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09/05/2019 - La circolazione di immobili parzialmente abusivi. Giudizi e pregiudizi tra finalità di tutela del territorio e resistenze della tradizione. Note a margine di Cass. SS.UU. 8930/2019.

riceviamo e pubblichiamo

La circolazione di immobili parzialmente abusivi. Giudizi e pregiudizi tra finalità di tutela del territorio e resistenze della tradizione. Note a margine di Cass. SS.UU. 8930/2019.

di Fedele Marotti

  1. La elaborazione dogmatica delle SS.UU.
"La nullità comminata dall'art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L n. 47 del 1985 va ricondotta nell'ambito del comma 3) dell'art. 1418 c.c., di  cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità <<testuale>>, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell'immobile."
"In presenza nell'atto della dichiarazione  dell'alienante  degli estremi del titolo urbanistico, reale e  riferibile  all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato".
Questo il principio di diritto enunciato da Cass. SS.UU. 22.03.2019 n.8230, in relazione al conflitto in giurisprudenza sulla validità degli atti di circolazione degli immobili che risultino “difformi” dal titolo abilitativo.
Il punto di arrivo (o, per meglio dire, di arresto) delle SS.UU. si fonda sui seguenti caposaldi:
a)  il dato letterale, il testo della norma che commina la nullità: “sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria” (art.46 cit.);
b) la esegesi sistematica che conforta la interpretazione restrittiva: “l’art.12 co. I preleggi impone all'interprete di attribuire alla legge il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione. La lettera della norma costituisce, infatti, un limite invalicabile dell'interpretazione, che è uno strumento percettivo e recettivo e non anche correttivo o sostitutivo della voluntas legis (cfr. Cass. n. 12144 del 2016), tanto che, in tema di eccesso di potere giurisdizionale riferito all'attività legislativa, queste Sezioni Unite hanno affermato che l'attività interpretativa è, appunto, segnata dal limite di tolleranza ed elasticità del significante testuale” (sentenza SS.UU. cit.);
c) la natura sanzionatoria della disposizione: ”le norme che sanciscono la nullità degli atti sia in base all'art. 15 della L. n. 10 del 1977 che in base all'art. 40 della L. n. 47 del 85, ponendo limiti all'autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni, debbono ritenersi di stretta interpretazione, sicché esse non possono applicate ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste (sentenza SS.UU. cit.);
d) ad ulteriore conforto, il supporto sitematico della esegesi dell’art.1418 c.c. laddove l’iscrizione della specie al punto 3 della norma (“il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge”) determina la esclusione della operatività delle due precedenti cause di nullità (“il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente (co.I); producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’art. 1325, l’illiceità della causa, l’illiceità dei motivi nel caso indicato dall’art. 1345 e la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’art. 1346 (co. II)).
d) Soccorrono nell’impianto della sentenza, infine, argomentazioni a contrario di natura sistematica e teleologica.
L’esegesi descritta si fonda su motivazioni tecniche condivisibili in astratto; ma è molto carente sul piano logico e sistematico a tal punto da risultare ictu oculi contraddittoria e tautologica. Invero, premesso che: a) la nullità di diritto è comunque comminata ed efficace per gli atti di circolazione di immobili che siano sprovvisti di titolo abilitativo, senza specificazioni; b) la difformità si pone come violazione del titolo abilitativo e, indirettamente, di quel complesso di norme il cui rispetto è certificato dal titolo (art. 12 DPR n.380 cit. “il permesso di costruire è rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”); tanto premesso, la mancata censura della difformità depotenzia l’incidenza degli effetti della nullità degli atti di disposizione del bene in relazione ai valori protetti dalla norma, declassando quella sanzione ad un ruolo per lo più formale.
