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02/04/2020 - Coronavirus - Servizi educativi e socio-assistenziali, la riconversione delle attività rende esigibile il pagamento

da quotidianoentilocali.ilsole24ore.com - pubblichiamo eccezionalmente quale fonte autorevole in momento di emergenza al fine di offrire un supporto a tutti gli operatori degli enti locali
Coronavirus - Servizi educativi e socio-assistenziali, la riconversione delle attività rende esigibile il pagamento
di Elena Masini e Daniela Ghiandoni
 
 
Nel complesso delle ricadute che l'emergenza Coronavirus determina sui contratti pubblici, un'attenzione particolare va posta su quelli che riguardano prestazioni inerenti i servizi socio-assistenziali ed educativi-scolastici. A essi infatti il Governo, con il decreto «Cura Italia», ha dedicato un'attenzione particolare. L'articolo 48 del decreto legge 18/2020 prevede, al comma 1, che le pubbliche amministrazioni si avvalgano dei lavoratori già impiegati in questi servizi per lo svolgimento di prestazioni individuali domiciliari o a distanza ovvero rese «nel rispetto delle direttive sanitarie negli stessi luoghi ove si svolgono normalmente i servizi senza ricreare aggregazione». Competerà alle amministrazioni individuare le priorità necessarie a fronteggiare le esigenze della collettività colpita dall'emergenza sanitaria, anche ricorrendo alla co-progettazione con i medesimi gestori. Le nuove prestazioni in cui riconvertire il contratto originario potrebbero consistere, ad esempio, nella consegna di pasti o della spesa a domicilio, nella fornitura di pasti per le persone in difficoltà, nell'assistenza domiciliare eccetera. L'unica condizione posta dalla norma è che venga garantita la tutela della salute degli operatori e degli utenti, attraverso protocolli sottoscritti tra le parti che superano gli accordi vigenti. Ovviamente spetterà alle parti stabilire l'ammontare del nuovo corrispettivo dovuto per tali prestazioni alternative, mentre competerà al RUP, mediante una relazione che attesti la congruità del prezzo.
Se il comma 1 dell'articolo 48 del decreto pare quindi introdurre un onere per gli enti di attivarsi affinché vengano individuate prestazioni alternative da rendere in questa fase emergenziale e da affidare ai gestori, è il comma 2 che desta le maggiori perplessità. Esso infatti autorizza le medesime pubbliche amministrazioni «al pagamento dei gestori privati dei suddetti servizi per il periodo della sospensione, sulla base di quanto iscritto nel bilancio preventivo». Sulla base di questa disposizione, sono già diverse le associazioni di categoria (specie nel settore del trasporto) che hanno inviato ai Comuni lettere in cui chiedono il pagamento delle prestazioni previste dal contratto, pur senza aver svolto le relative attività. E di fronte alle richieste (a cui farà seguito l'emissione della fattura) gli enti si chiedono se il pagamento sia dovuto oppure no. Sul punto la disposizione pare cogente e non lasciare margini di discrezionalità, pur disegnando un procedimento che possiamo così riepilogare:
a) innanzitutto, verrà verificata la possibilità di riconvertire le prestazioni contrattuali in attività utili all'ente, stabilendo il relativo importo;
b) successivamente le amministrazioni dovranno quantificare le minori entrate che discenderanno dalla sospensione dei servizi, che andranno sottratte dalle disponibilità dei capitoli di bilancio dedicati al pagamento del corrispettivo contrattuale;
c) le risorse nette rese disponibili a bilancio verranno utilizzate per il pagamento delle prestazioni riconvertite e, qualora residuassero delle somme, queste saranno comunque riconosciute all'appaltatore solo «previa verifica dell'effettivo mantenimento, ad esclusiva cura degli affidatari di tali attività, delle strutture attualmente interdette, tramite il personale a ciò preposto, fermo restando che le stesse dovranno risultare immediatamente disponibili e in regola con tutte le disposizioni vigenti, con particolare riferimento a quelle emanate ai fini del contenimento del contagio da Covid-19, all'atto della ripresa della normale attivita».
Un esempio aiuterà a capire meglio. Ipotizziamo che un ente abbia sottoscritto un contratto per le educatrici di asilo nido il cui corrispettivo mensile ammonta a 30.000 euro. Le minori entrate acquisite al bilancio comunale, rapportate a mese, ammontano a 9.000 euro (copertura 30%). Le risorse a carico del bilancio ammontano quindi a 21.000 euro. L'ente ha concordato con la cooperativa prestazioni alternative, il cui compenso è stato pattuito in 15.000 euro. Questo importo verrà quindi riconosciuto a tale titolo, mentre la differenza di 6.000 euro potrà essere riconosciuta solamente se l'ente verificherà, mediante documentazione acquisita agli atti, l'effettivo mantenimento delle strutture interdette a cura degli affidatari.
La norma quindi pare limitare l'esigibilità del pagamento ai soli contratti in cui sia possibile dimostrare tale condizione, escludendo quelli in cui l'affidatario non ha in carico la gestione delle strutture interdette ovvero non ne dimostra il mantenimento. Un discrimine che non sarà certo di agevole applicazione e che potrebbe sfociare in un contenzioso con gli appaltatori, stante la non chiara formulazione della disposizione.
Un altro grattacapo per gli enti, già alle prese con la difficile gestione dell'emergenza e del groviglio normativo che la stessa ha portato con sé. Si auspica che, in sede di conversione in legge, la norma venga modificata al fine di renderla di più facile applicazione, con introduzione anche di forme di compensazioni finanziarie a favore degli enti chiamati a darvi applicazione, considerato che la stessa eviterebbe la corresponsione della cassa integrazione salariale a carico del bilancio statale.
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