25/09/2019 - Contenzioso Tarsu: motivazione apparente ed estratto di ruolo
tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Contenzioso Tarsu: motivazione apparente ed estratto di ruolo
di Girolamo Ielo - Dottore commercialista/revisore contabile Esperto finanza territoriale
L'estratto di ruolo non può assurgere a prova della piena conoscenza della cartella di pagamento impugnata. La sentenza con motivazione appartente è colpita da nullità. In tal senso si è pronunciata di recente la Corte di Cassazione.
La controversia. La controversia è relativa ad impugnazione di una intimazione di pagamento di quanto dal contribuente dovuto per TARSU anno 2004, emessa sulla scorta di una cartella di pagamento che il contribuente sosteneva non essergli mai stata notificata, con conseguente prescrizione del diritto alla riscossione del tributo.
Il giudizio tributario. La CTP ha respinto il ricorso. La CTR ha rigettato l'appello del contribuente sostenendo la regolarità della notifica della cartella e ritenendo assorbiti tutti gli altri motivi di impugnazione.
Il ricorso per cassazione. Avverso la sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione sostenendo:
1) che la CTR ha erroneamente affermato la regolarità della notifica della cartella di pagamento, prodromica all'intimazione di pagamento impugnata;
2) che la detta violazione è incentrata sul vizio di carenza assoluta di motivazione della sentenza impugnata, sub specie di motivazione apparente.
Il pronunciamento della Corte. La Corte di Cassazione, sez. VI-5 con l'ordinanza n. 22507 del 9 settembre 2019 ha ritenuto fondato il secondo motivo, ha accolto il ricorso,ha cassato la sentenza ed ha rinviato la causa alla CTR.
Le motivazioni della Corte. La Corte si è soffermata sulla motivazione apparente e sull'estratto di ruolo.
La motivazione apparente. Ad avviso della Corte il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l'iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata, l'obbligo del giudice "di specificare le ragioni del suo convincimento", quale "elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale" è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza della stessa Corte. La Corte, a sezioni unite, nella sentenza n. 1093/1947 ha precisato che "l'omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità" e che "le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti" (Cass. civ. n. 2876/2017, Cass. civ. n. 16599/2016, Cass. civ. n. 22232/2017 e Cass. civ. n. 7667/2017. Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentano un "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e che presentano una "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire "di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l'iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato", venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un "ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo", logico e consequenziale, "a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi".
Va ribadito, pertanto, il principio secondo cui la motivazione è solo apparente - e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo - quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Ad avviso della Corte la motivazione della sentenza impugnata rientra paradigmaticamente nelle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti giurisprudenziali, dunque, concretizzando un chiaro esempio di "motivazione apparente" e comunque "perplessa ed obiettivamente incomprensibile". La CTR, infatti, ha rigettato l'appello del contribuente affermando che "dall'esame della documentazione in atti risulta, così come notaio dai giudici di prime cure, che la cartella in questione era stata regolarmente notificata il 31-1-2005, mediante la procedura prevista dagli artt. 139 e 140 c.p.c.". Orbene, continua la Corte, tali considerazioni/affermazioni, specie se ragguardati alla stregua dei motivi di appello proposti dal contribuente, che aveva contestato anche la mancata prova della consegna della raccomandata informativa, non estrinsecano il percorso argomentativo che ha indotto i giudici di appello a tale convincimento e pertanto nel loro - limitato - ordito realizzano un tipico esempio di "motivazione apparente", così come denunciato nella censura de qua, posto che non è dato comprendere quale documentazione la CTR ha esaminato e la valenza probatoria della stessa. Peraltro, in analogo vizio incorre la sentenza impugnata là dove dichiara assorbiti i motivi di illegittimità dell'intimazione di pagamento pure proposti dal ricorrente.
L'estratto di ruolo. Ad avviso della Corte è del tutto irrilevante la successiva conoscenza dell'iscrizione a ruolo desumibile dall'istanza di sgravio della cartella impugnata, presentata dal contribuente al comune. Al riguardo "In tema di contenzioso tributario, solo la piena conoscenza dell'atto da parte del contribuente consente il consapevole esercizio del diritto di impugnativa", e "la ratio della previsione secondo cui al contribuente non va - di regola -notificato l'estratto di ruolo, bensì la cartella di pagamento nella quale il ruolo viene trasfuso, ai sensi del D.P.R. n. 602/1973, artt. 25 e 26, risiede proprio nell'esigenza di rendere ostensibili al medesimo le ragioni ed i presupposti che hanno dato origine alla pretesa fiscale azionata dall'Amministrazione finanziaria" con la conseguenza che l'acquisizione da parte del contribuente di una copia dell'estratto di ruolo riportante l'indicazione di avvenuta iscrizione a ruolo di quanto poi trasfuso nella relativa cartella di pagamento, avente il valore di una mera informazione di un fatto verificatosi, non può assurgere a prova della piena conoscenza dell'atto impositivo impugnabile, ai fini della decorrenza del termine di cui al D.Lgs. n. 546/1992, art. 21, potendo legittimare al più l'impugnazione, peraltro facoltativa, del solo estratto di ruolo.
La Corte ricorda che con la sentenza n. 19704/2015, presa a sezioni unite, è stato puntualizzato che l'estratto di ruolo è un documento non previsto da alcuna disposizione di legge, un elaborato informatico creato dal concessionario della riscossione a richiesta dell'interessato, contenente unicamente gli "elementi" di un atto impositivo e non una pretesa impositiva, diretta o indiretta (essendo l'esattore carente del relativo potere), ed è pertanto, in quanto tale, non impugnabile sia perché trattasi di atto non rientrante nel novero degli atti impugnabili ai sensi del D.Lgs. n. 546/1992, art. 19, sia perché trattasi di atto per il cui annullamento il debitore manca di interesse (ex art. 100 c.p.c.), non avendo alcun senso l'eliminazione di esso dal mondo giuridico, senza incidere su quanto in esso rappresentato (Cass. civ. ordinanza n. 22184/2017, Cass. civ. sentenza n. 6610/2013). Infine la Corte fa presente che nella stessa sentenza è stato tuttavia anche evidenziato che le cose stanno diversamente là dove l'impugnazione investa l'estratto di ruolo per il suo contenuto, ossia in riferimento agli atti che nell'estratto di ruolo sono indicati e riportati e cioè il ruolo e la cartella, mai notificati. In tal caso sussiste evidentemente l'interesse ad agire e sussiste anche la possibilità di farlo non ostandovi "l'ultima parte del D.Lgs. n. 546/1992, art. 19, comma 3, in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l'impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato - impugnabilità prevista da tale norma - non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l'invalidità stessa anche prima, giacché l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione" (Cass. civ. n. 19704/2015); ovviamente l'impugnazione dell'estratto di ruolo è soggetta al rispetto del termine generale previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, essendo ininfluente la facoltatività dell'impugnazione dell'estratto, per la permanenza, in capo al contribuente, del diritto di impugnare anche il primo atto impositivo tipico successivamente notificatogli (Cass. civ. n. 27799/2018).