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16/04/2020 - Furbetti del cartellino: la disposizione legislativa introdotta nel 2016 in materia di danno erariale è illegittima per "eccesso di delega"

tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Furbetti del cartellino: la disposizione legislativa introdotta nel 2016 in materia di danno erariale è illegittima per "eccesso di delega"
di Massimo Asaro - Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile affari legali e istituzionali
 
Il danno all'immagine della P.A. non ha, come spesso accade in materia di danni patrimoniali e non patrimoniali, una positivizzazione legislativa ma è frutto di un'elaborazione giurisprudenziale del giudice contabile (iniziata con Corte del Conti, Sez. giurisd. Umbria, 28 maggio 1998, Sent. n. 628) e basata sull'art. 97 della Costituzione [Nassis C., Profili evolutivi del danno erariale e recenti approdi giurisprudenziali in tema di risarcimento del danno all'immagine ed al prestigio della pubblica amministrazione, su Giustamm.it, 2005]. Il danno all'immagine della P.A. si sostanzia in una menomazione della funzionalità dell'Amministrazione che, in base agli artt. 97 e 98 Cost., deve agire in modo efficace, efficiente, economico e imparziale; è un «danno pubblico in quanto lesione del buon andamento della P.A. che perde, per la condotta illecita dei suoi dipendenti, credibilità ed affidabilità all'esterno ed ingenera la convinzione che i comportamenti patologici posti in essere dai propri appartenenti siano un connotato usuale dell'azione dell'Ente» (Corte dei Conti, Sez. giurisd. Lombardia, 31 gennaio 2005 sent. n. 2228). Esso è pertanto una categoria particolare del danno erariale, di cui alla L. n. 20/1994, e ha ricevuto una prima considerazione legislativa solo con l'art. 17, comma 30-ter, D.L. n. 78/2009, convertito, con modificazioni, nella L. n. 102/2009 contestualmente "corretto" dall'art. 1, comma 1, lettera c), numero 1), del D.L. n. 103/2009 convertito, con modificazioni, nella L. n. 141/2009. Tale fonte non ne definisce gli aspetti fondamentali (condotta, bene giuridico, evento, criteri di quantificazione…) ma si limita a ricondurlo alla commissione di reati contro la P.A. (previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale) di cui alla L. n. 97/2001 e ne regola la sospensione della prescrizione. Su tali disposizioni la Corte Costituzionale si è pronunciata nel 2010, con la Sent. n. 355, disconoscendo la fondatezza delle questioni proposte sia nel merito sia per quanto riguarda l'introduzione mediante lo strumento del decreto legge (art. 77 Cost.). La Consulta non ha ritenuto irragionevole che il legislatore, nell'ambito della propria discrezionalità, avesse limitato il risarcimento del danno ai soli casi in cui sia stato commesso un delitto contro la p.a. e non anche in presenza di condotte non delittuose altrettanto gravi oppure in presenza di reati diversi da quelli espressamente indicati [Vetro A., Il danno all'immagine della P.A. dopo il Lodo Bernardo (art. 17, comma 30-ter, D.L. n. 78 del 2009): una discutibile sentenza della Consulta, su Giustamm.it, 2011]. Per la Corte, il danno all'immagine è quello «derivante dalla lesione del diritto all'immagine della p.a. nel pregiudizio recato alla rappresentazione che essa ha di sé in conformità al modello delineato dall'art. 97 Cost.». Il Codice della Giustizia contabile (D.Lgs. n. 174/2016 e s.m.i.), nel mettere ordine alla legislazione sui procedimenti trattati dalla Corte dei Conti, fa un cenno all'azione del PM contabile per il danno all'immagine, con un riferimento all'art. 51. La disposizione conferma il legame della fattispecie dannosa con un presupposto fatto di reato commesso ai danni di una P.A., senza più la limitazione tipologica prima prevista dall'art. 7L. n. 97/2001 [D'Angelo, Codice della Giustizia Contabile e danno all'immagine della p.a.: un'apprezzabile ampliamento di tutela (nota a Corte del Conti., Sez. Giur. Lombardia, 1 dicembre 2016, n. 201), su Giustamm.it, 2016]. Il danno all'immagine si distingue, oltre che dal danno erariale proprio da inadempimento, pari allo squilibrio nel sinallagma contrattuale tra le retribuzioni corrisposte e le prestazioni rese, anche dal danno da disservizio corrispondente alle risorse inutilmente spese per l'attivazione e la conclusione della procedura disciplinare che il comportamento fraudolento del lavoratore ha innescato (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Basilicata, 8 maggio 2019, sent. n. 18) [Crepaldi D., Il danno da disservizio: nozione e forme di tutela, su Resp. civile e Previdenza, 3/2016].
