07/03/2019 - Esercizio associato delle "funzioni fondamentali" dei Comuni: la Consulta chiarisce quando l'obbligo diventa facoltà
Esercizio associato delle "funzioni fondamentali" dei Comuni: la Consulta chiarisce quando l'obbligo diventa facoltà
di Michele Deodati - Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
La recentissima Sentenza costituzionale n. 33 del 4 marzo 2019 rischia di innescare una piccola rivoluzione nel contesto dell'associazionismo dei Comuni. All'esame della Consulta sono finite le norme che prevedono l'obbligo per i più piccoli di tali enti (quelli con popolazione fino a 5.000 abitanti o a 3.000, se montani) di esercitare le funzioni fondamentali in forma associata. Ma il tanto atteso "tsunami" che doveva travolgere l'intera impalcatura di norme sull'esercizio associato di queste funzioni non è arrivato, e i sostenitori del campanilismo più estremo rischiano di rimanere delusi.
L'assetto che scaturisce all'esito dello scrutinio costituzionale, ha sì superato il dogma dell'obbligatorietà, ma solo in determinati casi e situazioni che dovranno trovare puntuale dimostrazione. Insomma, oltre a rimarcare l'importanza delle gestioni associate, la Consulta finisce così per rafforzarne il ruolo proprio attraverso le precisazioni e i distinguo che in certi casi ne consentono l'attivazione facoltativa e non più obbligatoria.
La questione di legittimità costituzionale
La vicenda ha preso le mosse dall'impugnativa promossa davanti al T.A.R. del Lazio da parte di alcuni Comuni e da un'associazione di enti locali, contro la circolare del Ministero dell'interno del 12 gennaio 2015, n. 323, con la quale ai prefetti sono state impartite indicazioni operative con carattere precettivo, e quindi immediatamente lesivo nei confronti dei Comuni, per procedere alla ricognizione dello stato di attuazione della normativa sull'esercizio associato delle funzioni fondamentali e per diffidare i Comuni inadempienti. I ricorrenti hanno richiesto che fosse accertata l'insussistenza di obblighi nei loro confronti, argomentando che il provvedimento ministeriale fosse affetto da illegittimità derivata a causa della illegittimità costituzionale della disciplina legislativa presupposta, quella che per l'appunto riguarda il sistema di gestione delle funzioni fondamentali.
Da qui l'ordinanza di rimessione del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima ter, che ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi da 26 a 31, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella L. 30 luglio 2010, n. 122, anche come modificato dal D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 135.
Le censure alla normativa sulle "funzioni fondamentali"
Nel mirino della Consulta, è finito il complesso di norme che presidiano l'esercizio delle funzioni fondamentali, elencano le funzioni medesime, pongono l'obbligo per i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti (o a 3.000, se montani), di esercitarle in forma associata mediante unione di Comuni o convenzione, disciplinano l'unione rinviando all'art. 32 del Testo unico enti locali, vietano di svolgerle singolarmente o mediante più di una forma associativa, demandano alle Regioni, nelle materie di cui all'art. 117, comma 3 e 4, Cost., l'individuazione della dimensione territoriale ottimale per il predetto esercizio associato e definiscono il limite demografico minimo che le forme associate devono raggiungere.
Il termine entro cui i Comuni interessati devono assicurare l'attuazione delle disposizioni di cui all'art. 14 D.L. n. 78 del 2010 è stato più volte differito e attualmente è fissato al 30 giugno 2019, come ha stabilito il D.L. n. 91 del 2018, conv. in L. n. 108 del 2018.
Funzioni di indirizzo politico e funzioni di indirizzo amministrativo
La Corte ha precisato innanzitutto che lo scrutinio di costituzionalità va circoscritto alle sole norme attinenti l'obbligo della gestione associata. Ad ispirare questo intervento normativo, è la logica sottesa al contenimento della spesa pubblica, che nelle mire del Legislatore doveva raggiungersi anche attraverso il sistema tendenzialmente virtuoso delle gestioni associate di funzioni tra Comuni, soprattutto con riferimento alle funzioni fondamentali.
