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10/05/2019 - Legittimo chiedere la riunione per esaminare mozioni e interrogazioni - Il consiglio? È un diritto - I motivi della convocazione sono insindacabili

tratto da Italia Oggi - Osservatorio Viminale

Legittimo chiedere la riunione per esaminare mozioni e interrogazioni - Il consiglio? È un diritto - I motivi della convocazione sono insindacabili


Si può chiedere la convocazione del consiglio comunale ai sensi dell'art. 39, comma 2, del decreto legislativo n. 267/00 per poter esaminare atti di sindacato ispettivo?
 
Un quinto dei consiglieri comunali di minoranza di un ente ha depositato una mozione ed una interrogazione contestualmente alla istanza di convocazione ai sensi dell'art. 39, comma 2, del decreto legislativo n. 267/2000.
In base al regolamento sul funzionamento del consiglio comunale è previsto che le interrogazioni e le mozioni presentate al protocollo dell'ente dovranno essere iscritte all'ordine del giorno in occasione della convocazione della prima adunanza del consiglio successiva alla loro presentazione.
La medesima fonte normativa prevede che la convocazione richiesta ex citato art. 39, comma 2, «deve contenere in allegato, per ciascun argomento indicato da iscrivere all'ordine del giorno, il relativo schema di deliberazione».
Ad avviso del sindaco, in base al combinato disposto delle norme regolamentari surrichiamate, sarebbe escluso che la richiesta di convocazione formulata da un quinto dei consiglieri possa avere ad oggetto atti di sindacato ispettivo, dovendo ciascuna richiesta essere, indefettibilmente, corredata dal relativo «schema di deliberazione». Il diritto ex art. 39, comma 2, «è tutelato in modo specifico dalla legge con la previsione severa ed eccezionale della modificazione dell'ordine delle competenze mediante intervento sostitutivo del prefetto in caso di mancata convocazione del consiglio comunale in un termine emblematicamente breve di venti giorni» (Tar Puglia, sez. 1, 25 luglio 2001, n. 4278).
L'orientamento che vede riconosciuto e definito «il potere dei consiglieri di chiedere la convocazione del consiglio medesimo» come «diritto» dal legislatore è, quindi, ormai ampiamente consolidato (sentenza Tar Puglia, Lecce, sez. I del 4 febbraio 2004, n. 124).
La questione sulla sindacabilità dei motivi che determinano i consiglieri a chiedere la convocazione straordinaria dell'assemblea, si è orientata nel senso che al presidente del consiglio spetti solo la verifica formale della richiesta prescritto numero di consiglieri, non potendo comunque sindacarne l'oggetto.
La giurisprudenza in materia si è da tempo espressa affermando che, in caso di richiesta di convocazione del consiglio da parte di un quinto dei consiglieri, «al presidente del consiglio comunale spetta soltanto la verifica formale che la richiesta provenga dal prescritto numero di soggetti legittimati, mentre non può sindacarne l'oggetto, poiché spetta allo stesso consiglio nella sua totalità la verifica circa la legalità della convocazione e l'ammissibilità delle questioni da trattare, salvo che non si tratti di oggetto che, in quanto illecito, impossibile o per legge manifestamente estraneo alle competenze dell'assemblea in nessun caso potrebbe essere posto all'ordine del giorno» (Tar Piemonte, n. 268/1996, Tar Sardegna, n. 718 del 2003 ).
Si soggiunge che il Tar Sardegna, con la sentenza n. 718 del 2003, ha respinto un ricorso avverso un provvedimento prefettizio ex art. 39, comma 5, del citato decreto legislativo in quanto, ad avviso del giudice amministrativo, il prefetto non poteva esimersi dal convocare d'autorità il consiglio comunale, «essendosi verificata l'ipotesi di cui all'art. 39 del Tuel n. 267/2000».
Inoltre, si è sostenuto che appartiene ai poteri sovrani dell'assemblea decidere in via pregiudiziale che un dato argomento inserito nell'ordine del giorno non debba essere discusso (questione pregiudiziale) ovvero se ne debba rinviare la discussione (questione sospensiva) (Tar Puglia, Lecce, sez. 1, 25 luglio 2001, n. 4278 e sempre Tar Puglia, Lecce, sez. 1, 4 febbraio 2004,n. 124).
Va peraltro rilevato che l'art. 43 del Tuel demanda alla potestà statutaria e regolamentare dei comuni e delle province la disciplina delle modalità di presentazione delle interrogazioni, delle mozioni e di ogni altra istanza di sindacato ispettivo proposta dai consiglieri, nonché delle relative risposte, che devono comunque essere fornite entro trenta giorni.
Con riguardo a quest'ultimo ambito, occorre osservare che, qualora l'intenzione dei proponenti non sia diretta a provocare una delibera in merito del consiglio comunale, bensì a porre in essere un atto di sindacato ispettivo, si potrebbe ipotizzare, ai sensi dell'art. 42, comma 1, del decreto legislativo n. 267/2000, che rientri nella competenza del Consiglio comunale in qualità di «organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo» anche la trattazione di «questioni» che, pur non rientrando nell'elencazione del comma 2 del medesimo art. 42, attengono comunque al suddetto ambito di controllo. Del resto, la dizione legislativa che parla di «questioni» e non di deliberazioni o di atti fondamentali, conforta nel ritenere che la trattazione di argomenti non rientranti nella previsione del citato comma 2, dell'art. 42, non debba necessariamente essere subordinata alla successiva adozione di provvedimenti da parte del consiglio comunale.
Sulla base di tali argomentazioni, si ritiene, pertanto, che il prefetto sia tenuto alla applicazione della normativa prevista dall'art. 39, comma 5, del decreto legislativo n. 267/2000, invitando il sindaco a voler provvedere alla convocazione del richiesto consiglio comunale.
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