22/10/2019 - Varianti urbanistiche per attività produttive e discrezionalità del Consiglio comunale
tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Varianti urbanistiche per attività produttive e discrezionalità del Consiglio comunale
di Michele Deodati - Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
Il caso: un distributore carburanti in area vincolata
Una società ha presentato al Comune un'istanza ai sensi dell'art. 7, D.P.R. n. 160/2010 per realizzare un impianto di distribuzione di carburanti in area classificata agricola e sottoposta a tutela paesaggistica ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004. La disposizione posta a base dell'istanza è relativa al procedimento unico per l'avvio di un'attività produttiva da instaurare presso il competente SUAP (Sportello Unico Attività Produttive). In seguito, l'istanza veniva dichiarata inammissibile in quanto, trattandosi di zona sottoposta a tutela, la localizzazione dell'impianto non avrebbe potuto considerarsi mero adeguamento dello strumento urbanistico. Sarebbe stata dunque necessaria una variante al PRG vigente. A questo punto, l'Amministrazione ha invitato il richiedente, che poi ha assecondato l'invito, a presentare una nuova istanza, questa volta ai sensi dell'art. 8, D.P.R. n. 160/2010. Questa disposizione, com'è noto, detta una speciale disciplina per la realizzazione di nuovi insediamenti produttivi in territori in cui non sono individuate aree destinate all'insediamento di impianti produttivi o le aree sono insufficienti.
Tuttavia, l'Amministrazione ha rigettato l'istanza, ritenendo insussistenti i presupposti testé indicati per l'avvio di tale procedimento.
Il giudizio davanti al T.A.R.
Sul diniego si è pronunciato il T.A.R., che in sede cautelare ha ritenuto non ci fosse contrasto tra il progetto e la disciplina urbanistica comunale. Di conseguenza, il diniego adottato sul rilievo della sussistenza di altre aree disponibili è parso illegittimo, poiché non evidenzia altre ragioni ostative alla locazione dell'impianto, nell'area prescelta, bisognevoli di variante urbanistica per contrasto con il PRG. In seguito, il Comune comunicava alla società l'avvio del procedimento di riesame, disponendo che la decisione doveva essere rinviata dopo l'acquisizione dei risultati di uno studio da commissionare all'esterno che evidenziasse le possibili ripercussioni sulla viabilità e il traffico. Tale studio, una volta prodotto, ha concluso evidenziando la possibilità di criticità sulla rete viaria. Su questi presupposti, il Consiglio comunale ha rigettato la proposta di variante così argomentando:
- rilevante trasformazione urbanistica ed edilizia attraverso l'ampliamento dell'edificato e la riduzione del suolo agricolo;
- compromissione della viabilità della zona;
- nessun rilievo agli oneri economici sostenuti dall'impresa che non può vantare un'aspettativa meritevole di tutela sul buon esito del procedimento.
Contro i successivi atti di diniego il T.A.R. adito accoglieva il ricorso e la richiesta risarcitoria.
L'Appello al Consiglio di Stato
Rimasto soccombente, il Comune ha impugnato la sentenza di primo grado davanti al Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 6439 del 26 settembre 2019 ha accolto il ricorso.
Il Collegio d'appello ha ricordato innanzitutto che secondo la normativa regionale applicabile, che ha recepito una norma nazionale di pari contenuto presente nel D.Lgs. n. 32/1998, la localizzazione degli impianti di carburanti stradali costituisce un mero adeguamento degli strumenti urbanistici su tutte le zone e sottozone del P.R.G. non sottoposte a vincoli paesaggistici, ambientali ovvero monumentali e non comprese nelle zone territoriali omogenee A. Nel caso in questione, ci troviamo all'interno di un centro abitato ed in prossimità di una strada urbana soggetta a tutela paesaggistica, pertanto la localizzazione di un impianto di distribuzione carburanti in quest'area non costituisce mero adeguamento dello strumento urbanistico.