I più rilevanti profili di censura hanno riguardato i principi di buon andamento, differenziazione e tutela delle autonomie locali. Per il rimettente, le norme richiamate avrebbero ribaltato l'assetto previgente, rendendo la gestione associata da volontaria a obbligatoria, da flessibile a rigida, in modo che per i Comuni di minori dimensioni tutte le funzioni fondamentali, salvo limitate eccezioni, devono essere svolte in forma associata, con conseguente obbligo di aggregazione della relativa organizzazione burocratica. Da ciò, sempre ad avviso del rimettente, deriverebbero importanti conseguenze sul normale funzionamento del circuito democratico, in quanto gli organi gestionali non sarebbero più sottoposti all'indirizzo politico di quelli rappresentativi, con conseguente vulnus del principio di responsabilità politica degli organi democraticamente eletti.
La Corte ha replicato a tali assunti sostenendo che se esistesse un vincolo costituzionale per cui in un unico soggetto istituzionale debbono sempre coincidere la funzione di indirizzo politico e quella dell'indirizzo amministrativo, la sua violazione discenderebbe direttamente dalla previsione della forma associativa in sé stessa, a prescindere dal fatto che questa risulti obbligatoriamente imposta. E infatti, è la modalità di esercizio associato delle funzioni amministrative in quanto tale ad essere definita dalla difesa dei ricorrenti come un sistema di governo acefalo.
Questa presa di posizione così estrema è stata considerata palesemente insostenibile dalla Corte costituzionale, che ha già avuto modo di riconoscere come le forme associative costituiscano pur sempre una proiezione degli enti stessi (sentenze n. 456 e n. 244 del 2005 e n. 229 del 2001). A sostegno, la Corte ha invocato l'esempio dell'Unione di comuni, la forma associativa definita più stringente, che comunque garantisce il rispetto del principio autonomistico attraverso il meccanismo della rappresentanza di secondo grado. Anche in questo caso infatti, viene "preservato uno specifico ruolo agli enti locali titolari di autonomia costituzionalmente garantita, nella forma della partecipazione agli organismi titolari dei poteri decisionali, o ai relativi processi deliberativi, in vista del raggiungimento di fini unitari nello spazio territoriale reputato ottimale". E per comprendere fino a che punto la rappresentanza degli enti partecipanti si riflette nel soggetto istituzionale unitario, basta leggere l'art. 32, D.Lgs. n. 267 del 2000.
Forma associativa per l'esercizio di funzioni: obbligo o facoltà?
Esclusi dunque tutti i precedenti profili di incostituzionalità in merito alle forme associative in sé considerate, la questione residua ruota intorno all'obbligo di gestione associata. L'art. 14, comma 28, D.L. n. 78 del 2010 offre l'alternativa tra gli istituti della convenzione e dell'unione di comuni, che comportano un diverso livello di integrazione istituzionale, che si riflette sulla titolarità delle funzioni e sulle connesse risorse finanziarie. A fondamento dell'intervento statale nell'ambito dell'autonomia organizzativa degli enti territoriali minori, la potestà statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, al punto da comportare l'infondatezza delle rimanenti censure, tranne per quanto riguarda il comma 28, relativo all'obbligatorietà. Gli interventi statali in materia di coordinamento della finanza pubblica che incidono sull'autonomia degli enti territoriali devono svolgersi secondo i canoni di proporzionalità e ragionevolezza dell'intervento normativo rispetto all'obiettivo prefissato. La previsione generalizzata dell'obbligo di gestione associata per tutte le funzioni fondamentali, sancita dal comma 28, presenta un'eccessiva rigidità, in quanto non consente di considerare tutte quelle situazioni in cui, a motivo della collocazione geografica e dei caratteri demografici e socio ambientali, la convenzione o l'Unione di Comuni non sono idonee a realizzare, mantenendo un adeguato livello di servizi alla popolazione, quei risparmi di spesa che la norma richiama come finalità dell'intera disciplina. La Corte evidenzia inoltre i casi in cui l'obbligatorietà della gestione associata deve comunque essere garantita anche se: a) non esistono Comuni confinanti parimenti obbligati; b) esiste solo un Comune confinante obbligato, ma il raggiungimento del limite demografico minimo comporta la necessità del coinvolgimento di altri Comuni non posti in una situazione di prossimità; c) la collocazione geografica dei confini dei Comuni non consente, per esempio in quanto montani e caratterizzati da particolari "fattori antropici", "dispersione territoriale" e "isolamento" (Sent. n. 17 del 2018), di raggiungere gli obiettivi previsti dalla norma. In tali casi, solo esemplificativi, "l'ingegneria legislativa non combacia con la geografia funzionale", dice la Corte, e il sacrificio imposto all'autonomia comunale non è in grado di raggiungere l'obiettivo cui è diretta la normativa stessa; questa finisce così per imporre un sacrificio non necessario, non superando quindi il test di proporzionalità.