Soprattutto l’esegesi della Corte confligge con il dato normativo positivo, testuale; gli artt. 31 (co.II) e 33 (co.I) del DPR n.380/01, infatti, equiparano “letteralmente” gli “interventi eseguiti in assenza di permesso”  a quelli “in totale difformità da esso” per cui la tutela prevista a discapito dei primi si estende anche ai secondi per rappresentare  categoria giuridica unica.
 Il principio di diritto in rubrica priva così il comando normativo della aderenza alle sue finalità teolologiche e rende quasi inutile il precetto di nullità.
  1. Forza della conservazione, travisamenti e false contrapposizioni.
La Corte è consapevole di questo vulnus che giustifica invocando: a) l’inutilizzabilità in subiecta materia del parametro di incidenza della difformità; b) l’estraneità della tutela del territorio alla disciplina dei rapporti civilistici relativi alla circolazione degli immobili. Così, “la distinzione in termini di variazioni essenziali e non essenziali, elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di contratto preliminare   ed   alla   quale   si  riferisce l'ordinanza   di rimessione, non è pertanto utile al fine di definire l'ambito della nullità del contratto, tenuto conto, peraltro, che la moltiplicazione dei titoli abilitativi, cui si è sopra accennato al § 2.4., previsti in riferimento all'attività edilizia da eseguire (minuziosamente indicata), comporterebbe, come correttamente rilevato dal PG nelle sue conclusioni, un sistema sostanzialmente indeterminato, affidato a graduazioni di irregolarità urbanistica di concreta difficile identificazione ed, in definitiva, inammissibilmente affidato all'arbitrio dell'interprete. Il che mal si concilia con le esigenze di salvaguardia della sicurezza e della certezza del traffico giuridico e spiega la cautela dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte, da ultimo ricordata da Cass. n. 111659 del 2018, all'uso dello strumento civilistico della nullità quale indiretta forma di controllo amministrativo sulla regolarità urbanistica degli immobile (sentenza SS.UU. cit.)”.
Anche in questo caso la soluzione adottata dalle SS.UU. stride con il dettato positivo; tuttavia, una lettura più consapevole della pronuncia disvela un fondamento esegetico più ponderato che si fonda su teorie tradizionali (che chi scrive ritiene non conformi al dettato costituzionale).
A completamento ed in via assorbente e risolutiva la Cassazione invoca come dirimente il prodotto della prescrizione imperativa: “l'oggetto della compravendita, secondo la definizione data dall'art. 1470 c.c., è il trasferimento della proprietà della res, che, in sè, non è suscettibile di valutazione in termini di liceità o illiceità,  attenendo  l'illecito all'attività della sua produzione, e, considerato che la regolarità urbanistica del bene è estranea alla causa della compravendita, tradizionalmente definita nello scambio -cosa contro prezzo- che ne costituisce la sua funzione economica e sociale, ed altresì il  suo effetto essenziale (sentenza SS.UU. cit.);.
Consegue, a chiusura della costruzione dogmatica, un necessario corollario, il richiamo che riconduce a coerenza l’impianto della sentenza: “la tesi qui adottata non è, peraltro, dissonante rispetto alla finalità di contrasto al fenomeno dell'abusivismo edilizio, cui pure tende la disposizione in esame, e che è meritevole di massima considerazione. Pare infatti che la ricostruzione nei termini di cui si è detto della nullità concorra a perseguirlo, costituendo uno dei mezzi predisposti  dal  legislatore  per  osteggiare   il  traffico  degli  immobili abusivi: per effetto della prescritta  informazione,  l'acquirente, utilizzando la diligenza  dovuta  in rebus suis, è, infatti, posto in grado di svolgere le indagini ritenute più  opportune  per  appurare  la regolarità urbanistica del bene, e così valutare la  convenienza dell'affare, anche, in riferimento ad eventuale mancata  rispondenza della costruzione al titolo dichiarato”. “In tale valutazione, potrà, ben a ragione, incidere la sanzione della demolizione che l'art. 31, co 2 e 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede nei confronti sia del costruttore che del proprietario in caso d'interventi edilizi eseguiti non solo in assenza di permesso,  ma anche   in  totale   difformità   dal   medesimo,   ovvero   con   variazioni essenziali, determinate ai sensi dell'articolo 32. Tale