18/08/2020 - La tutela dell’utente fragile negli appalti di servizi: una ulteriore lettura costituzionalmente orientata delle clausole sociali di riassorbimento
tratto da giustizia-amministrativa.it
La tutela dell’utente fragile negli appalti di servizi: una ulteriore lettura costituzionalmente orientata delle clausole sociali di riassorbimento
Sommario: 1. Inquadramento della questione. – 2. Nuove prospettive di lettura. – 3. Evoluzione normativa e giurisprudenziale della disciplina delle clausole sociali nei contratti d’appalto: finalità della previsione. – 4. Critica all’impostazione attuale e proposta di nuova lettura.
1. Inquadramento della questione. – L’articolo 41 della Costituzione è senza dubbio un’emblematica conquista dell’avvento dello “Stato sociale”[1], cioè di quel tipo di organizzazione e finalizzazione dello Stato che “pur conservando i tradizionali istituti giuridici della proprietà privata e della libertà di iniziativa economica privata, non li considera più come un “mito” dal valore intangibile e ritiene necessario intervenire nel settore dei rapporti economici per coordinare l'attività economica ed indirizzarla al raggiungimento di un maggiore benessere comune”.
Vi si legge infatti che la libertà d'impresa e, dunque, la tutela della concorrenza, non sono valori assoluti, poiché non si possono svolgere “in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Segue poi, a maggior riprova, il monito al legislatore: “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”
La norma impone, dunque, il bilanciamento della libertà imprenditoriale con le esigenze di utilità sociale, incastonando in questa parentesi di legittimità gli interventi del legislatore.
È con questo sguardo che bisogna approcciarsi allo studio dell’istituto delle “clausole sociali”:[2] norme di origine legislativa o pattizia che, se riferite soggettivamente all’esecutore di un appalto pubblico, impongono di pianificarne l’esecuzione e di allestire la propria struttura organizzativa, in modo da rispettare determinati criteri di protezione sociale e dei lavoratori dell’impresa.
Non sfugge certo che un bando di gara condizionato dalla presenza di una clausola sociale, può circoscrivere in maniera significativa la libertà d'impresa, considerata come organizzazione dei fattori della produzione, poiché vengono imposti all’imprenditore, particolari oneri determinati dalla necessità di realizzare, unitamente alla libertà economica e alla concorrenza, interessi sociali variamente declinati, ma per lo più consistenti nella tutela dell’occupazione o nella garanzia di inserimento lavorativo di categorie svantaggiate.
L’argomento, benchè non più “nuovo”, in quanto di clausole sociali si discorre fin dagli anni ’90 del secolo scorso, continua a destare svariati interrogativi di dottrina e giurisprudenza, tanto che, con la delibera 13 febbraio 2019, n. 114, l’ANAC ha adottato le Linee guida n. 13, con l’intento di fornire chiarimenti interpretativi della clausola sociale prevista dall'art. 50 del codice dei contratti, di cui si dirà più avanti.
L’adozione Linee Guida, scaturite a seguito di un fruttuoso scambio tra i diversi operatori pubblici e privati coinvolti nel settore degli appalti, è stata salutata, proprio per tale ampio e qualificato dialogo che l’ha preceduta, come un approdo fermo che avrebbe dovuto scongiurare o, perlomeno, ridurre al massimo il contenzioso in materia.
Così non è stato. Occorre considerare in questa sede preliminare che, per quanto attiene all’analisi oggetto di questo contributo, le suddette Linee Guida avevano esposto quello che sembrava essere ormai un punto fermo per la giurisprudenza italiana: la stazione appaltante non può applicare la clausola sociale “imponendo” all’aggiudicatario di assorbire automaticamente tutto il personale impiegato dal precedente esecutore.
Il punto sembra essere però tutt’ora particolarmente controverso, tanto che, nei mesi successivi al febbraio 2019 sono state molteplici, e ancora oggi lo sono, le pronunce dei T.T.A.A.R.R. e del Consiglio di Stato in tema di clausole sociali di riassorbimento del personale.
Tra le tante, la sentenza n. 5243 del 24.07.2019, successiva alle Linee Guida n. 13, ha ancora una volta pronunciato sui limiti di legittimità delle clausole sociali dei bandi di gara. La pronuncia è scaturita dall’impugnazione della sentenza di primo grado del T.A.R. Lazio, Roma[3], che aveva ritenuto legittima la clausola sociale inserita nella procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento, da parte di un istituto di istruzione, del servizio di assistenza scolastica specialistica agli alunni con disabilità nell’anno scolastico 2018/2019. La clausola stabiliva che “per garantire la continuità didattica l’offerta dovrà necessariamente prevedere la conferma e l’utilizzo in servizio per conto dell’affidatario di almeno il 50 % degli operatori già operativi negli istituti della rete nell’anno scolastico da poco conclusosi”.
Il medesimo bando fissava, inoltre, tra i criteri di assegnazione del punteggio per la valutazione delle offerte, una voce che assegnava rilievo alla continuità del servizio con l’assunzione del personale già operativo negli istituti della Rete, nell’anno scolastico precedente, attribuendo sino a un massimo di 25 punti sui 50 totali al concorrente che si fosse impegnato a riassorbire il maggior numero del suddetto personale.
