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19/11/2019 - Se il part-time passa dal 50% al 70%, tutti gli incarichi autorizzati in precedenza decadono

tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Se il part-time passa dal 50% al 70%, tutti gli incarichi autorizzati in precedenza decadono
di Federico Gavioli - Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
Se il dipendente pubblico ha un rapporto di lavoro a part-time al 50 per cento con una serie di autorizzazioni, se chiede il passaggio del rapporto al 70 per cento , tutte le autorizzazioni decadono; la Corte di Cassazione con la sentenza n. 28757 del 7 novembre 2019 ha respinto il ricorso di un dipendente nei confronto del suo ente di appartenenza (si trattava di una azienda sanitaria).
Il contenzioso
Con sentenza dell'aprile 2014 la Corte di appello confermava la decisione del Tribunale della stessa sede che aveva respinto la domanda proposta da dipendente nei confronti dell'Azienda Sanitaria Provinciale , intesa ad ottenere l'annullamento della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per quattro mesi inflittagli per aver svolto incarichi retribuiti extra lavorativi senza la preventiva necessaria autorizzazione del datore di lavoro.
La Corte territoriale riteneva che la contestazione disciplinare fosse tempestiva in rapporto alla data della nota di trasmissione all'ASP dell'accertamento ispettivo effettuato dalla Guardia di Finanza nel quale si dava atto che il dipendente, con rapporto di lavoro in regime di part-time al 70 per cento, aveva espletato vari incarichi extra istituzionali senza la relativa autorizzazione, dovendo escludersi che in epoca anteriore a tale nota l'Azienda potesse aver avuto conoscenza dei ripetuti incarichi extra lavorativi svolti dallo stesso dipendente.
Respingeva la tesi del dipendente accertato circa la possibilità di applicare la scriminante del legittimo affidamento ritenendo che la concessione del part-time al 70 per cento non potesse in alcun modo contenere un'autorizzazione anche implicita allo svolgimento di attività extra lavorativa e che l'istanza in tal senso avanzata dal dipendente non fosse affatto diretta al conseguimento di una preventiva autorizzazione.
La Corte territoriale, in conclusione, escludeva che nei comportamento tenuto dall'azienda all'atto della trasformazione del rapporto part-time vi fossero elementi tali da ingenerare nel dipendente il convincimento incolpevole di poter svolgere incarichi extra lavorativi.
Avverso tale sentenza il dipendente è ricorso in Cassazione.
L'analisi della Cassazione
I giudici di legittimità evidenziano che la Corte territoriale ha spiegato, in maniera sintetica ma esaustiva e niente affatto perplessa, le ragioni della decisione evidenziando perché la contestazione disciplinare dovesse ritenersi tempestiva; con la trasmissione dell'accertamento ispettivo effettuato dalla Guardia di Finanza, era reso noto all'Azienda che il dipendente aveva espletato vari incarichi extra istituzionali senza autorizzazione ed inoltre dal tenore della comunicazione dell'ottobre del 2008 , con la quale l'azienda sanitaria aveva avviato il procedimento di annullamento della delibera di autorizzazione della trasformazione del part-time dal 50 per cento al 70, non era possibile in alcun modo presumere che già a tale data l'Azienda fosse a conoscenza dei reiterati incarichi extra lavorativi svolti dal dipendente e perché fosse da escludersi un incolpevole affidamento sull'esistenza di una autorizzazione (la delibera con cui l'azienda sanitaria aveva concesso il part-time al 70 per cento non conteneva alcuna autorizzazione neppure implicita allo svolgimento di attività extra lavorativa) peraltro preclusa dall'art. 53D.Lgs. n. 165/2001, ed anzi, il parere favorevole alla trasformazione del part-time dal 50 per cento già in godimento al 70 per cento era stato espresso solo perché tale trasformazione garantiva una maggiore presenza del dipendente in ufficio.
Si ricorda che l'art. 53D.Lgs. n. 165/2001, afferma che "Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (…) .