sanzione, come chiarito dalla giurisprudenza  amministrativa  (Ad Plenaria Cons. Stato n. 9 del 2017), ha, infatti, carattere reale e non incontra limiti per il decorso del tempo e ciò in quanto l'abuso costituisce un illecito permanente, e l'eventuale inerzia  dell'Amministrazione  non è idonea né a sanarlo o ad ingenerare  aspettative  giuridicamente  qualificate, nè a privarla del potere di adottare l'ordine di demolizione, configurandosi, anzi, la responsabilità (art. 31 cit., co 4 bis) in capo al dirigente o al funzionario responsabili dell'omissione o del ritardo nell'adozione di siffatto  atto,  che  resta,  appunto,  doveroso, nonostante il decorso del tempo (sentenza SS.UU. cit.).
Il cerchio si è chiuso: quello a cui la Corte perviene è un risultato coerente solo con talune premesse (la norma spiegata è in realtà depotenziata), distante dal quesito di causa (per non essere convincente sul piano logico) e secondo modestissima opinione di un avvocato, devastante per la coesione del sistema.
  1. La giurisprudenza amministrativa.
Si premette che il Giudice amministrativo, dando attuazione al medesimo quadro normativo, perviene, non a caso sulla base di capisaldo opposti a quelli di Cassazione di seguito evidenziati, a risultati assolutamente contrapposti nel senso che sancisce la più completa inutilizzabilità dell’edificio difforme.
Si osservano:
1 = assorbente rilevanza della distinzione tra variazione essenziale e non essenziale, con equivalenza della prima alla mancanza di titolo abilitante. In presenza di abuso l’intero manufatto è abusivo per cui è ininfluente l’avvenuto rilascio titolo: “la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate: non è dato scomporne una parte per negare l'assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall'insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni. L'opera edilizia abusiva va infatti identificata con riferimento all'immobile o al complesso immobiliare, essendo irrilevante il frazionamento dei singoli interventi avulsi dalla loro incidenza sul contesto immobiliare unitariamente considerate” (Cons. Stato, sez. VI, 08/05/2018, n. 2738; in termini, 10 novembre 2017 n. 5180);
2 = sanabilità dell’abuso solo se l’attività edilizia non autorizzata risulti comunque conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia: “in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 23, comma 01, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda (art. 36 DPR 370/01 co.I);
3 = limitazioni nell’utilizzo dell’immobile abusivo per effetto di divieto di qualsivoglia intervento con la sola esclusione della manutenzione ordinaria; nei termini seguenti (severissimi): a) Diniego di autorizzazione alla manutenzione straordinaria (TAR Abruzzo 19 febbraio 2007, n,167; TAR Lazio Roma, sez. I, 04/06/2013, n. 5557; TAR Campania, Napoli, sez. VI, 6 febbraio 2013 n. 760; Cons. St., sez. V, 29 ottobre 1991 n. 1279; b) Divieto di autorizzazioni in variante (cfr. TAR Toscana sez. III 12.06.12 n.1124).
Al confronto tra le giurisdizioni, consegue che quello che la Cassazione ha disegnato è un sistema in cui le tutele si contrappongono in due regimi distinti serrati, non osmotici; regimi che non trovano punti di contatto perché le norme di raccordo (artt.1418 c.c. e 46 DPR 380) vengono depotenziate da una interpretazione riduttiva; un’abdicazione delle tutele civilistiche; una resa alla speculazione edilizia.
 Non era certo questo il risultato voluto. A sommesso avviso di chi scrive va ripensato l’impianto della decisione.
  1. Esercitazione per una ricostruzione dogmatica non tradizionale del sistema.
 Qui termina il breve commento divulgativo.
Con la consapevolezza che con la presente sono esaminate in modo schematico (e in qualche misura irriguardosa) tematiche la cui trattazione ha interessato ed interessa intere biblioteche, proviamo a stabilire quanto le categorie tradizionali siano ancora attuali in materie quali l’urbanistica e soprattutto l’edilizia; quanto la forza della tradizione abbia condizionato l’impianto dogmatico della decisione in esame; tentiamo (sommessamente) di fornire qualche ragguaglio metodologico introducendo presupposti giuridici più attuali.