L’innovatività della decisione in esame risiede sicuramente, come è già stato evidenziato[4], nel fatto che la clausola sociale, se valutata ex se ed isolatamente, avrebbe certamente superato indenne il vaglio di legittimità; al contrario, il giudizio è stato ribaltato e si è giunti alla conclusione della illegittimità della stessa, poiché è stata vagliata operando un esame congiunto col criterio di valutazione delle offerte, nell’ottica di una lettura complessiva delle clausole del bando. La previsione di riassorbimento richiesta dalla clausola, infatti, solo apparentemente rispettosa del dettato legislativo, se letta trasversalmente col criterio di valutazione delle offerte, aveva in concreto il duplice effetto di violare da una parte il divieto di imporre ai concorrenti l'assunzione di tutti i lavoratori impiegati dall'appaltatore uscente e dall’altra di creare un favor per i concorrenti che, di fatto, si fossero impegnati a reimpiegare la totalità dei lavoratori utilizzati dal precedente affidatario.
2. Nuove prospettive di lettura. – Il particolare interesse che il tema delle clausole sociali di riassorbimento (totale) desta, è dovuto alla caratteristica di essere un punto di interferenza di almeno tre aree tematiche, afferenti a diritti costituzionalmente tutelati: 1. la libertà di iniziativa economica (41 Cost.); 2. il lavoro e i diritti del lavoratore (artt. 4, 35, 36, 38 Cost.); 3. la solidarietà sociale, la tutela della persona e l’uguaglianza sostanziale (artt. 2 e 3 Cost.). Gli spunti forniti dalle plurime sentenze sull’argomento possono così indurre l’interprete ad un’astrazione rispetto alla vicenda concreta e ad un suo inquadramento in una prospettiva ben più ampia, relativa alla funzione della giurisprudenza: formale procedimento di sussunzione della fattispecie concreta sotto norme e conseguente loro fredda applicazione o coraggiosa interpretazione (mai arbitrio creativo) costituzionalmente orientata, al fine di assolvere a funzioni di giustizia sostanziale oltre che di legalità formale?[5]
A tale scopo si cercherà di dar conto brevemente dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale della disciplina delle clausole sociali nei contratti d’appalto, concentrandosi specificamente sulle finalità di tutela alle quali, via via, questa è stata asservita, per poi approdare a riflessioni sulla possibilità di attribuire alle norme interessate un significato ulteriore - e per certi versi antitetico rispetto a quello attualmente assodato - derivante da una loro differente ed innovativa interpretazione assiologica.
3. Evoluzione normativa e giurisprudenziale della disciplina delle clausole sociali nei contratti d’appalto: finalità della previsione. - Prima di addentrarsi nelle riflessioni di cui sopra, occorre dare sinteticamente conto del percorso normativo ed interpretativo condotto dalla disciplina delle clausole sociali nei contratti d’appalto.
Affermatesi dapprima in normative di settore, sono state per la prima volta disciplinate con ambito applicativo più generale, relativo al settore degli appalti, ancorché in maniera molto marginale e del tutto incompleta, con la c.d. riforma Biagi[6].
Per ciò che attiene all’analisi in corso e soffermandosi unicamente sull’ambito lavoristico, le clausole sociali sono tradizionalmente suddivise in due tipologie:[7] le c.d. clausole sociali “di prima generazione”, o di equo trattamento[8], che obbligano l’appaltatore ad applicare ai propri lavoratori i trattamenti normativi ed economici previsti dalla legislazione nazionale e non da quella del Paese di stabilimento o di garantire retribuzioni non inferiori ai limiti fissati dalla contrattazione collettiva; le clausole sociali “di seconda generazione”, a loro volta suddivise in clausole di inserimento sociale che prescrivono l’assunzione di personale appartenente a categorie svantaggiate in misura superiore ai limiti di legge, e clausole di riassorbimento[9], che perseguono scopi di tutela dell’occupazione, imponendo all’appaltatore subentrante, in caso di successione nell’appalto, di reimpiegare la forza lavoro impiegata in precedenza dall’appaltatore uscente.
L’istituto ha destato, fin dai suoi albori, l’interesse della dottrina e specialmente della giurisprudenza nazionale ed europea, in quanto punto di interferenza di principi cardine dei due ordini di regolamentazione.
Da subito infatti gli interpreti si sono scontrati con la difficoltà di far coesistere siffatte clausole, orientate alla tutela dell’occupazione, con principi cardine dell’ordinamento interno, quali la libertà di iniziativa economica e di impresa di cui all’art. 41 Cost., e comunitari, in special modo la libera concorrenza[10].
È del tutto evidente d’altronde, che l’inserimento delle clausole sociali, se da un lato rappresenta un meccanismo virtuoso di incentivo per le imprese che vengono rese socialmente responsabili dei lavoratori[11], dall’altro limita in maniera consistente la libertà di organizzazione dell’appaltatore e le sue strategie aziendali e dunque, potenzialmente, il libero svolgimento del gioco della concorrenza in un settore, quello degli appalti pubblici eseguiti in Italia, che ha registrato un volume d’affari pari a 64,8 miliardi nel secondo quadrimestre del 2019 e di 54,3 miliardi nel terzo, con un costante incremento rispetto agli stessi periodi negli anni precedenti[12].
Dinnanzi a siffatto conflitto di interessi e di valori in gioco, la Corte di Giustizia ha in principio mostrato un atteggiamento molto poco favorevole alla prospettiva di bilanciamento ventilata dall’Italia (ma anche da altri Stati membri), tanto che non sono mancate condanne[13] per la presunta violazione di direttive settoriali poste a tutela della libertà di impresa e mercato.
