allestimento di mostre o la preparazione e lo svolgimento di eventi (Festa delle Forze Armate, I Carabinieri Reali nel Bicentenario della fondazione dell’Arma dei Carabinieri, Commemorazione caduti di Nassirya, 150° anniversario Unità d’Italia, Mostra sulla “Grande Guerra”, Concerti gratuiti delle fanfare militari presso le scuole, Concerto di Natale dell’Aeronautica Militare, etc.).
Alla luce di quanto sin qui argomentato, il Collegio ritiene che l’esercizio del potere di riduzione dell’addebito consenta di tener conto delle anzidette circostanze di fatto e delle ragioni sostanziali di parte delle spese effettuate, senza venir meno ai rilievi mossi ad una condotta censurabile sul piano formale e di stretta legittimità.
Il Collegio, per le motivazioni sopra esposte, ritiene di fare uso del c.d. potere riduttivo; di conseguenza riducendo la misura dell’addebito posto a carico del signor Alessandrini del 50% rispetto alla condanna di primo grado, compensando le spese del presente grado.
In conclusione, il danno imputato al signor Alessandrini è determinato dal Giudice d’appello in euro 8600,77===
Ogni altra questione è assorbita nella decisione assunta.
Per Questi Motivi
Visti gli artt. 100 e 102 comma 6 del c.g.c.
La Corte dei conti – Sezione III giurisdizionale d’appello
definitivamente pronunciando sull’appello iscritto al numero 53181 del registro di segreteria, proposto dal signor Adriano Alessandrini avverso la sentenza n. 163/2017 della Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la regione Lombardia:
- accoglie parzialmente l’appello, limitatamente all’invocato ulteriore esercizio del potere riduttivo dell’addebito e per l’effetto ridetermina la condanna dell’appellante a favore del Comune di Segrate in euro 8600,77======oltre interessi legali dal deposito della sentenza sino al soddisfo.
Conferma la condanna alle spese del primo grado e compensa le spese del grado d’appello.
Così deciso nelle camere di consiglio del 23 ottobre 2019 e 15 gennaio 2020.
IL PRESIDENTE – estensore
F.to Angelo Canale
Depositata in Segreteria il 21.01.2020
Il Dirigente
F.to Salvatore Antonio Sardella