a) Secondo l’insegnamento di Enzo Capaccioli proviamo a considerare le  categorie giuridiche del diritto civile e pubblico uniche, ferri del mestiere comuni ad entrambe le materie; valorizzato quest’ultimo presupposto, occorre riscrivere il discrimen tra disciplina di diritto civile e pubblico non nell’oggetto, nella materia ma per profili strutturali, con riferimento alle diverse tipologie di relazione giuridica che la scelta del  modulo privatistico e pubblicistico previsto dalla legge introduce.
b) Questo criterio di indagine dimostra la fragilità della netta separazione tra diritto pubblico e diritto privato in materie quali l’urbanistica e sopratutto l’edilizia, ancor più quando vengono in considerazione per l’efficacia conformativa più chr per per i profili sanzionatori.
Per l’urbanistica lo sviluppo tradizionale dell’esercizio dei poteri pubblicistici (per la norma locale attraverso l’esercizio della riserva di legge impropria) in qualche misura si conferma ancora attuale soprattutto in relazione alla adozione degli atti di portata generale.
Più complesso il quadro normativo dell’edilizia al quale concorrono moduli rigorosamente civilistici (Cons Stato A.P. 30.08.18 n.12); attività vincolate per le quali l’esercizio del potere è un effetto di legge, diretto secondo la struttura del diritto soggettivo; residuali poteri autoritativi.
c) Ciò premesso, proviamo a valorizzare la sostanziale identità teleologica della normativa edilizia ed urbanistica come sistema unico di norme dettato per il governo e la tutela dell’assetto del territorio e dell’attività di trasformazione dello stesso, in relazione non solo alla repressione dell’abuso edilizio, ma alla formazione giuridica del territorio.
d) Ancora, proviamo ad eleggere quel complesso di norme che presiede alla disciplina della attività edificatoria, quale fonte normativa che concorre alla fondazione dello ius edificandi, fonte intesa non in senso limitativo, ma costitutivo. Stabilito per legge il contenuto minimo dello ius edificandi, attraverso la zonizzazione si perviene alla misura effettiva dello stesso (così depone l’art. 9 del DPR n.380 cit.). Il diritto di costruire si identifica così con il complesso di norme che lo disciplina; complesso di norme che non toglie, dà
Ciò premesso, si perviene ad una costruzione del sistema che valorizza la natura conformativa della disciplina urbanistica da intendersi non come limitazione di una facoltà insita nel diritto di proprietà ma come fonte di attribuzione di quel diritto, considerato quale diritto autonomo dalla proprietà.
Diversamente dall’impostazione della Corte: << La questione sottoposta impone, per le sue sfaccettature, di premettere sinteticamente quanto segue. L'esercizio dello jus aedificandi, pur atteggiandosi come una concreta e peculiare manifestazione del diritto di proprietà  fondiaria,  soggiace all'osservanza di molteplici limitazioni e prescrizioni connesse a determinazioni della pubblica autorità>> (sentenza SS.UU. cit.).
Se queste sono le premesse, visto l’art.810 c.p.c. “sono beni le cose che possono formare oggetto di diritto”  il bene edilizio in forza del suo statuto, in quanto viene a giuridica esistenza, in quanto è conforme alla disciplina di riferimento.
Se l’immobile è difforme non è un bene è un abuso.
Con queste premesse dogmatiche, la nullità negata dalla Cassazione in termini di non idoneità del manufatto a costituire bene e quindi impossibilitato ad essere oggetto di diritto, a circolare  non deriva dalla disposizione che sancisce la nullità ma è insita nel sistema.
Se così è, l’art. 46 DPR n. 380 cit.  risulta così norma di raccordo con la materia contrattualistica, disposizione di chiusura, di carattere generale.
A questo punto, se la nullità è un effetto di legge, si applica l’art. 1418 c.c., co.1 senza necessità di iscrizione a nullità specifica.
 
Per compiutezza di esposizione si rimanda ai commenti:
 “Lo sviluppo della attività edificatoria nell’ambito di una prospettiva perequata. Una prospettiva giuridicamente corretta”. in “Nuova Rassegna”, Firenze gennaio 2003 - II, pg. 190 ss.).
“Considerazioni a margine della Decisione n. 17 del 29 luglio 2013 - CONSIGLIO DI STATO - ADUNANZA PLENARIA: Verso una definizione di interesse legittimo condivisa in giurisprudenza”. http://www.ildirittoamministrativo.it/studi/?anno=2014

 

 

 

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