30/07/2019 - La Pubblica amministrazione può stabilire un voto maggiore di quello minimo per il superamento delle prove di concorso
tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
La Pubblica amministrazione può stabilire un voto maggiore di quello minimo per il superamento delle prove di concorso
di Massimo Asaro - Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile affari legali e istituzionali
La disciplina del reclutamento del personale dipendente ha risentito degli interventi legislativi volti ad attuare la privatizzazione dei rapporti di lavoro, di cui alla L. n. 421 del 1992, alla normativa delegata e alle conseguenti riforme, fermo restando che, anche per i rapporti contrattualizzati, la materia dell'accesso agli impieghi è esclusa dalla competenza negoziale e dalla giurisdizione ordinaria. Il concorso pubblico, quale meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci, resta il metodo migliore per la provvista di risorse umane per la copertura di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizione di imparzialità e al servizio esclusivo della nazione (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, sent. n. 11770 del 2017). L'art. 97 della Costituzione impone l'accesso "per concorso" ma non indica cosa sia un concorso pubblico, non ne tratteggia gli elementi costitutivi per vincolare il legislatore ordinario. Perché possa parlarsi di concorso a posti di pubblico impiego, occorrono almeno i seguenti parametri: comparazione di curricula e titoli dei candidati; svolgimento di prove selettive e assegnazione di punteggi predefiniti; redazione e approvazione di una graduatoria finale di tutti i partecipanti da rispettare ai fini della nomina (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, sent. n. 1349 del 2013). La circostanza che in virtù dell'art. 35, D.Lgs. n. 165 del 2001 le assunzioni di alcune categorie di pubblici dipendenti possano avvenire mediante espletamento di procedure selettive, o mediante avviamento dei soggetti iscritti nelle liste di collocamento, rappresenta una semplificazione dello strumento tecnico del pubblico concorso, ma non il superamento delle esigenze di trasparenza e imparzialità insite nel concetto di concorsualità volute dalla norma costituzionale.
Per gli Enti pubblici diversi da quelli statali una disposizione legislativa cardine è quella contenuta nell'art. 70, comma 13, D.Lgs. n. 165 del 2001 secondo cui "In materia di reclutamento, le pubbliche amministrazioni applicano la disciplina prevista dal D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, e successive modificazioni ed integrazioni, per le parti non incompatibili con quanto previsto dagli artt. 35 e 36, salvo che la materia venga regolata, in coerenza con i principi ivi previsti, nell'ambito dei rispettivi ordinamenti". Dunque, gli Enti pubblici diversi dalle Amministrazioni dello Stato a cui la Costituzione o la legge attribuisce potestà legislativa o anche solo normativa (statutaria o regolamentare) possono adottare proprie fonti che disciplinino le procedure di reclutamento, nel rispetto della L. n. 241 del 1990, del D.Lgs. n. 165 del 2001 e dei principi contenuti nel Regolamento nazionale adottato con D.P.R. n. 487 del 1994, recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi.
Ribadito che il D.P.R. n. 487 del 1994 è direttamente applicabile alle sole Amministrazioni statali e ai concorsi da queste banditi, persino a quelli per l'accesso al Corpo militare della Guardia di Finanza, salvo che non sia previsto il contrario e nei limiti di compatibilità (Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 5099 del 2016), la sentenza in commento tratta del grado di autonomia normativa che gli Enti pubblici hanno nel derogare alle disposizioni, di principio e non, presenti nel citato DPR. Secondo l'orientamento giurisprudenziale, tale margine è abbastanza contenuto dato che tale Regolamento è diretta espressione dei precetti costituzionali di cui agli artt. 4, 51 e 97, commi 2 e 3, Cost., perciò esso è idoneo a vincolare la potestà normativa regionale e quella regolamentare degli enti locali territoriali, ai sensi dell'art. 117, comma 1, Cost. (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, sent. n. 53 del 2018). Anche di recente la Giurisprudenza ha confermato che gli enti locali, pur esercitando la loro autonomia, sono tenuti a conformarsi ai meccanismi oggettivi e trasparenti, necessari per la verifica del possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire (Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 495 del 2019). Una sentenza ancora meno permissiva è poi citata alla fine del presente lavoro. Le questioni principali trattate dal Consiglio di Stato sono due:
1. La definizione di una votazione minima sufficiente per superare le prove diversa da quella stabilita dall'art. 7, comma 1, lett. a) del citato DPR secondo "cui conseguono l'ammissione al colloquio i candidati che abbiano riportato in ciascuna prova scritta una votazione di almeno 21/30 o equivalente. Il colloquio verte sulle materie oggetto delle prove scritte e sulle altre indicate nel bando di concorso e si intende superato con una votazione di almeno 21/30 o equivalente". Secondo la sentenza in commento, il bando che indica un voto di 24/30 -superiore a quello minimo di 21/30 previsto dalla disciplina generale di cui al D.P.R. n. 487 del 1994-, non contrasta con il principio di uguaglianza e di parità di trattamento, applicandosi indistintamente a tutti i partecipanti.
2. La ponderazione della votazione delle prove scritte effettuata diversamente da quanto stabilito dall'art. 7, comma 3, del citato DPR secondo cui, nei concorsi per esami, "Il punteggio finale è dato dalla somma della media dei voti conseguiti nelle prove scritte o pratiche o teorico-pratiche e della votazione conseguita nel colloquio". Questa disposizione ha impegnato in più occasioni i Giudici amministrativi i quali hanno precisato che la regola:
a) si applica sia ai concorsi per soli esami sia ai concorsi per titoli ed esami, sebbene non espressamente indicato dal DPR (così, ex multis, Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 1616 del 2015; n. 4922 del 2013). Infatti, le prove scritte, sia nei concorsi per titoli ed esami che in quelli per soli esami, pur essendo formalmente articolate in più elaborati e su più materie, costituiscono una prova unitaria al pari di quella orale, con la conseguenza che appare logico che debbano essere valutate sulla base del loro valore mediato in entrambi i concorsi (T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, sent. n. 877 del 2016);
b) non può essere definita come un "principio" che precluda di per sé l'introduzione di una regola diversa (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 1520 del 2013).
Secondo la sentenza in commento, anche sotto questo profilo, il bando che indica -separati voti- (minimi di 24/30 per ciascuna delle due prove) che non si riferisce invece alla -media dei voti conseguiti nella prima e nella seconda prova-, non viola il principio meritocratico, in considerazione della diversa natura e della diversa funzione da ascrivere alle due prove iniziali, di cui si compone la procedura selettiva. In senso contrario si registra questo precedente, che dunque appare oggi superato, secondo cui è illegittima la graduatoria finale qualora sia stato applicato il criterio valutativo della somma dei voti riportati dai singoli candidati nelle prove scritte, anziché quello della media dei voti stessi. Eventuali disposizioni regolamentari dell'Ente locale non possono derogare al criterio, previsto dalla normativa statale non potendo la potestà regolamentare essere piegata all'introduzione di criteri disomogenei da Comune a Comune e suscettibili di produrre risultati diversi a seconda delle modalità seguite (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, sent. n. 8848 del 2014).