25/07/2019 - Clausola sociale per il riassorbimento del 50% del personale . Illegittimità.
tratto da giurisprudenzappalti.it
Clausola sociale per il riassorbimento del 50% del personale . Illegittimità.
Consiglio di Stato, Sez. VI , 24 / 07 / 2019 , n. 5243
Scritto da Roberto Donati -24 Luglio 2019
Pochi mesi fa avevo commentato la Sentenza Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma (Sezione Terza) n. 03479/2019 , con la quale i giudici capitolini avevano stabilito la legittimità della clausola che obbliga i concorrenti alla conferma di almeno il 50% del personale già impiegato nell’appalto.
Consiglio di Stato, Sez. VI , 24 / 07 / 2019 , n. 5243 accoglie l’appello e ribalta la decisione del Tar , stabilendo che la clausola sociale di riassorbimento del 50% del personale è illegittima se “accoppiata” alla previsione di punteggi finalizzati a premiare il soggetto intenzionato ad assumere il maggior numero di personale.
L’appellante deduce infatti che il Tar Lazio avrebbe errato a considerare conforme a legge la clausola sociale introdotta nel bando.
Quest’ultimo imponeva infatti un obbligo di riassunzione pari al 50% del personale utilizzato dal precedente gestore del servizio e stabiliva, inoltre, un criterio di valutazione delle offerte tale da premiare, in termini di punteggio (sino a un massimo di 25 punti sui 50 totali) il concorrente che si fosse impegnato a riassorbire il maggior numero del suddetto personale.
Il Consiglio di Stato accoglie l’appello con le seguenti motivazioni :
In termini generali occorre premettere che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, che la Sezione condivide, la c.d. “clausola sociale” (nella fattispecie sotto forma di clausola di riassorbimento), ammessa dall’art. 50 del D. Lgs. 18/4/2016, n. 50, deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 Cost., che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto; in sostanza, tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente. Conseguentemente l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante; i lavoratori, che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali; la clausola non comporta invece alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il totale del personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria (Cons. Stato, Sez. III, 7/1/2019, n. 142 e 5/5/2017, n. 2078; Sez. V, 17/1/2018, n. 272 e 7/6/2016, n. 2433; Corte di Giustizia dell’Unione Europea 9/12/2004 in C-460/2002 e 14/7/2005 in C-386/2003).
Nel caso che occupa è vero che il bando imponeva di riassumere, a pena di esclusione dalla gara, solo il 50 % dei lavoratori impiegati dal precedente gestore del servizio; tuttavia, il contestuale operare di tale clausola e del criterio di valutazione dell’offerta tecnica volto a premiare la riassunzione del maggior numero dei detti lavoratori, con l’assegnazione di un punteggio addirittura pari alla metà (25 punti) di quello complessivamente attribuibile, al concorrente che si fosse impegnato a riassorbire tutto il restante 50% del personale in parola, produce effetti sostanzialmente analoghi a quelli di una clausola sociale di riassunzione pressochè totalitaria, con la conseguenza di condizionare in maniera significativa e oltremodo rilevante le scelte dell’imprenditore in ordine alle modalità più appropriate di allocazione dei fattori della produzione in base all’organizzazione d’impresa prescelta, imponendogli, così, un vincolo incompatibile con la libertà d’impresa, poiché idoneo a comprimere i valori di cui all’articolo 41, Cost. in modo eccessivo rispetto a quanto ragionevolmente esigibile nei confronti dell’operatore economico, il quale finirebbe per dover impropriamente assumere obblighi sostanzialmente riconducibili alle politiche attive del lavoro (Cons. Stato, Sez. V, 28/8/2017, n. 4079).
In definitiva la congiunta applicazione delle due prescrizioni di gara (cinquanta più cinquanta) produce sostanzialmente l’effetto di aggirare il divieto di prevedere clausole sociali che impongano l’integrale riassorbimento del personale utilizzato dall’appaltatore uscente.
Particolarmente significativa anche la decisione sulla obiezione formulata dalla stazione appaltante secondo cui l’operatività della clausola sociale varrebbe solo nei confronti delle imprese aventi finalità di lucro, mentre le appellanti sarebbero organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS).
L’obiezione , stabilisce il Consiglio di Stato, non coglie nel segno.
Le appellanti sono entrambe cooperative sociali, le quali, ai sensi dell’art. 1, comma 4, del D. Lgs. 3/7/2017, n. 112, acquisiscono, di diritto, la qualifica di imprese sociali.
A tali imprese, il citato decreto legislativo, riconosce la legittimazione a esercitare in via stabile e principale un’attività economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità d’interesse generale (art. 2), con l’unico divieto, posto dall’art. 3, di provvedere alla distribuzione di utili al di fuori degli specifici casi previsti dal terzo comma del medesimo articolo 3 e dal successivo art. 16.
Anche i soggetti in questione possono, quindi, esercitare, con i limiti di cui sopra, attività d’impresa, con il conseguente diritto di non subire eccessive e ingiustificate interferenze nelle scelte relative all’organizzazione dei fattori della produzione.
Deve, pertanto, ritenersi che pure nei loro confronti operi il divieto di applicare clausole sociali che sostanzialmente impongano l’integrale riassorbimento di tutto il personale impiegato dal precedente appaltatore.
L’appello viene dunque accolto.