24/09/2019 - Il Comune è libero di designare come “case comunali” anche luoghi ulteriori rispetto al municipio (Cass. 22167/2019)
tratto da altalex.com
Destinatario assente: valida la notifica nella casa comunale “delocalizzata”
Il Comune è libero di designare come “case comunali” anche luoghi ulteriori rispetto al municipio (Cass. 22167/2019)
Di Marcella Ferrari -Professionista - Avvocato
Pubblicato il 23/09/2019
Il Comune è libero di designare come “case comunali” anche luoghi ulteriori rispetto al municipio.
Così ha deciso la Corte di Cassazione, sez. III civile, con la sentenza 5 settembre 2019 n. 22167 (testo in calce).
La pronuncia in commento è degna di nota per la pregevole ricostruzione storico-sistematica con riguardo alla nozione di “casa comunale”.
Secondo la Cassazione, tale espressione deve interpretarsi nel senso di comprendervi il municipio – inteso come sede storica del Comune – o ogni altro luogo designato in tal senso dall’amministrazione comunale. Pertanto, una notifica effettuata in un luogo diverso dalla sede del Comune, ma indicata dallo stesso quale sede equipollente, è valida ed efficace. Parimenti, valida è la notificazione effettuata dagli incaricati di una società privata. Infatti, alla P.A. è consentito appaltare a privati l’esecuzione dei compiti del messo comunale, compresa la notifica dei verbali di accertamento delle violazioni del codice della strada.
Secondo la Cassazione, tale espressione deve interpretarsi nel senso di comprendervi il municipio – inteso come sede storica del Comune – o ogni altro luogo designato in tal senso dall’amministrazione comunale. Pertanto, una notifica effettuata in un luogo diverso dalla sede del Comune, ma indicata dallo stesso quale sede equipollente, è valida ed efficace. Parimenti, valida è la notificazione effettuata dagli incaricati di una società privata. Infatti, alla P.A. è consentito appaltare a privati l’esecuzione dei compiti del messo comunale, compresa la notifica dei verbali di accertamento delle violazioni del codice della strada.
Sommario
Il Comune di Firenze notificava una cartella di pagamento per due sanzioni amministrative relative a violazioni del codice della strada, non pagate dal debitore. Questi proponeva opposizione dinnanzi al giudice di pace deducendo di non aver ricevuto la notifica dei due verbali di accertamento dell’infrazione e, inoltre, sostenendo la sussistenza di un vizio di notifica sotto vari profili:
il piego non era stato depositato presso la casa comunale (come previsto dall’art. 140 c.p.c.), ma in luogo diverso,
la notificazione era stata eseguita da un privato, in luogo del messo comunale e l’avviso dell’avvenuto deposito era stato spedito al destinatario da un privato.
In primo e in secondo grado, le doglianze del ricorrente venivano respinte.
Si giunge così in Cassazione.
Il primo motivo di ricorso riguarda il luogo del deposito del plico, che non era avvenuto presso il Comune, ma in una sede sussidiaria dello stesso (designata con un provvedimento dirigenziale, un biennio prima dei fatti di causa). Secondo il ricorrente, il dato letterale dell’art. 140 c.p.c. è di diverso segno; la norma, infatti, in caso di assenza del destinatario, prevede il deposito della copia dell’atto presso la casa comunale e non in un luogo diverso, seppur indicato dal Comune quale sede secondaria. La Suprema Corte rigetta tale ricostruzione, considerando valida ed efficace la notifica, giacché il luogo di deposito del plico è stato indicato come equipollente alla casa comunale, pertanto è da escludersi ogni vizio di notifica. La P.A., infatti, è libera di designare come “case comunali” anche luoghi ulteriori rispetto al municipio; ove ciò accada, tutti questi siti vanno considerati equivalenti, a tutti gli effetti di legge, alla casa comunale.
Per corroborare tale affermazione, la sentenza offre un’interpretazione storica e sistematica del testo normativo. Analizziamola brevemente.
Per corroborare tale affermazione, la sentenza offre un’interpretazione storica e sistematica del testo normativo. Analizziamola brevemente.