Con il Trattato di Lisbona ha fatto breccia nell’impostazione strettamente mercantilistica europea, il c.d. “modello sociale”, consacrato nelle disposizioni del TUE, specialmente artt. 2 e 3, e del TFUE, artt. 9 e 14. I due atti fondanti della Comunità Europea prospettano un disegno di economia sociale, volta sicuramente a promuovere il progresso, lo sviluppo, la crescita economica e la competitività degli Stati membri e della Comunità nel suo complesso, ma compenetra questi obbiettivi con istanze di piena occupazione e progresso sociale, di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente, di progresso scientifico e tecnologico, di lotta all’esclusione sociale e alle discriminazioni e promozione della giustizia e della protezione sociale, di raggiungimento della parità tra sessi, di solidarietà, coesione economica, sociale e territoriale, negli e tra gli Stati membri.
Il mercato ha cessato così di assurgere a funzione esclusiva tra gli obiettivi europei e la concorrenza è diventata un mezzo a presidio ed ausilio dell’economia sociale di mercato.
È in questa ottica che devono essere lette dapprima le direttive CE n. 17 e 18 del 2004[14] e successivamente le n. 24 e 25 del 2014,[15] che hanno profondamente inciso sulla disciplina nazionale del settore dell’evidenza pubblica e dei contratti pubblici e che hanno riconosciuto l’esigenza di tener conto, nell’esecuzione dell’appalto, anche di aspetti sociali e del rispetto degli obblighi in materia di diritto del lavoro.
Il recepimento delle c.d “direttive appalti” a livello nazionale è avvenuto, nel 2004 con il D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ma, solo 10 anni dopo e a seguito delle direttive del 2014, con il D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 sono state sistematizzate le clausole sociali.
Oggi sono definite dal Codice dei contratti pubblici come le “disposizioni che impongono a un datore di lavoro il rispetto di determinati standard di protezione sociale e del lavoro come condizione per svolgere attività economiche in appalto o in concessione o per accedere a benefici di legge e agevolazioni finanziarie”.[16] In particolare poi, l’art. 50 dello stesso Codice incoraggia l’inserimento di clausole di protezione dei lavoratori, imponendo che “Per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. […] ”.
L’ultimo passo della definizione dei contorni e del campo applicativo delle clausole sociali è rappresentato dall’emanazione delle Linee Guida n. 13 dell’A.N.A.C.[17], pensate con l’intento di sopperire ad alcuni contrasti interpretativi non ancora risolti. Il documento si è invero posto in linea di continuità con l’orientamento ormai pacifico della giurisprudenza amministrativa[18], illustrato anche nel Parere del Consiglio di Stato del 21 novembre 2018, che ha preceduto le linee guida stesse ed espresso anche dalla sentenza in commento, secondo cui “la c.d. “clausola sociale” (nella fattispecie sotto forma di clausola di riassorbimento), ammessa dall’art. 50 del D. Lgs. 18/4/2016, n. 50, deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d'impresa, riconosciuta e garantita dall'art. 41 Cost., che sta a fondamento dell'autogoverno dei fattori di produzione e dell'autonomia di gestione propria dell'archetipo del contratto di appalto; in sostanza, tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente. Conseguentemente l'obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell'appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l'organizzazione di impresa prescelta dall'imprenditore subentrante; i lavoratori, che non trovano spazio nell'organigramma dell'appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall'appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali; la clausola non comporta invece alcun obbligo per l'impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il totale del personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria.”
La Corte Costituzionale, dal canto suo, nello scrutinio di legittimità di alcune disposizioni ha costantemente posto in posizione di supremazia la libertà di iniziativa economica privata, garantita dall'art. 41 Cost[19]. Il principio affermato in maniera ormai consolidata è che la concorrenza libera possa essere talvolta limitata, in specie allorché i vincoli posti siano indispensabili per garantire altri interessi costituzionalmente protetti, quali le esigenze di utilità sociale, variamente declinate, di cui agli artt. 1, 4 e 35 Cost.. Tali limitazioni, però, sono tollerabili dall’ordinamento solo nella misura in cui risultino essere compatibili con la struttura organizzativa dell'appaltatore e con le sue strategie aziendali. Ad ogni modo dunque, nella gerarchia di valori che risulta dalla ricostruzione della Corte, se il bilanciamento degli interessi di rango costituzionale elencati non appare in concreto possibile, poiché la compressione della facoltà di determinare autonomamente la propria organizzazione aziendale è eccessiva, l’imposizione di clausole sociali (nella fattispecie, l’obbligo di riassunzione) viene ritenuta illegittima perché contrastante con il nucleo essenziale della libertà imprenditoriale di cui all’art. 41 Cost.
Ciononostante, ed anche dopo l'emanazione delle Linee Guida, che avrebbero dovuto introdurre una prassi interpretativa e ridurre il contenzioso in materia, in un quadro normativo interno ed europeo così delineato, permangono ancora le difficoltà di raccordare in maniera armonica e soddisfacente per tutte le parti coinvolte, la tutela occupazionale con la libertà di impresa.
Quanto affermato trova plastico riscontro nel fatto che la giurisprudenza[20] continua ad intervenire sul tema al fine di delineare, sempre più analiticamente, i confini applicativi delle clausole sociali, e la sentenza in commento ne è la testimonianza.
4. Critica all’impostazione attuale e proposta di nuova lettura. - L’aspetto su cui si desidera focalizzare specificamente l’attenzione, è quello relativo alla legittimità di una clausola sociale che imponga - o per lo meno indirettamente incoraggi - il riassorbimento della totalità del personale dell’appaltatore uscente, allorché, si badi bene, nel condurre questa valutazione ci si debba confrontare con dei fattori particolari, che inducano a considerare il caso concreto come diverso e peculiare rispetto alla totalità dei casi consimili che affrontano lo stesso interrogativo.
