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18/03/2019 - Il nuovo codice degli appalti è inapplicabile

tratto da Italia Oggi del 16.03.2019

Il nuovo codice degli appalti è inapplicabile

Sono stati messi tanti paletti contro la corruzione che la legge ormai non funziona più. Ma un risultato (forse) si è ottenuto: non facendo niente si sono bloccate le ruberie

di Cesare Maffi

La linea dominante, in tema di appalti, è stata costantemente giustizialista con il magnificato e ostentato obiettivo della lotta senza tregua alla corruzione. Pene aumentate, addirittura parificazione dei corrotti ai terroristi, disposizioni sempre più stringenti, regole moltiplicate, incrementi normativi: il tutto, per arrivare a un codice degli appalti che ormai i più rigidi assertori del giacobinismo riconoscono essere inapplicabile.

Un fatto che accomuna tutti i livelli legislativi e normativi, dall'Ue al più piccolo comune, passando attraverso regioni ed enti di varia dimensione, è la costante tendenza ad accrescere il parco delle disposizioni, dalle leggi alle delibere, dai regolamenti ai decreti. Direbbe Dante che domina un immillarsi (moltiplicarsi) di prescrizioni.

Ovviamente la conoscenza, dicesi la semplice conoscenza, delle disposizioni necessarie per qualsiasi iniziativa, partendo da quelle in edilizia e in urbanistica, conferisce a chi sa un potere immenso. Più esse sono numerose e complesse, più il loro monopolio permette a chi riesce a districarsi di risultare determinante e quindi di avere in mano un potere che fatalmente favorisce la corruzione, la ricerca della via breve, i tentativi di semplificare i tempi. Inoltre l'oggettiva difficoltà interpretativa paralizza l'attività dei funzionari pubblici, timorosi d'incorrere in irregolarità loro imputabili penalmente.

Un attento analista di lavori pubblici, appalti, disposizioni specie regionali e locali, l'ex procuratore Carlo Nordio, ha correttamente scritto di un «complesso normativo farraginoso, contraddittorio, oscuro e fondamentalmente stupido che conferisce un incrollabile arbitrio ai più diversi organi centrali e periferici».

Conseguenza: «in questo gigantesco guazzabuglio codicistico ogni amministratore troverà sempre una norma che gli dia ragione (…) ma rischierà sempre una buona denuncia, perché ci sarà sempre un'altra norma, opposta e simmetrica, che gli darà torto». Vi sono commissioni comunali (caso macroscopico: Roma Capitale) che non riescono a funzionare per le ripetute fughe di membri timorosi d'incorrere in (ben difficilmente evitabili) errori. Il permanere di un reato nebbioso come l'abuso d'ufficio aumenta le preoccupazioni. D'altra parte la discrezionalità amministrativa può facilmente trascendere in arbitrio.

L'unico rimedio consisterebbe nel semplificare. La proliferazione delle norme reca con sé la complicazione, con relativi oneri e tempi, ma l'opposta richiesta di semplificare causa la facile accusa di voler agevolare la corruttela, attutire o addirittura eliminare i controlli, favorire il malaffare, danneggiare beni primari quali la salute o la vita stessa. È facile dare addosso ai palazzinari, come dicono a Roma, asserendo che vogliano favorire nuovi e lucrosi lavori pubblici da ottenere mediante mazzette e senza garanzie di trasparenza. E finché non si poteranno le norme, si genereranno ancor più procedimenti giudiziari di dubbia validità, si bloccheranno lavori, i costi per le opere lieviteranno.

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