I Supremi giudici ripercorrono storicamente la legislazione per ricostruire il significato di “casa comunale”, analizzando tutte le norme in cui tale espressione, nel tempo, è stata impiegata (per un approfondimento, si rinvia alla nota a piè di pagina) [1]. I molteplici testi normativi citati dimostrano che, storicamente, il legislatore ha indicato la casa comunale come luogo deputato a molteplici attività, ammettendo sempre luoghi ad essa alternativi, diversi ed equipollenti. In passato, infatti, la ratio della scelta della casa comunale era dettata dalla facilità di individuazione della stessa da parte di tutti i consociati (anche quelli non istruiti). Nondimeno, con il tempo, la ratio è mutata; infatti, l’evoluzione della società, la diminuzione dell’analfabetismo e, soprattutto, la facoltà da parte «della P.A. di far pervenire le proprie deliberazioni ai cittadini, rendono puramente teorica la possibilità che questi ultimi siano tratti in errore nell’individuazione della casa comunale o dei luoghi destinati a sostituirla». Pertanto, l’espressione “casa comunale” presente nell’art. 140 c.p.c. (come anche nell’art. 143 c.p.c.) va intesa come sinonima di “municipio o altro luogo a tal fine designato dall’amministrazione comunale”.
L’espressione “casa comunale” si rinviene in numerose norme, processuali e sostanziali; in particolare, l’art. 3 DPR 396/2000 (regolamento sullo stato civile) prevede che i comuni possano istituire uno o più uffici dello stato civile; la norma è stata interpretata nel senso che «casa comunale può essere considerata qualsiasi struttura nella disponibilità giuridica del Comune, vincolata allo svolgimento di funzioni istituzionali» (Cons. di Stato, I, parere 196/2014). La disposizione in argomento riguarda la celebrazione del matrimonio. Pertanto, se la legge ammette la “delocalizzazione” rispetto alla sede storica del municipio in materia matrimoniale, a fortiori deve consentire la designazione di case comunali alternative per il deposito degli atti notificati. Diversamente opinando, si giungerebbe all’assurdo per cui si richiedono oneri formali più stringenti per atti di minor rilievo (come il deposito di un verbale di accertamento) rispetto ad «un atto di preminente importanza sociale, giuridica e costituzionale» come il matrimonio.
La Corte si sofferma anche sul deposito del plico nella frazione di un Comune, giacché il ricorrente, nelle sue difese, ha invocato un precedente in materia (Cass. 1321/1993). In quel caso, l’ufficiale giudiziario aveva depositato il plico nella casa comunale di una frazione del Comune e la Corte aveva ritenuto nulla la notifica. La nullità, però, non dipendeva dal fatto che il plico fosse stato depositato in un luogo diverso dal municipio, ma dalla circostanza che le frazioni non hanno una casa comunale e non era stato dimostrato che il Comune avesse deputato un luogo equipollente nella frazione.
Il ricorrente cita un altro precedente (Cass. 16817/2012), considerato non pertinente dalla Suprema Corte giacché, in quella fattispecie, la notifica era stata ritenuta nulla, non in quanto effettuata in un luogo diverso dalla casa comunale, ma poiché la designazione di quel luogo come equipollente al municipio era avvenuta con un provvedimento amministrativo successivo all’esecuzione della notifica. I supremi giudici ribadiscono che i precedenti invocati dal ricorrente (Cass. 1321/1993 e Cass. 16817/2012) sono inconferenti al caso in esame, tuttavia, anche qualora siano da considerarsi pertinenti, non pare opportuno darvi continuità, ed enunciano il seguente principio di diritto:
«in materia di notificazione di atti e quindi anche di verbali di accertamento di violazioni del codice della strada, la "casa del comune" in cui l'ufficiale notificante deve depositare la copia dell'atto da notificare si identifica, in alternativa alla sede principale del Comune, anche in qualsiasi struttura nella disponibilità giuridica di questo, vincolata allo svolgimento di funzioni istituzionali con provvedimento adottato prima della notificazione e chiaramente menzionata nell'avviso di avvenuto deposito»
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole del fatto che la notificazione sia stata eseguita da un privato, in luogo del messo comunale. Orbene, la notifica del verbale di accertamento della violazione è disciplinata dall’art. 201 c. 3 Codice della Strada; la norma indica quattro categorie di soggetti che possono provvedere alla notificazione:
-
gli organi incaricati dei servizi di polizia stradale (ad esempio, Carabinieri o Polizia municipale);
-
i messi comunali,
-
un funzionario dell’amministrazione che ha accertato la violazione,
-
il servizio postale.