Il citato comma 28 è perciò costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede la possibilità, in un contesto di Comuni obbligati e non, di dimostrare, al fine di ottenere l'esonero dall'obbligo, che a causa della particolare collocazione geografica e dei caratteri demografici e socio ambientali del Comune obbligato, non sono realizzabili con le forme associative imposte, economie di scala e/o miglioramenti in termini di efficacia ed efficienza nell'erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento. La portata della decisione non coinvolge tutte quelle diverse situazioni in cui le normative impongono obblighi di gestione associata di funzioni e/o servizi alla generalità dei Comuni, e quindi sono riferibili a tutti gli enti locali appartenenti a un determinato ambito territoriale, senza che si distingua tra Comuni obbligati e non.
E' stata ritenuta fondata anche la questione di legittimità che ha coinvolto la normativa regionale campana finalizzata all'individuazione della dimensione territoriale ottimale e omogenea per lo svolgimento in forma obbligatoriamente associata delle funzioni fondamentali, che ai sensi del comma 30, art. 14, D.L. n. 78 del 2010 deve avvenire previa concertazione con i comuni interessati. Questo perché di tale concertazione non è stata rinvenuta traccia nei provvedimenti regionali.
Soluzioni di diritto comparato: l'esempio francese
Per superare il problema della polverizzazione dei Comuni, la Suprema Corte suggerisce di dare uno sguardo al lavoro fatto oltralpe. In Francia, ad esempio, la differenziazione è stata attuata non solo sul piano organizzativo ma anche funzionale, sia attraverso innovative modalità di associazionismo intercomunale, sia mediante forme di accompagnamento alle fusioni.
La storia infinita delle "funzioni fondamentali" dei Comuni
Nella Sent. n. 33 del 2019, la Corte costituzionale non ha risparmiato critiche all'attuale assetto organizzativo dell'autonomia comunale, dove le funzioni fondamentali risultano ancora oggi contingentemente definite con un decreto-legge che tradisce la prevalenza delle ragioni economico finanziarie su quelle ordinamentali.
Quella delle "funzioni fondamentali" è una vicenda piuttosto tormentata. Se ne parla all'art. 117, comma 2, lett. p), Cost., quando si dice che "Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (...) p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane". Il primo tentativo fallito per l'attuazione del dettato costituzionale è espresso dall'art. 2, L. n. 131 del 2003, che nello stabilire una delega in favore del Governo per la definizione delle funzioni fondamentali, le indentificava in quelle essenziali per il funzionamento degli enti locali, nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento, "...connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell'ente e per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento ".
In seguito, la L. delega n. 42 del 2009 (federalismo fiscale) ha individuate per la prima volta le funzioni fondamentali di comuni e province, ma l'elenco è estremamente limitativo e dichiaratamente provvisorio, in quanto assume rilevanza solo a fini fiscali, per determinare quote di fondi di finanziamento legate ai fabbisogni standard.
Tale approccio si perpetua anche nel D.Lgs. n. 216 del 2010 e viene però superato da una nuova determinazione operata dal D.L. n. 95 del 2012 (c.d. Spending Review). Prima, sia il D.L. n. 78 del 2010 che il D.L. n. 138 del 2011, avevano già impiegato l'elenco provvisorio delle funzioni come base per introdurre iniziative di riordino e razionalizzazione istituzionale (Unioni di Comuni e Unioni Speciali).
Sulla base di un ristretto nucleo di compiti definiti fondamentali per ragioni fiscali, il risultato perseguito da questi successivi provvedimenti è più organizzativo che istituzionale, muovendosi verso una direzione, quella del riordino, ultronea rispetto al percorso tracciato dalla Costituzione.
Le funzioni fondamentali contenute nel D.L. n. 95 del 2012, costituiscono una lista più ampia rispetto a quanto definito negli interventi normativi precedenti in materia di federalismo fiscale, dal momento che si attinge dall'elencazione delle funzioni fondamentali riscontrabile nel testo della Carta delle Autonomie all'esame del Senato.
La nuova previsione non nasconde velleità assolutizzanti: insistendo sul carattere "definitivo" e non più provvisorio, l'elenco diventa strumentale ad attuare la delega presente nella Costituzione. Tuttavia, si punta sempre a soddisfare esigenze contingenti legate al riordino istituzionale e all'esercizio associato obbligatorio.
