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09/05/2019 - La Consulta stigmatizza l'imprecisione del legislatore che genera confusione come l'incompatibilità dell'avanzo in presenza di disavanzi spalmati nel tempo

tratto da quotidianopa.leggiditalia.it

La Consulta stigmatizza l'imprecisione del legislatore che genera confusione come l'incompatibilità dell'avanzo in presenza di disavanzi spalmati nel tempo

di Vincenzo Giannotti - Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone

Il caso specifico è stata l'occasione da parte della Corte dei conti, Sezione di controllo per la Regione siciliana, di rimettere gli atti alla Consulta, per avere il Comune ripresentato un piano di riequilibrio pluriennale rimodulato, nonostante il piano originario era stato bocciato dalla Sezione, per mancato rispetto dei tempi perentori imposti dal legislatore e, detta bocciatura era stata successivamente confermata anche dalle Sezione Riunite, in sede giurisdizionale, in speciale composizione.

L'oggetto del contendere riguarda la disposizione introdotta dall'art. 5, comma 11-septies, D.L. 30 dicembre 2016, n. 244 convertito, con modificazioni, nella L. 27 febbraio 2017, n. 19, secondo cui gli enti locali che non avessero rispettato i termini di presentazione del piano non conseguendo il suo accoglimento, avrebbero potuto nel maggior termine (30 aprile 2017) offerto deliberare un nuovo piano di riequilibrio finanziario pluriennale. Gli enti locali che avrebbero potuto ripresentare il piano, tuttavia, avrebbero dovuto dimostrare un miglioramento, inteso quale aumento dell'avanzo di amministrazione o diminuzione del disavanzo di amministrazione, registrato nell'ultimo rendiconto approvato. Questa possibilità, secondo i giudici contabili, avrebbe minato alle basi il rapporto tra organi istituzionali con invasione di campo da parte del legislatore. In altri termini, il legislatore ha fatto rivivere ciò che era divenuto immutabile ed intangibile con la sentenza definitiva di non accoglimento del ricorso da parte delle Sezione Riunite. La questione di legittimità sollevata riguarda, pertanto, in via principale la possibilità di riedizione della procedura di riequilibrio in caso di violazione dei termini perentori di presentazione del piano definitivamente, così come accertato dalla Corte dei conti, vanificandone le pronunce, e sospendendo il procedimento volto alla declaratoria di dissesto. In questo modo il legislatore, a dire dei giudici contabili, avrebbe violato il principio dell'equilibrio di bilancio e di sana gestione finanziaria dell'amministrazione (artt. 8197 e 119, comma 1, Cost.), che imporrebbe una disciplina di salvaguardia volta al tempestivo ed effettivo recupero dell'equilibrio finanziario - funzionale al principio di continuità dei bilanci, all'equità intergenerazionale, nonché alla trasparenza dei conti, a tutela del corretto esercizio del mandato elettorale e in correlazione alla responsabilizzazione degli amministratori pubblici.

L'inammissibilità della questione secondo la Corte Costituzionale

Secondo il Giudice delle leggi, le doglianze della Corte dei conti siciliana sono inammissibili per la semplice ragione che le questioni di violazione costituzionali della normativa sono incentrate esclusivamente sulla intangibilità della sentenza definitiva delle Sezioni Riunite, senza minimamente entrare nel merito del nuovo piano riformulato. A ben vedere, infatti, la normativa richiamata ha permesso la ripresentazione dei piani di riequilibrio solo per quegli enti locali che, pur non rispettando i termini perentori imposti dalla normativa, avrebbero dovuto pur sempre subordinare la riedizione del piano "all'avvenuto conseguimento di un miglioramento, inteso quale aumento dell'avanzo di amministrazione o diminuzione del disavanzo di amministrazione, registrato nell'ultimo rendiconto approvato dall'ente locale". Di quest'ultimo aspetto non vi è traccia nella motivazione dell'ordinanza di rifiuto del nuovo piano presentato, né alcun passaggio nel quale, sia stata verificata la sua non sostenibilità finanziaria, ovvero verificato in dettaglio se l'ente si fosse trovato nella condizione di aver conseguito quel miglioramento della propria situazione economico-finanziaria voluto dalla normativa. Anzi, in vari punti della stessa ordinanza si descrivono elementi fattuali del tutto in contrasto con le ipotesi normative della rimessione in termini. Così, ad esempio, viene censurato il tentativo di eludere la procedura di dissesto «protraendosi indebitamente una situazione nella quale già sussistono i presupposti richiesti dal legislatore per procedere alla dichiarazione prevista dall'art. 244 del Tuel.

L'uso ambiguo del termine "miglioramento dell'avanzo"

Non solo la Consulta ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato, ma ha incentrato parte della sentenza, così come il comunicato stampa che ne è seguito, sull'uso non corretto dei termini da parte del legislatore. Infatti, mentre non vi è alcun problema terminologico nell'ipotesi della «diminuzione del disavanzo di amministrazione», altrettanto non può dirsi per quella dell'«aumento dell'avanzo di amministrazione». Quest'ultima presuppone la preesistenza di un avanzo di amministrazione del tutto incompatibile con la preesistenza o l'avviamento del piano pluriennale di riequilibrio. Infatti, precisa la Consulta, non si comprende come lo stesso Governo ha in passato censurato le leggi regionali che avevano violato il principio dell'unicità del risultato di amministrazione e l'incompatibilità dell'avanzo con la presenza di disavanzi spalmati nel tempo, mentre nella D.L. n. 244 del 2016 è lui stesso ad indicare la possibilità di un miglioramento di un avanzo, ben essendo a conoscenza dei disavanzi nascenti dai riaccertamenti straordinari dei residui o di quelli che abbiano condotto proprio gli enti in riequilibrio a ripartire il proprio disavanzo in un periodo piuttosto ampio. Tutti questi disavanzi prospettici (con ripartizione a 30 anni per il disavanzo da riaccertamento e a 10 anni per quelli del piano di riequilibrio) rendono ambigua l'utilizzazione terminologica di "miglioramento dell'avanzo", tanto da spingere ad una interpretazione diverso questo temine, ad esempio con il saldo attivo di cassa o con un risultato di esercizio annuale positivo. Infatti, un miglioramento dei saldi di cassa o un risultato annuale positivo non sono affatto incompatibili con l'esistenza o la necessità di un piano pluriennale di riequilibrio finanziario, dal momento che detti miglioramenti ben possono essere inidonei a compensare interamente lo squilibrio strutturale, analoga ipotetica relazione non è configurabile per l'avanzo di amministrazione. Quest'ultimo è tale solo se tiene conto - compensandoli completamente in modo definitivo - degli accantonamenti scaglionati nel tempo contemplati dal piano di riequilibrio.

I principi di diritto

Le indicazioni del Giudice delle leggi è importate per tutti quegli enti locali che, pur avendo un disavanzo ripartito in diverse annualità (esempio dovuto al ripiano del disavanzo nel triennio del bilancio, ovvero che abbiano negoziato un rimborso pluriennale di un debito fuori bilancio) non potranno mai mostrare un avanzo di amministrazione positivo se non dopo aver riattualizzato al presente il disavanzo prospettico. In altri termini, tutti gli enti che dovessero aver spalmato il proprio disavanzo in un arco temporale pluriennale, potranno ritornare con un avanzo positivo esclusivamente dopo aver sterilizzato il disavanzo prospettico, altrimenti continueranno a restare in disavanzo.

Corte cost., 2 maggio 2019, n. 105

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