29/07/2019 - Annullamento del permesso di costruire e fiscalizzazione dell'abuso: il corretto iter istruttorio da seguire
tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Annullamento del permesso di costruire e fiscalizzazione dell'abuso: il corretto iter istruttorio da seguire
di Michele Deodati - Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
Un privato ha presentato ricorso al competente Tribunale Amministrativo regionale impugnando i permessi per la realizzazione di una costruzione da parte del confinante. In particolare, il permesso di costruire in sanatoria, emesso per la parte costruita in eccedenza rispetto a quella assentita, e il permesso di costruire rilasciato per il completamento del fabbricato. La costruzione è costituita da un edificio a due piani con struttura in cemento armato. La sanatoria è fondata sull'esigenza di regolarizzare la volumetria e la superficie maggiori di quanto ammesso dagli indici di fabbricabilità. Gli appellanti si sono dunque attivati davanti al T.A.R., con un'iniziativa poi decaduta, e contestualmente hanno presentato un'istanza di sanatoria, ai fini di ottenere una fiscalizzazione dell'abuso e l'assenso a proseguire i lavori. A conclusione dei procedimenti avviati, i privati hanno ottenuto la sanatoria per quanto realizzato in difformità e il permesso di costruire per il completamento del fabbricato. In seguito, il Comune ha disposto la decadenza dei permessi di costruire in quanto rilasciati in base ad una rappresentazione negli elaborati presupposti, non rispondente alla realtà.
Il ricorso davanti al T.A.R.: il rilievo dei vizi formali
Il T.A.R., adito dai confinanti, ha accolto il ricorso e condannato i controinteressati alla demolizione del primo piano dell'edificio.
I ricorrenti hanno impugnato la decisione del Comune ritenendo che il provvedimento da adottare nel caso concreto sarebbe stata la rimessione in pristino, in difetto dei presupposti per concedere la sanatoria fiscalizzata, soluzione sulla quale il Comune avrebbe omesso di argomentare. Altri motivi di ricorso hanno riguardato il conflitto del provvedimento con le norme tecniche della pianificazione locale e con i limiti di distanza, che risulterebbero violate in forza della sanatoria.
L'Appello al Consiglio di Stato: il rilievo ai vizi sostanziali e corretto iter procedurale
Di qui l'appello al Consiglio di Stato dei soccombenti in primo grado, che con la sentenza n. 5089 del 19 luglio 2019 lo ha accolto. Gli appellanti rimasti soccombenti in primo grado, hanno argomentato sostenendo innanzitutto la contraddittorietà della sentenza impugnata rispetto all'interpretazione offerta dalla prevalente giurisprudenza sull'art. 38 del TU edilizia, in base alla quale deve imporsi un approccio sostanzialista ogni volta che risulta impossibile procedere alla rimessione in pristino, indipendentemente da tipo di vizio, formale o sostanziale. Per quanto il giudizio si sia mosso su queste premesse, la conclusione si è allineata sulle risultanze della CTU, che invece ha ritenuto si potesse abbattere il primo piano dell'edificio senza particolare pregiudizio per la parte sottostante. Per parte loro, i controinteressati hanno sostenuto invece che la demolizione della struttura superiore abusiva non si può realizzare senza compromettere la parte regolare, in quanto il fabbricato è costituito da cemento armato. Per queste ragioni la scelta di fiscalizzare l'abuso troverebbe ampio riscontro in sede di verifica tecnica.
La ricostruzione offerta dal Collegio d'appello parte dal quadro normativo, che all'art. 38, D.P.R. n. 380 del 2001 dispone che in caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. La valutazione dell'agenzia è notificata all'interessato dal dirigente o dal responsabile dell'ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa. E' questa la cosiddetta fiscalizzazione dell'abuso, che secondo l'indirizzo prevalente si applica indipendentemente dal tipo di vizio, formale o sostanziale, che ha caratterizzato la procedura. Se con la locuzione "vizi delle procedure amministrative" ci si riferisce a vizi di carattere formale, è vero però che la norma contempla anche un'altra ipotesi paritariamente ammessa, che entra in gioco quando non è possibile la "rimessione in pristino", con attenzione a problematiche di tipo tecnico ingegneristico, indipendentemente dal tipo di vizio che sta alla base dell'irregolarità. In definitiva, conclude il Collegio, l'autorità comunale è tenuta a rimuovere eventuali vizi di carattere formale, ma ove ciò non sia possibile, perché i vizi sono inemendabili o sono di altra natura, prima di ordinare la rimessione in pristino deve valutare se essa sia possibile o no. Si può anche arrivare a dire, come ha fatto la giurisprudenza che sostiene questo indirizzo, che in questo caso si è di fronte ad una norma di favore per il privato, che ha costruito in base ad un titolo che esisteva, e quindi nel valutare l'impossibilità va considerato rilevante non solo il caso di mera impossibilità o grave difficoltà tecnica, ma anche quello ove si riconoscano ragioni di equità o al limite anche di opportunità.
Esiste però anche un orientamento di segno opposto, che ritiene l'art. 38 richiamato applicabile soltanto in caso di vizi formali, ma che la sentenza n. 5089 del 2019 ha considerato di poter superare.
Dunque, il giudice di primo grado, giunto correttamente alla conclusione per cui i vizi che affliggevano il provvedimento erano solo di carattere formale, avrebbe dovuto estendere la sua valutazione anche agli altri aspetti sui quali poteva fondarsi la sanatoria. L'art. 38richiede infatti una motivata valutazione sulla impossibilità di rimessione in pristino, basata su ragioni tecniche o anche di equità o opportunità. Tutti elementi, questi ultimi, che non compaiono nel provvedimento impugnato, e che invece andrebbero spiegati e motivati in modo analitico. Occorre allora che l'Amministrazione proceda a valutare in modo approfondito e motivato il tema della rimessione in pristino, al fine di concludere in un senso o nell'altro. Per queste ragioni, il Collegio ha respinto i motivi che hanno attaccato la scelta, assunta in primo grado, di disporre una demolizione parziale. La parte appellante principale ha ritenuto infatti che nessuna demolizione fosse da realizzare, mentre la parte appellante incidentale, ha sostenuto le ragioni di una demolizione totale. Perché il Consiglio di Stato si pronunciasse su questi profili, occorreva una valutazione esplicita sulla sanabilità o non sanabilità dell'abuso, inerente poteri dell'Amministrazione non ancora esercitati. La sentenza ha concluso affermando che il provvedimento impugnato va annullato perché non motivato quanto alla sussistenza in concreto dei presupposti dell'applicabilità dell'art. 38 alla fattispecie considerata, fermo che in astratto l'applicabilità sussiste, perché non preclusa dal tipo di vizio riscontrato. Nel riesaminare l'affare, quindi, l'amministrazione dovrà esprimersi attraverso una corretta e completa istruttoria, di cui dovrà dar conto in motivazione, sulla sussistenza o insussistenza di tali presupposti di applicazione.