La problematica trae spunto dalla vicenda puntuale, sottesa alla sentenza del Cons. Stato n. 5243/2019, che si è già citata, relativa alla categoria di utenti fruitori del servizio posto in gara: gli alunni disabili dell’istituto scolastico-stazione appaltante[21].
In quella fattispecie, infatti, pur se il bando imponeva di riassumere, a pena di esclusione dalla gara, solo il 50 % dei lavoratori impiegati dal precedente gestore del servizio, il contestuale operare di tale clausola e del criterio di valutazione dell’offerta volto a premiare la riassunzione del maggior numero dei detti lavoratori (con l’assegnazione di un punteggio molto alto, al concorrente che si fosse impegnato a reimpiegare tutto il restante 50% del personale), produceva effetti sostanzialmente analoghi a quelli di una clausola sociale di riassunzione totalitaria, come già si è illustrato considerata dalla giurisprudenza, pacificamente illegittima. Eppure, ed è questo il punto nodale su cui si vogliono innestare le successive riflessioni, la duplice previsione del bando, così congegnata, era giustificata dall’esigenza di garantire agli studenti disabili la continuità educativa e didattica.
Nonostante ciò, il Consiglio di Stato, ha comunque ritenuto illegittima la clausola sociale anzidetta che, poiché in combinazione con altre prescrizioni del bando, aggirava in sostanza il divieto di prevedere clausole sociali che impongano l’integrale riassorbimento del personale utilizzato dall’appaltatore uscente, condizionando, nei fatti, in maniera significativa e oltremodo rilevante, le scelte dell’imprenditore in ordine alle modalità più appropriate di allocazione dei fattori della produzione in base all’organizzazione d’impresa prescelta.
Orbene, deve darsi conto del fatto che il divieto di imporre l’obbligo di riassumere il totale del personale già utilizzato dalla precedente società affidataria, benché continuamente richiamato nelle pronunce citate ed ammantato di una cogenza assoluta, è un imperativo che non trova alcun riscontro normativo puntuale. L’unico dato testuale che lo richiama vagamente è il punto 3 delle Linee Guida A.N.A.C., allorquando chiarisce che “la stazione appaltante, sussistendo le condizioni oggettive e soggettive di applicazione dell’articolo 50 del Codice dei contratti pubblici, inserisce la clausola sociale all’interno della lex specialis di gara”, ma che è richiesto, in ogni caso, che siano rispettate delle condizioni, tra cui che l’applicazione della clausola sociale non comporti “un indiscriminato e generalizzato dovere di assorbimento del personale utilizzato dall’impresa uscente, dovendo tale obbligo essere armonizzato con l’organizzazione aziendale prescelta dal nuovo affidatario.”
È di immediata evidenza percettiva che il testo delle Linee Guida ponga un veto rispetto all’assorbimento indiscriminato e generalizzato, eppure, allo stesso tempo, non sembra essere ostativo in maniera assoluta a una clausola che richieda il riassorbimento totale della forza lavoro impiegata nell’appalto precedente. Per di più si deve altresì considerare che l’A.N.A.C. non ha di seguito fornito alcun esempio di clausole sociali che si possano ritenere “armonizzate” con la pianificazione e l’organizzazione definita dal nuovo assuntore, ma ha lasciato la verifica della corretta declinazione della clausola sociale di riassorbimento al sindacato del giudice amministrativo. Ad ogni modo, anche a voler scorgere nella disposizione un obbligo, val la pena solo di accennare al fatto che le Linee Guida A.N.A.C., non hanno alcuna natura vincolante[22], in quanto con esse l’Autorità anticorruzione si prefigge unicamente di stabilire una prassi interpretativa per i soggetti coinvolti nelle procedure ad evidenza pubblica.
Dunque si può concludere col ritenere che il ventilato “divieto” di prevedere clausole sociali che impongano l’integrale riassorbimento del personale utilizzato dall’appaltatore uscente, è esclusivamente frutto dell’opera di complessiva interpretazione dell’istituto delle clausole sociali di cui si è cercato di dar conto e scaturisce dall’applicazione dei principi costituzionali e di derivazione europea, ordinati secondo la gerarchia di cui già si è detto, che collocano la libertà di iniziativa economica e la tutela della concorrenza, in posizione di primazia assoluta rispetto a tutti gli altri interessi interferenti.
La fattispecie è terreno di scontro di più interessi e diritti costituzionali giacché la finalità della previsione relativa all’obbligo di inserimento di clausola sociale è indubbiamente la tutela dell’occupazione e dei lavoratori (artt. 4, 35, 36, 38 Cost.), ritenuti parti deboli del contratto di lavoro, specialmente perché trattasi di contratti relativi ad appalti di servizi, che per loro natura hanno carattere periodico e continuativo.
Ed infatti, i giudici di Palazzo Spada, pur nel prendere atto di tale precipua finalità hanno però condivisibilmente ritenuto tale obbiettivo sacrificabile, nel bilanciamento con l’altrettanto importante valore della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., qualora considerare preminente il primo possa significare esigere dall’operatore economico l’impropria assunzione di obblighi sostanzialmente riconducibili alle politiche attive del lavoro, che sono demandate allo Stato e non ai soggetti privati (ed infatti i lavoratori che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali), nonché la correlata mancata protezione della libertà di impresa e della facoltà di organizzare al meglio i propri fattori produttivi.