La disposizione si conclude affermando che le notificazioni s’intendono comunque validamente eseguite – quindi, anche senza il rispetto delle previsioni di cui sopra – quando siano fatte alla residenza, domicilio o sede del soggetto, risultante dalla carta di circolazione o dall'archivio nazionale dei veicoli o dalla patente di guida del conducente. Ciò premesso, veniamo al motivo di doglianza. La Corte rileva come molteplici norme [2] facciano riferimento alla figura del messo comunale, senza tuttavia fornirne una definizione. Si ritiene che la qualifica di messo comunale prescinda dal rapporto giuridico che lo lega al Comune, il quale è libero di scegliere la forma contrattuale più idonea a perseguire il pubblico interesse. Pertanto, può rivestire la qualifica di messo:
-
il dipendente della P.A.,
-
il funzionario non dipendente,
-
il mandatario della pubblica amministrazione,
-
l’appaltatore di servizi per l’amministrazione.
Alla luce di quanto sopra, il Comune è libero di appaltare a soggetti privati l’esecuzione dei compiti tipici del messo comunale, ad esempio, la notificazione dei verbali di accertamento delle infrazioni al codice della strada, come accaduto nel caso di specie.
Per completezza espositiva, si ricorda che la nozione di messo comunale non coincide con quella di messo notificatore [3].
La pronuncia in commento è degna di nota per l’articolato iter argomentativo e per la pregevole interpretazione storico-sistematica sulla nozione di “casa comunale”. In tema di notificazioni di atti, come i verbali di accertamento di violazioni del codice della strada, l’espressione “casa del comune”, in cui l'ufficiale notificante deve depositare la copia dell'atto da notificare, va interpretata sia come la sede principale del Comune, che come qualsiasi struttura nella sua disponibilità giuridica, deputata allo svolgimento di funzioni istituzionali, tramite un provvedimento adottato prima della notificazione. Pertanto, una notifica effettuata in un luogo diverso dalla sede del Comune, ma indicata dallo stesso quale sede equipollente, è valida ed efficace. Parimenti, valida è la notificazione effettuata dagli incaricati di una società privata; infatti, al Comune è consentito appaltare a privati l’esecuzione dei compiti del messo comunale, compresa la notifica dei verbali di accertamento delle violazioni del codice della strada.
[1] Di seguito tutti i testi normativi indicati in sentenza, per una disamina più approfondita, si rinvia alla lettura della pronuncia.
R.D. 2641/1865 (regolamento di procedura): l’espressione casa comunale vi compare per la prima volta, ove si prevedeva che le udienze fossero tenute «nella casa comunale o in quell’altra che sia dal municipio destinata» (art. 173); anche qui, era prevista la facoltà di individuare un luogo diverso;
R.D. 642/1907 (regolamento di procedura davanti al Consiglio di Stato): prevedeva che la notifica potesse avvenire presso la casa comunale o con consegna al sindaco o a chi ne fa le veci o all’impiegato delegato; il ricorso alla congiunzione disgiuntiva “o” fa comprendere come il deposito presso il municipio potesse essere sostituito da atti considerati equipollenti e, quindi, il luogo diverso dalla casa comunale;
R.D. 643/1907 – Annesso A (regolamento di procedura davanti alla giunta provinciale): come sopra;
R.D. 830/1909 – Annesso A (regolamento sulla pesca): disponeva che il sindacato dei pescatori avesse sede nella casa comunale «o nei locali di una delle associazioni che lo compongono»; anche in questo caso, la designazione della casa comunale non è assoluta, ma ammette alternative;
R.D. 1612/1942 (regolamento per l’esecuzione del TU sulla disciplina dei cittadini in tempo di guerra): disponeva che il manifesto di chiamata alla guerra dovesse essere affisso alla casa comunale e in altri principali luoghi pubblici (art. 42).
[2] La nozione di “messo comunale” si rinviene nel R.D. 383/1934 art. 273; poi abrogato e sostituito dall’art. 64 legge 142/1990; altre norme in cui si rinviene sono l’art. 201 Codice della Strada, l’art. 10 legge 265/1999.
[3] Il messo notificatore è stato introdotto dall’art. 1 commi 158 e 159 della legge 296/2006; la legge ha attribuito al messo il compito di eseguire le notificazioni di tre specifiche categorie di atti:
gli atti di accertamento dei tributi locali;
gli atti delle procedure esecutive di cui al testo unico sulla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato (RD 639/1910);
gli atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie dei comuni.