Non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni.
Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati. (..…)".
Il giudice d'appello non si è affatto limitato ad una generica e laconica adesione alla decisione di primo grado, ma ha dato conto del modo in cui è pervenuto alla conclusione confermativa di tale decisione, nell'accertamento della tempestività della contestazione sia nella ritenuta mancanza di alcuna autorizzazione, anche implicita, allo svolgimento dell'attività extra lavorativa contenuta nella delibera autorizzativa del part-time al 70 per cento, sia ancora nella esclusione di un convincimento incolpevole del dipendente di poter svolgere incarichi extra lavorativi.
Si tratta di un impianto motivazionale assolutamente comprensibile, in relazione ai quale può discutersi della sua plausibilità e condivisibilità ma non di una inesistenza motivazionale.
Con riferimento alla dedotta violazione del principio di immediatezza della contestazione va ribadito che tale principio ha lo scopo di garantire la possibilità di un'utile difesa da parte del lavoratore e, quindi, l'effettività del contraddittorio, nonché la certezza dei rapporti giuridici nel contesto dell'esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede.
La valutazione che il giudice di merito esprime è, quindi, censurabile in sede dì legittimità con gli stessi limiti previsti per le clausole generali , poiché i concetti di tardività e tempestività richiedono di essere concretizzati dall'interprete mediante specificazioni che hanno natura giuridica la cui disapplicazione si risolve in violazione di legge.
La Cassazione osserva che in riferimento alla ritenuta esclusione di una autorizzazione implicita allo svolgimento di attività extra lavorativa, è poi particolarmente significativo, nel contesto motivazionale della sentenza impugnata, il richiamo operato dalla Corte territoriale all'art. 53D.Lgs. n. 165/2001; si ricorda, infatti, che l'impiego pubblico è storicamente caratterizzato, a differenza di quello privato, dal c.d. regime delle incompatibilità, in base al quale al dipendente pubblico è preclusa la possibilità di svolgere attività commerciali, industriali, imprenditoriali e professionali in costanza di rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione.
La ratio di tale divieto, che permane anche nel sistema 'contrattualizzato' per rimarcare la peculiarità dell'impiego pubblico, va rinvenuta nel principio costituzionale di esclusività della prestazione lavorativa a favore del datore pubblico espressa dall'art. 98, comma 1 della Costituzione.
Gli artt. 60 ss. D.P.R. n. 3 del 1957, declinando il principio del servizio esclusivo della Nazione del pubblico dipendente sancito dall'art. 98 della citata Costituzione, prevedevano l'incompatibilità assoluta dell'impiego pubblico con l'esercizio di altre attività.
Questo divieto è stato successivamente mitigato dall'art. 58D.Lgs. n. 29 del 1993, poi trasfuso nell'art. 53D.Lgs. n. 165 del 2001 (ratione temporis applicabile alla vicenda in esame) che, come noto, ha previsto la possibilità per l'amministrazione di appartenenza di autorizzare il dipendente a svolgere incarichi attribuiti da altre pubbliche amministrazioni o soggetti privati, anche retribuiti, se ritenuti compatibili con l'attività svolta dal dipendente.
L'art. 1L. n. 190 del 2012 ha successivamente modificato all'esercizio di incarichi esterni sia disposta "secondo criteri oggettivi e predeterminati" che escludano "casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente".
Per la Corte di Cassazione valorizzare, come ha fatto la Corte territoriale, il divieto posto dall'art. 53 rende vieppiù infondati i motivi di ricorso con i quali si prospetta una molteplicità di fatti che sarebbero stati trascurati dai giudici d'appello e che, a ben guardare, anche per la loro pluralità, non hanno il necessario carattere della decisività, nel senso inteso dalla Cassazione secondo cui è fatto decisivo quello che, se fosse stato esaminato, avrebbe portato ad una soluzione diversa della vertenza con un giudizio di certezza e non di mera probabilità .
In conclusione la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
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