Tanto assodato, seppur le direttive comunitarie prima e poi il Codice degli appalti citino la tutela sociale tra gli obbiettivi della disciplina del public procurement, si constata che quando ci si spinge a considerare nel concreto, fino a che punto le “disposizioni sociali” si spingano nel senso di una tutela effettiva, concreta, comprimendo la possibilità per le imprese di competere sul terreno delle condizioni di lavoro e di occupazione, “ci si scontra con il fatto che gli obiettivi principali della disciplina europea (sia quella vigente, sia quella in via di approvazione) e di quella nazionale degli appalti restano pur sempre quelli della garanzia di una concorrenza effettiva fra le imprese e della maggiore apertura possibile del mercato degli appalti e delle concessioni pubbliche.”[23]
Se però all’interprete, nel dare risposta a problematiche puntuali, è assegnato il ruolo di operare un bilanciamento tra valori costituzionali potenzialmente confliggenti, si può ritenere di cruciale importanza la possibilità di sottoporre al vaglio della giurisprudenza, nuove prospettive di lettura delle fattispecie complesse, anche con l’obiettivo di porre sotto scrutinio aspetti che non sono stati affrontati esaustivamente in precedenza.
Ciò che si propone è allora di uscire fuori dagli schemi precostituiti, ancorché consolidati, e di voler considerare, in quest’ottica, criticabili pronunce che non pongano la medesima attenzione nei confronti di tutti i valori in gioco nel caso concreto e nello specifico per non aver considerato quelli, peraltro appartenenti al novero dei principi fondamentali, di solidarietà sociale, di tutela della persona e di uguaglianza sostanziale (artt. 2 e 3 Cost.) superiori rispetto alla libertà di iniziativa economica.
Se infatti, non solo l’art. 50 dell’attuale Codice dei contratti pubblici incoraggia l’inserimento di clausole sociali, senza dettare un limite massimo di lavoratori che possono/devono essere riassunti e un limite del genere è posto non da un’altra norma puntuale, ma dall’interpretazione costituzional-comunitaria, perché non sfruttare come termini di paragone nel giudizio di graduazione degli interessi, in questo caso specifico, in cui un elemento di specificità si impone con forza (gli utenti del servizio sono persone affette da disabilità), altri principi costituzionali?
Argomentando meglio quanto affermato, ad esempio, la pronuncia del Cons. Stato n. 5243/2019, dopo aver riportato, en passant, la doglianza proposta dalla parte appellata secondo la quale la previsione della clausola sociale di riassorbimento del 100 % dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, sarebbe stata giustificata dall’esigenza di garantire agli studenti disabili la continuità educativa e didattica, mediante il mantenimento dei medesimi operatori dell’anno precedente, ne liquida la non condivisibilità: “atteso che la detta finalità non può essere perseguita a scapito di un libertà costituzionalmente tutelata, quale quella d’iniziativa economica.”
Ora, è pur vero che di per sé, la continuità didattico-educativa non trova copertura costituzionale quale valore isolato e specifico (si pensi, peraltro, all’annosa questione dei docenti precari della scuola, ai quali sono assegnate le sedi di servizio spesso annualmente, ma talvolta anche di mese in mese, prassi che di certo non garantisce costanza nell’attività di istruzione ed educazione). Ma l’asserzione rischia di lasciare interdetti se si considera che, nel caso di specie, poiché la categoria di fruitori del servizio di cui trattasi è particolarmente fragile, l’assicurare un accompagnamento educativo senza soluzione di continuità negli anni, è strumento per giungere alla compiuta realizzazione dell’uguaglianza e della solidarietà sociale, valori costituzionalmente protetti come, ed anzi più, di un interesse economico-imprenditoriale. A supporto di ciò si consideri poi che la gara analizzato, era bandita per due lotti di servizi, il “servizio WOCE” (Written Output Communication Enhancement – Scrittura per lo sviluppo della comunicazione), un servizio consistente in un insieme di strategie tese a supportare lo sviluppo cognitivo, sociale e la comunicazione, e l’altro per il “servizio di assistenza specialistica”, entrambi relativi mansioni che prevedono una particolare qualificazione degli operatori e che si rivelano essere attività di non scarsa importanza nell’ambito delle prestazioni fornite agli alunni con disabilità all’interno del servizio scolastico.
Se, quindi, si fosse trattato di decidere dell’importanza da accordare alla continuità didattico-educativa da assicurare ad alunni normodotati, perseguita mediante la tutela dell’occupazione, nella scala di valori costruita dagli interpreti nazionali, sarebbe forse sembrato legittimo ritenere quest’ultima recessiva rispetto alla tutela della concorrenza e della libertà imprenditoriale. Considerando invece l’assistenza massima dovuta all’alunno disabile, si deve ritiene che, il fatto di potenziare le misure a suo favore, anche attraverso la garanzia di continuità dei servizi già erogati in passato, sia uno strumento indefettibile per garantire tutela alla persona e fornire strumenti per intraprendere il cammino verso l’uguaglianza.
Peraltro, che il divieto di clausole sociali di riassorbimento totale sia derogabile in base alla specificità del caso concreto, è pacifico. Esistono infatti ipotesi in cui dalla normativa di settore sono addirittura imposte clausole sociali di riassunzione del 100% dei lavoratori dell’impresa affidataria precedente, ed infatti: “Va preliminarmente dato atto di come l’art. 48, comma 7, lett. e), d.l. n. 50 del 2017 (che richiama la direttiva 2001/23/CE, avente ad oggetto il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese) riconosca all’Autorità di regolazione dei trasporti il potere di dettare regole generali in materia di «previsione nei bandi di gara del trasferimento senza soluzione di continuità di tutto il personale dipendente dal gestore uscente al subentrante con l’esclusione dei dirigenti, applicando in ogni caso al personale il contratto collettivo nazionale di settore e il contratto di secondo livello o territoriale applicato dal gestore uscente, nel rispetto delle garanzie minime».