Le funzioni definitive non sono però esaustive. Dal catalogo del D.L. n. 95 del 2012 risultano mancanti alcune funzioni fondamentali pure considerate tali nei lavori parlamentari sul testo della legge ancora in discussione sulle Autonomie. Ad esempio, non si trovano tra le funzioni dell'art. 19, il coordinamento delle attività commerciali e dei pubblici esercizi; la gestione dell'ambiente e del territorio, scorporata rispetto ai compiti urbanistici pure previsti; la costruzione, gestione e manutenzione delle strade comunali; la gestione dei beni e dei servizi culturali di cui il comune abbia la titolarità; la gestione dei beni demaniali e patrimoniali dell'ente; la promozione delle garanzie di accesso ai servizi pubblici e privati.
Si tratta comunque di un elenco per ambiti funzionali piuttosto che per funzioni e servizi. Per individuare le funzioni fondamentali non resta che rinviare ad una puntuale ricognizione delle funzioni e dei servizi già conferiti dalla legislazione statale o da quella regionale, con ovvi riferimenti alle funzioni amministrative di cui all'art. 118 Cost., che si trovano in rapporto di genere a specie rispetto alle funzioni fondamentali.
Il Legislatore della L. n. 56 del 2014 ha abbandonato una volta per tutte la classificazione delle funzioni fondamentali che in precedenza veniva utilizzata per raggruppare le funzioni amministrative degli enti locali in aggregati omogenei secondo la successione "materie/funzioni/servizi" (clusterizzazione). Quella tecnica, adottata sin dalla prima stagione del decentramento ad opera del D.P.R. n. 616 del 1977, aveva trovato seguito in tutte le successive riforme, in primis nella L. n. 59 del 1997 e nei successivi decreti. Agli aggregati di materie contenuti dal D.P.R. n. 616 del 1977, si sono aggiunte le funzioni "strumentali" relative all'operatività della macchina amministrativa. Quella stessa classificazione delle funzioni si intrecciava con un altro criterio finalizzato alla scomposizione puntuale delle funzioni in attività operative: il riferimento è ai noti criteri interpretativi offerti dalle regole di formazione dei bilanci di cui al D.P.R. n. 194 del 1996, distinti in "funzioni/servizi", anteriori alla riforma introdotta dal D.Lgs. n. 118 del 2011.
Ci ha pensato la Sent. n. 220 del 2013 della Corte Costituzionale a colpire il catalogo delle funzioni fondamentali del D.L. n. 95 del 2012con la sanzione dell'illegittimità costituzionale. Per quanto riguarda Province e Città Metropolitane, paventando il pericolo, peraltro più apparente che reale, di reviviscenza di norme abrogate, se non addirittura un ritorno fino alle norme del TUEL, il Legislatore della L. n. 56 del 2014 ha proceduto a marce forzate. L'elenco di funzioni previste dall'art. 1, commi 44, 85 ss. rappresentano perciò il risultato di un'intera stagione, lunga dieci anni, di continue trasformazioni e riforme spesso rivelatesi inutili. Per chiudere con le parole della Sent. n. 33 del 2019, il problema della dotazione funzionale tipica, caratterizzante e indefettibile, dell'autonomia comunale non è stato mai stato risolto ex professo dal legislatore statale, come invece avrebbe richiesto l'impianto costituzionale risultante dalla riforma del Titolo V della Costituzione. La Corte auspica che il confronto dialettico tra gli attori istituzionali porti anche a considerare i limiti dell'ordinamento locale, che nonostante i principi di differenziazione, adeguatezza e sussidiarietà, vede il più piccolo dei municipi titolare delle stesse funzioni fondamentali che spettano alla più grande metropoli.
Corte cost., Sent., (ud. 8 gennaio 2019) 4 marzo 2019, n. 33
Art. 14, commi 26, 27, 28, 28-bis, 29, 30 e 31, D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (G.U. 31 maggio 2010, n. 125, S.O.)
L. 30 luglio 2010, n. 122 (G.U. 30 luglio 2010, n. 176, S.O.)
Art. 19, comma 1, D.L. 6 luglio 2012, n. 95 (G.U. 6 luglio 2012, n. 156, S.O.)
L. 7 agosto 2012, n. 135 (G.U. 14 agosto 2012, n. 189, S.O.)
Art. 1, commi 110 e 111, L.R. 7 agosto 2014, n. 16 della Regione Campania (B.U. Campania 7 agosto 2014, n. 57)