17/08/2020 - L’omesso pagamento di imposte e tasse costituisce causa di esclusione dalla procedura di appalto.
riceviamo e pubblichiamo
Gent.ma Redazione,
ai fini della sua pubblicazione sul Vostro sito, nel presupposto che sia ritenuto meritevole, si invia l'allegato mio lavoro di sintesi della sentenza n. 888/2020 del TAR Lecce.
Si ringrazia per la Vostra attenzione e si porgono cordiali saluti.
Agostino Galeone
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a cura di Agostino Galeone
L’omesso pagamento di imposte e tasse costituisce causa di esclusione dalla procedura di appalto.
*=da giustizia-amministrativa.it
L’adito giudice ha dichiarato il ricorso, finalizzato all’annullamento del provvedimento, datato 27/11/2019, con cui l’operatore economico ricorrente è stato escluso da una procedura di appalto per avere omesso il pagamento della TARI relativa all’anno 2013, in parte infondato e in parte inammissibile.
Il Comune appaltante, avendo accertato che la parte ricorrente, candidata a partecipare ad un procedura di appalto - dapprima inclusa, in quanto dalla documentazione presentata in gara non fosse risultata dichiarata alcuna pendenza tributaria - non aveva pagato la TARI 2013, per un importo complessivo di 20.191,00 euro, giusta avviso di accertamento n. ...... - del 17 ottobre 2016, notificatole il 26 ottobre 2016, aveva statuito l’esclusione dalla procedura della ricorrente società “ai sensi dell’art. 80, comma 4, D. Lgs. n. 50/2016”, la cui disposizione testualmente recita “Un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. Costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. Costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione (…)”).
Il TAR, relativamente ai rispettivi motivi addotti dalla ricorrente a sostengo del proprio ricorso, dichiara:
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la validità della notifica dell’avviso di accertamento effettuata nel 2016, per un debito del 2013, e ciò data la regolarità delle modalità di consegna e di ricezione dello stesso avviso;
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la non intervenuta “prescrizione” del debito tributario per decorso del tempo, dato che detta notifica è avvenuta nel rispetto del termine di cinque anni previsto dall’art. 1, comma 161, secondo periodo, della Legge n. 296/2006 (secondo cui, per i tributi locali, “Gli avvisi di accertamento in rettifica e d'ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”);
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che la TARI non è ricompresa tra le imposte soggette a liquidazione automatica .................. in quanto, come sostenuto dal Comune ................, ai sensi dell’art. 1, comma 161, Legge n. 296/2006, “Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all'accertamento d'ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato”. Risultando, “quindi, dal dettato normativo, che è l’avviso di accertamento l’atto con cui si esercita la pretesa tributaria, come infatti è avvenuto nel caso di specie.”;
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riguardo “alla contestazione della gravità della violazione (in quanto, a detta della ricorrente, dovrebbe aversi riguardo al limite, anteriore al 2018, di 10mila euro e solo all’importo del tributo non pagato, escluse sanzioni e interessi – con la conseguenza che l’importo di cui all’avviso di accertamento del 2016 per la TARI 2013 scenderebbe al di sotto del limite di 10mila euro, in quanto ammontante a circa 8.700 euro – .......,” osserva “che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, gli interessi e le sanzioni, avendo carattere accessorio del debito principale, di quest’ultimo ripetono la natura (v. T.A.R. Lazio, Roma, 6 febbraio 2017, n. 2011) e “la riconduzione a pieno titolo di interessi e sanzioni nel concetto di imposte e tasse è confermata dalla espressa previsione dell’art. 57, par. 2, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici” (C.d.S., 13 dicembre 2017, n. 5888). Ne deriva che, nel caso di specie, anche volendo fare riferimento alla previgente soglia di 10mila euro, questa risulta comunque superata.”;
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“che la TARI è una “tassa” per definizione normativa (v. art. 1, comma 639, L. n. 147/2013)”;
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che “non giova a parte ricorrente dedurre che la P.A. avrebbe potuto compensare il debito tributario con crediti non tributari vantati dalla ricorrente verso il Comune ........., in quanto la compensazione in tale ambito è possibile solo secondo la specifica disciplina tributaria: sul punto la giurisprudenza rileva infatti che “in via di principio l'obbligazione tributaria va estinta mediante versamento dell'importo dovuto nelle casse del Concessionario della riscossione, e che, in materia tributaria, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso ed ogni deduzione è regolata da specifiche, inderogabili norme di legge. Nè tale principio può ritenersi superato per effetto della L. n. 212 del 2000, art. 8, comma 1, ("Statuto dei diritti del contribuente"), il quale, nel prevedere in via generale l'estinzione dell'obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti l'estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall'anno d'imposta 2002 (Cass. 15123/2006; 12262/2007; 17001/2013)” (Cass., 18 maggio 2016, n. 10207).”.
A margine, si rileva che nella sentenza sono stati “anonimizzati” con degli “OMISSIS” non soltanto la denominazione della parte ricorrente e della parte aggiudicataria dell’appalto che sono entrambe, come riportato nella stessa sentenza, “s.r.l.” cioè società a responsabilità limitata, ma anche del Comune controinteressato, i quali soggetti giuridici, non essendo persone fisiche, non possono essere qualificati come “interessati” e, conseguentemente, non possono godere della tutela dei loro dati identificativi in conformità alle disposizioni del Regolamento UE 2016/679 e del Codice della Privacy di cui al d.lgs. 196/2003 e ss. mm. e ii., la cui disciplina è posta a protezione soltanto dei dati riferiti a persone fisiche, cioè delle informazioni che consentono di identificare, direttamente o indirettamente, gli “interessati”. Vedasi quanto previsto dall’art. 1, paragrafo 1, del Regolamento UE 2016/679 e dall’art. 1 del Codice della Privacy.
Da quanto sopra, si è dell’avviso che non sia conforme alla predetta normativa sulla privacy tanto l’avvenuta “anonimizzazione” nella sentenza delle denominazioni dei soggetti giuridici coinvolti nel processo sull’assunto, come affermato nella stessa sentenza, che “sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196” quanto la seguente dizione “In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.” riportata in calce dopo le firme del Presidente , del Relatore e del Segretario. Su tale questione vedasi le diverse fattispecie “facoltativa” e “obbligatoria” di omissione dei dati personali identificativi delle persone fisiche coinvolti nei procedimenti giurisdizionali di cui al paragrafo 4 della pubblicazione della Corte di Cassazione-Ufficio del Massimario intitolata “Corte di cassazione e tutela della privacy: “l’oscuramento” dei dati identificativi nelle sentenze”, datata 5 luglio 2005.
data, 16 agosto 2020