Nel particolare settore del trasporto pubblico la normativa è dunque nel senso di ammettere una clausola sociale particolarmente forte, garantendo in caso di subentro il trasferimento di tutto il personale dipendente (tranne i dirigenti) dal gestore uscente al subentrante, con l’applicazione del CCNL di settore e del contratto di secondo livello applicato dal gestore uscente almeno per un anno dalla data di subentro.”[24]
In definitiva, si sarebbe potuto affermare che il principio che trova attuazione normalmente è quello secondo cui, poiché la clausola sociale deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, è illegittima quella che imponga il riassorbimento totale del personale dell’appaltatore uscente, in quanto anticoncorrenziale, per l’effetto di scoraggiare la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d'impresa, riconosciuta e garantita dall'art. 41 Cost. Tutto ciò è però valido salvo che, per le peculiarità del caso concreto - ad esempio il coinvolgimento si tematiche quali la tutela della continuità didattico-educativa e l’assistenza degli alunni disabili - il principio guida di libertà economica non debba essere confrontato e bilanciato con altri interessi, ugualmente costituzionalmente garantiti, i quali siano superiori in una valutazione di tipo assiologico, poiché afferenti al nucleo duro dei diritti incomprimibili della persona. In tale caso, la libertà d’impresa deve necessariamente dirsi recessiva rispetto alla solidarietà sociale, all’uguaglianza e alla dignità della personalità umana e pertanto la clausola sociale può, in siffatti termini, ritenersi legittima.
Trattare situazioni diverse, in modo diverso, o dare “cose uguali agli uguali e cose disuguali ai disuguali”[25] significa non fermarsi all’apparente eguaglianza formale ma procedere verso quella sostanziale[26] e così giustificare ipotesi che “apparentemente discriminatrici nei confronti di categorie o gruppi di cittadini, nella sostanza ristabiliscono l’eguaglianza di queste categorie e gruppi”.[27]
L’innovatività della pronuncia del Consiglio di Stato in commento, che incoraggia una considerazione di ampio respiro della lex specialis di gara - in base alla quale la clausola sociale non deve essere valutata e interpretata come un dato isolato, ma deve essere inquadrata nel contesto del bando intero - induce a domandarsi se non si possa fare un ulteriore balzo avanti e, guardando la vicenda da ancor più lontano per avere una visione più completa, interpretare non solo l’intero testo del bando, ma impostare una valutazione assiologica che tenga in considerazione gli interessi sottesi a tutti i soggetti coinvolti nella vicenda.
Piegare, se così si vuol dire, le clausole sociali a finalità altre rispetto a quelle originarie, in condizioni di sostanziale indifferenza delle situazioni personali dei soggetti coinvolti nella vicenda, potrebbe essere considerata una tecnica creativa non autorizzata, poiché va oltre la ratio legis. Ma in realtà, servirsi delle finalità di garanzia (dell’occupazione) che già permeano lo strumento ed innestarvi un’ulteriore istanza di tutela, di interessi che, tra l’altro, sono tra quelli racchiusi nel nocciolo duro della carta costituzionale, risponde alla ancor più generale vocazione delle clausole sociali che, d’altronde, sono state definite come lo strumento di cui lo stato si serve per “orientare il mercato a fini socialmente rilevanti”.[28]
Gli esempi della possibilità di procedere a un ragionamento logico-giuridico orientato da finalità sociali non mancano. Proprio in materia di tutela del portatore di handicap[29], la Corte Costituzionale [30] nel ragionare sulla costituzione delle servitù di passaggio, si è soffermata sul rilievo del principio personalista ex art. 2 cost., che “pone come fine ultimo dell’organizzazione sociale lo sviluppo di ogni singola persona umana” ed ha dunque dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell'art. 1052, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che il passaggio coattivo di cui al primo comma possa essere concesso dall'autorità giudiziaria quando questa riconosca che la domanda risponde alle esigenze di accessibilità - di cui alla legislazione relativa ai portatori di handicap - degli edifici destinati ad uso abitativo.”[31] Benché parzialmente fuori tema, la pronuncia costituisce uno dei più spiccati esempi di come alcune questioni giurisprudenziali abbiano avuto la funzione di ampliare gli orizzonti personalistici, operando scelte solidaristiche ed ispirate dal principio d’eguaglianza deputato a promuovere la rimozione degli ostacoli che, anche di fatto, impediscono il pieno e libero sviluppo della persona.
È questa la funzione sociale della giurisprudenza, ricercare la giustizia sostanziale, poiché munita della competenza ad accertare l’assetto degli interessi e dei valori in gioco e ad identificarne il punto di equilibrio[32]. Ed è questa la prospettiva della teoria dell’interpretazione:[33] l’idea che l’interprete abbia quale principale funzione l’identificazione del corretto bilanciamento tra valori concorrenti, nella quale il testo normativo deve necessariamente risentire della rilevanza diretta delle norme costituzionali nei rapporti interindividuali.
Per determinare quale sia la norma da applicare al caso concreto bisogna tener presente che regole e principi del diritto formano un unicum ordinato e disposto gerarchicamente per cui è necessario procedere a un bilanciamento dei valori in campo, attenendosi alla gradazione degli interessi che la stessa Costituzione fornisce. Muovendosi allora tra i principi è possibile individuare le loro rispettive relazioni di preferenza e compatibilità, che, secondo l’impostazione della carta fondamentale, sono governate dal valore primario della persona, considerazione che impone un ripensamento dell'interpretazione in chiave funzionale, valorizzando gli interessi coinvolti in una prospettiva sistematica e quindi assiologica.