La fraudolenta attestazione della presenza in servizio dei dipendenti pubblici (contrattualizzati) è un reato introdotto dal D.Lgs. n. 150/2009 che ha apportato varie modifiche al D.Lgs. n. 165/2001, tra le quali, l'aggiunta dell'art. 55-quinquies, titolato "False attestazioni o certificazioni" [sul rapporto di tale reato con il reato di truffa aggravata, v. Cass. pen., Sez. II, 4 gennaio 2011 sent. n. 38, con nota di Trotta F. su Diritto penale contemporaneo; v. Cass. pen., Sez. II, 23 gennaio 2019 sent. n. 3262, con nota di Asteggiano G. su AziendaItalia n. 3/2019]. Premesso il reato descritto dalla disposizione citata, a seguito della L. n. 124/2015, il Governo ha adottato il D.Lgs. n. 116/2016 recante "Modifiche all'articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera s), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di licenziamento disciplinare" [Rossi N., Brevi note sul licenziamento disciplinare del dipendente pubblico dopo il D.Lgs. 20 giugno 2016, n. 116, Argomenti Dir. Lav., 2017]. Tale fonte ha introdotto il comma 3-quater, censurato dalla Consulta per le ragioni esposte più avanti, che così dispone: "Nei casi di cui al comma 3-bis, la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti avvengono entro venti giorni dall'avvio del procedimento disciplinare. La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d'immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. L'azione di responsabilità è esercitata, con le modalità e nei termini di cui all'art. 5D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 gennaio 1994, n. 19, entro i centocinquanta giorni successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga. L'ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l'eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia". Il decreto legislativo è stato oggetto di censure della Consulta nel 2016 (sent. n. 251) e perciò modificato con un apposito provvedimento "sanante" (D.Lgs. n. 118/2017), poco dopo l'ampia revisione della normativa disciplinare operata da altro decreto delegato (D.Lgs. n. 75/2017) dalla medesima legge delega (L. n. 124/2015) [Romeo C., Nuove regole del procedimento disciplinare nei rapporti di pubblico impiego, su Lavoro nella Giur., 2019]. E' indispensabile ricordare che il Consiglio di Stato, Comm. Spec., con il parere n. 864/2016, aveva espresso l'auspicio che il Governo valutasse di espungere dal testo di schema di decreto proprio le disposizioni relative all'azione di responsabilità per danno d'immagine perché estranee alla materia della responsabilità disciplinare e al procedimento disciplinare, delegata dal Parlamento, trattandosi di responsabilità di diversa natura con diverse e separate azioni davanti a differenti autorità (peraltro attivabili senza previo giudicato penale). Dunque quanto recentemente affermato dalla Corte Costituzionale non è un argomento inedito (V. anche Cons. Stato, Comm. spec., pareri nn. 801/2017 e 916/2017). Il Consiglio di Stato aveva persino affermato che «Il mantenimento della disposizione, stante il contrasto con la delega, potrebbe condurre ad azioni in sede giurisdizionale con esito favorevole proprio per gli eventuali dipendenti infedeli, così vanificando il giusto principio di tutela dell'immagine che le Amministrazioni devono perseguire».
L'eccesso di delega legislativa è quanto ha ravvisato sussistere (anche) la Corte Costituzionale con la sentenza in commento; infatti, diversamente da quanto avvenuto con la precedente L. n. 15/2009, laddove il legislatore aveva espressamente delegato il Governo a prevedere, a carico del dipendente responsabile, l'obbligo del risarcimento sia del danno patrimoniale che del danno all'immagine subìti dall'amministrazione, tanto non si rinviene nella legge di delegazione n. 124/2015 che, all'art. 17, comma 1, lettera s), prevede unicamente l'introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti, finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare. Il Governo ha legificato senza avere una copertura legislativa delegante e ciò contrasta con l'art. 76 Cost.. Infine la Corte, nel ribadire che nella L. n. 124/2015 non può ritenersi compresa la materia della responsabilità amministrativa e, in particolare, la specifica fattispecie del danno all'immagine arrecato dalle indebite assenze dal servizio dei dipendenti pubblici, supera quanto rimessole dal giudice a quo e dichiara l'illegittimità costituzionale anche del secondo e del terzo periodo dell'art. 55-quater, comma 3-quater, perché essi sono funzionalmente inscindibili con l'ultimo (oggetto di impugnazione) e costituenti complessivamente un'autonoma fattispecie di responsabilità amministrativa non consentita dalla legge di delega.
 
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