Sulla scorta di quanto ricordato dal Comune, anche dopo l'avvento della legislazione che ha liberalizzato l'insediamento degli impianti di distribuzione carburanti, possiamo considerare che:
a) è consentito ai comuni di operare scelte di pianificazione al fine di garantire un corretto insediamento delle strutture di vendita con riferimento anche agli aspetti connessi all'ambiente urbano;
b) le prescrizioni contenute nei piani urbanistici, infatti, rispondendo all'esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, possono porre limiti agli insediamenti degli esercizi. La diversità degli interessi pubblici tutelati impedisce di attribuire in astratto prevalenza alle norme in materia commerciale rispetto al piano urbanistico;
c) di regola, la anticoncorrenzialità della disposizione preclusiva ricorre allorché essa si sostanzi in valutazioni estrinseche di natura prettamente economica o commerciale.
In definitiva, il diniego iniziale del comune sull'istanza di procedimento unico ai sensi dell'art. 7, D.P.R. n. 160/2010, non impugnato, è stato fondato sulla presenza di un vincolo paesaggistico che in quanto tale ha impedito l'attuazione diretta dell'intervento in assenza di idonea variante, in tal caso richiesta anche dalla legislazione statale. Di conseguenza è stata presentata richiesta di variante ai sensi del successivo art. 8, che però è stata rigettata per carenza dei presupposti, in quanto il Comune ha sostenuto che c'erano altre aree idonee alla collocazione dell'impianto. In altre parole, l'impianto doveva essere ipotizzato in altra area.
Il Consiglio di Stato sull'art. 8, D.P.R. n. 160/2010 (variante SUAP)
Sull'art. 8 del decreto SUAP si è espressa più volte la Giurisprudenza amministrativa. Si tratta di un procedimento che ha carattere eccezionale e derogatorio e non può essere surrettiziamente trasformato in una modalità "ordinaria" di variazione dello strumento urbanistico generale; pertanto, "perché a tale procedura possa legittimamente farsi luogo, occorre che siano preventivamente accertati in modo oggettivo e rigoroso i presupposti di fatto richiesti dalla norma, e quindi anche l'assenza nello strumento urbanistico di aree destinate ad insediamenti produttivi ovvero l'insufficienza di queste, laddove per "insufficienza" deve intendersi, in costanza degli standard previsti, una superficie non congrua (e, quindi, insufficiente) in ordine all'insediamento da realizzare" (Cons. Stato, sez. IV, 8 gennaio 2016, n. 27).
Secondo l'attuale formulazione della disposizione "Qualora l'esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, ove sussista l'assenso della Regione espresso in quella sede, il verbale è trasmesso al Sindaco ovvero al Presidente del Consiglio comunale, ove esistente, che lo sottopone alla votazione del Consiglio nella prima seduta utile" (art. 8, comma 1, secondo periodo, D.P.R. n. 160 del 2010). Sempre secondo la Giurisprudenza del Supremo Collegio, "la proposta di variazione dello strumento urbanistico assunta dalla Conferenza di servizi, da considerare alla stregua di un atto di impulso del procedimento volto alla variazione urbanistica, non è vincolante per il Consiglio comunale, che conserva le proprie attribuzioni e valuta autonomamente se aderirvi" (Cons. Stato, sez. IV, 1 marzo 2017, n. 940; Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2013, n. 4121; cfr. anche Cons. Stato, sez. VI, 27 luglio 2011, n. 4498)
Dopo aver richiamato questi precedenti, il Collegio d'appello ricorda che la normativa in esame riguarda una procedura accelerata e semplificata, a iniziativa privata, di eventuale revisione dello strumento urbanistico, la quale inverte i rapporti e i ruoli circa la valutazione degli interessi all'ordinato e generale assetto del territorio. La disciplina del procedimento di cui trattasi è, quindi, "di stretta interpretazione e, comunque, al di là della prima iniziativa, nulla sottrae all'ordinaria discrezionalità dell'Amministrazione in materia urbanistica" (Cons. Stato, sez. IV, sentenza 27 luglio 2011, n. 4498).
Da ciò emerge che le motivazioni della delibera comunale attengono quindi a valutazioni di merito dell'amministrazione relativamente alla corretta pianificazione del territorio - e pertanto, secondo la sentenza n. 6439/2019 - le stesse avrebbero potuto essere censurate solo ove caratterizzate da evidenti irrazionalità, ma non già per il fatto stesso di costituire espressione delle prerogative di indirizzo politico - amministrativo proprie dell'organo consiliare. Le determinazioni assunte dal Consiglio comunale nella sede in esame, proprio perché espressione di un ampio potere di indirizzo pianificatorio, possono anche motivatamente discostarsi dai pareri resi dagli uffici tecnici comunali.