Federica Laura Maggio
pubblicato il 9 luglio 2020
[1] T. Martines, Diritto costituzionale, Milano, 2011, 136.
[2] Centofanti, S., Sub art. 36, in U. Prosperetti (a cura di), Commentario dello Statuto dei lavoratori, Milano, 1975, 1196; L. Paolitto, Le clausole sociali tra il bando di gara e la disciplina del contratto collettivo, in Appalti e lavoro, I, a cura di Domenico Garofalo, 2017, Torino, 893 e ss.; E. Toma, Il codice dei contratti pubblici: Commento al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, a cura di Fabio Garella e Marco Mariani, 2016, Torino, 123 e ss.; A. Chiettini, Codice degli appalti pubblici, a cura di R. Garofoli, G. Ferrari, 2017, Neldiritto Editore, p. 897 e ss.; E. Ghera, Le c.d. clausole sociali: evoluzione di un modello di politica legislativa, in Diritto delle relazioni industriali, Milano, 2001, 134; M.G. Vivarelli, Clausole sociali, in Trattato sui contratti pubblici, Tomo II, a cura di M.A. Sandulli e R. De Nictolis, Milano, 2019, 204; F. Bevilacqua, Attenzione alla “clausola sociale”: neanche il CCNL può limitare la libertà imprenditoriale, in questa Rivista, 2018, 339-349.
[3] T.A.R. Lazio, Roma. Sez.III, n. 3479/2019
[4] S. CASINI, Clausola sociale ed elusione dei limiti di legittimità, in Urbanistica e Appalti, 2020, 1, 80 e ss.
[5] Sul tema: M. PERINI, L’interpretazione della legge alla luce della Costituzione fra Corte costituzionale ed autorità giudiziaria, in Il giudizio sulle leggi e la sua diffusione, a cura di Malfatti-Romboli-Rossi, 2002, Torino, 64.
[6] Art. 29, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, ai sensi del quale “L’acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d’azienda.” Era pertanto esclusa l’applicazione della disciplina di cui all'art. 2112, comma 1, c.c., secondo cui “In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.”
[7] R. Proietti, Contratti della P.A. - Le c.d. “clausole sociali” ed il contemperamento fra valori di rilievo costituzionale, in Giur. It., 2017, 12, 2715; A. Avino M., La clausola sociale dopo le linee guida Anac n. 13, in Urbanistica e appalti, 2019, 3, 308; S. Casini, Clausola sociale: quando la sua assenza può viziare gli atti di gara, in Urbanistica e appalti, 2018, 701.
[8] Peraltro la clausola di equo trattamento è stata generalizzata ed imposta a tutte le P.A. dallo Statuto dei lavoratori (art. 36, L. 20 maggio 1970, n. 300).
[9] Alcune specifiche clausole di riassorbimento sono previste in alcune leggi di liberalizzazione dei servizi pubblici, ad es., dall’art. 28, 6° comma, D. Lgs. 23 maggio 2000, n. 164, recante norme comuni per il mercato interno del gas, nonché nell'ambito della contrattazione collettiva.
[10] G. Biasutti, Ancora una pronuncia in tema di clausole sociali: il punto della giurisprudenza in un contrasto tra diritti costituzionalmente rilevanti, in Rivista trimestrale degli appalti, 4/2019, 1269 ss.
[11] C. Viviani, Appalti sostenibili, green public procurement e socially responsible public procurement, in Urbanistica e appalti, 2016, 993 e ss.
[12] Rapporto quadrimestrale pubblicato dall’Ufficio osservatorio, studi e analisi banche dati dell’ANAC su http://www.anticorruzione.it
[13] Tra le tante si consideri Corte Giust. CE 9 dicembre 2004, C-460/2002, con cui la Corte ha ritenuto l’art. 14,
D. Lgs. n. 18/1999 confliggente con la direttiva del Consiglio 15 ottobre 1996, 96/67/CE, relativa all'accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità, poiché prevedeva per i servizi aeroportuali di assistenza a terra il passaggio del personale dell'appaltatore uscente alle dipendenze dell'appaltatore subentrante in misura proporzionale alla quota di traffico o di attività da quest'ultimo acquisita. Similmente la Corte di Giustizia ha pronunciato contro la Germania nella sentenza CE 14 luglio 2005, C-386/2003, relativa ancora una volta ai servizi aeroportuali.
[14] Art. 26 Dir. 2004/18/CE e 38 Dir. 2004/17/CE, che consentono alle amministrazioni aggiudicatrici di esigere condizioni particolari in merito all'esecuzione dell'appalto, anche basate in particolare su considerazioni sociali e ambientali.
[15] Gli art. 70 Dir. 2014/24/UE e 87 Dir. 2014/25/UE, aggiungono alle considerazioni su cui può essere basata l’imposizione di particolari condizioni di esecuzione dell’appalto quelle economiche, legate all’innovazione e quelle sociali relative all’occupazione.
[16] Art. 3, comma 1, lett. qqq), D. Lgs n. 50/2016
[17] Linee Guida n. 13 recanti “La disciplina delle clausole sociali”, approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 114 del 13.2.2019, reperibili sul sito web https://www.anticorruzione.it ed accompagnate da una relazione illustrativa.
[18] Ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 27 novembre 2014, n. 5890; Cons. Stato, Sez. V, 28 agosto 2017, n. 4079; Cons. Stato, Sez. III, 5 maggio 2017, n. 2078; Cons. Stato, Sez. V, 17 gennaio 2018, n. 272; Cons. Stato, Sez. III, 8 giugno 2018, n. 3471; Cons. Stato, Sez. III, 27 settembre 2018, n. 5551; Cons. Stato, Sez. III, 7 gennaio 2019, n. 142; Cons. Stato, Sez. III, 30 gennaio 2019, n. 750.
[19] Tra le tante, Corte Cost. 30 dicembre 1958, n. 78, Corte Cost. 28 luglio 1993, n. 356 e, più recentemente, Corte Cost. 3 marzo 2011, n. 68.
[20] Ad esempio proprio Cons. Stato, Sez. VI, 24 luglio 2019, n. 5243
[21] Sul tema delle tutele delle persone portatrici di handicap si vedano: A. Buzzanca, Handicap e diritto all'assistenza. Analisi e strumenti di tutela, 2009, Giuffrè; A. Tamborrino, Tutela giuridica delle persone con disabilità. Diritti e libertà fondamentali delle persone diversabili, 2019, Key Editore; S. Troilo, Tutti per uno o uno contro tutti? Il diritto all'istruzione e all'integrazione scolastica dei disabili nella crisi dello stato sociale, 2012, Giuffrè; R. Viggiani, Teoria giuridica dell'invalidità tra norme imperative, nullità e interessi sottostanti. Dal diritto civile al diritto privato dell’impresa, 2010, Pellegrini; S. Nocera S., Il diritto all’integrazione nella scuola dell’autonomia, 2001, Trento, Erickson; Ianes D., Bisogni Educativi Speciali e inclusione, 2005, Trento, Erickson; ID., La speciale normalità, 2006, Trento, Erickson; Canevaro A., L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, 2006, Trento, Erickson.
[22] Il Consiglio di Stato ha individuato tre tipologie di Linee Guida A.N.A.C. in base alla loro natura: 1. Linee guida approvate con decreto ministeriale, su proposta dell'ANAC; 2. Linee guida vincolanti adottate dall'ANAC; 3. Linee guida non vincolanti adottate dall'ANAC. Le Linee Guida n. 13, sulle clausole sociali negli appalti, sono riferibili all’ultima categoria e sono state assimiliate, quanto alla natura giuridica alle circolari contenenti istruzioni operative sull'applicazione della normativa di settore. Per una compiuta analisi della tematica si veda G. Morbidelli, Linee Guida dell'ANAC: comandi o consigli?, in L'Italia che cambia: dalla riforma dei contratti pubblici alla riforma della Pubblica Amministrazione (Atti 62o Convegno di studi amministrativi di Varenna, 22-24 settembre 2016), Milano, 2017, 109 ss., che assimila tale tipologia di Linee Guida alle “direttive”, ma anche F. Cintioli, Il sindacato del giudice amministrativo sulle linee guida ANAC, Testo scritto provvisorio della relazione tenuta al convegno L'amministrazione pubblica nella prospettiva del cambiamento: il codice dei contratti e la riforma "Madia" a Lecce, 28 e 29 ottobre 2016, pubblicato su www.italiappalti.it, che invece ascrive tali atti alle “fonti terziarie del diritto amministrativo”.
[23] S. Costantini, La finalizzazione sociale degli appalti pubblici. Le “clausole sociali” fra tutela del lavoro e tutela della concorrenza, in WP CSDLE “Massimo D'Antona” .IT - 196/2014, 66 e ss.
[24] Di recente: Cons. Stato, 7 febbraio 2020, n. 973. Altra voce favorevole alla derogabili del divieto di introdurre clausole sociali di riassorbimento totale dei lavoratori è rappresentata da T.A.R. Liguria, Sez. II, 21 luglio 2017, n. 639.
[25] Aristotele, Etica Nicomachea
[26] Sul principio di uguaglianza: L. Paladin, Il principio costituzionale d’eguaglianza, Milano, 1965, p. 545 ss; P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984; C. Esposito, Eguaglianza e giustizia nell’art. 3 della Costituzione, in La Costituzione italiana, Saggi, Padova, 1954, p. 26.
[27] Corte Cost. 19 dicembre 1962, n. 106.
[28] G. Orlandini, Le clausole sociali (diritto del lavoro interno), (voce), in Diritto on line Treccani.it
[29] P. Perlingieri, Il diritto alla salute quale diritto della personalità, in Rass. dir. civ., 1982, pp. 1020-1050; ID., Gli istituti di protezione e promozione dell’“infermo di mente”. A proposito dell’andicappato psichico permanente, in Rass. dir. civ., 1985, pp. 46-61; ID, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli-Camerino, 1972, pp. 225-236.
[30] Corte Cost., 10 maggio 1999, n. 167.
[31] P. Perlingieri, Principio “personalista”, “funzione sociale della proprietà” e servitù coattiva di passaggio, nota a Corte cost., 29 aprile 1999, n. 167, in Rass. dir. civ., 1999, p. 688 ss.
[32] Il tema della giurisdizione funzione di mediazione e di regolazione del conflitto sociale della giurisdizione è magistralmente sintetizzato in: M. Luciani, Funzioni e responsabilità della giurisdizione. Una vicenda italiana (e non solo), in Rivista AIC, 3/2012.
[33] P. Perlingieri, Appunti di teoria dell’interpretazione, lezioni raccolte da Pietro Perlingieri/Università degli studi di Camerino, Scuola di specializzazione in diritto civile, 1970, Tip. Savini e Mercuri; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale, 2006, Napoli; ID. Interpretazione e legalità costituzionale, 2012, Napoli.