16/07/2019 - Scia edilizia e destinazione d’uso: il rapporto tra spazi accessori e locali principali
tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Scia edilizia e destinazione d’uso: il rapporto tra spazi accessori e locali principali
di Michele Deodati - Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
Il SUAP comunale ha dichiarato improcedibile una Scia concernente un’attività di servizi annessi al turismo e servizi di biglietteria inserita in un immobile destinato a deposito, con contestuale invito a presentare osservazioni ai sensi dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990. A seguire, un provvedimento dirigenziale ha disposto l’inammissibilità della Scia e la cessazione dell’attività. L’immobile interessato, che l’impresa ha acquisito dal Comune, era destinato a deposito (C2) ed è stato adibito a negozio (C1), senza che il cambio di destinazione d’uso si sia perfezionato in base ai titoli di legge.
Il giudizio davanti al T.A.R.: cambio d’uso fuori categoria
Investito del ricorso presentato dall’impresa, il competente T.A.R. lo ha respinto, sostenendo che era stato rivolto all’impugnazione di un atto endoprocedimentale, la comunicazione di preavviso di diniego, e ha invece respinto il ricorso successivamente presentato per motivi aggiunti contro il provvedimento definitivo del dirigente, che in sostanza ha dichiarato inammissibile la Scia di avvio dell’attività di biglietteria. Secondo il primo giudice, poiché l’originaria destinazione del locale era appunto quella di deposito, un mutamento della stessa da deposito ad attività di servizi annessi al turismo e servizi di biglietteria avrebbe integrato un cambio di destinazione d’uso eccedente la medesima categoria funzionale, quindi non libero ai sensi dell’art. 23 ter lettera b) del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, ma soggetto in generale al rilascio di permesso di costruire.
L’appello al Consiglio di Stato: il rapporto tra spazi accessori e locali principali
Incassato il rigetto del ricorso, l’impresa ha presentato appello al Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 4427 del 27 giugno 2019 lo ha accolto. Innanzitutto, la ricorrente ha argomentato che l’attività da svolgere è di tipo non commerciale, e pertanto compatibile con l’uso direzionale proprio della struttura, a servizio dell’attività di trasporto. Anche l’originaria destinazione a deposito - ha continuato la ricorrente - sarebbe di tipo direzionale, e dunque il cambio d’uso rientrerebbe all’interno della stessa categoria funzionale e per l’uso direzionale. In più, è stato rilevato che la classificazione a deposito rileva solo a fini fiscali e sarebbe priva di effetti in senso urbanistico.
Come detto, il Collegio d’appello ha accolto il ricorso richiamando i contenuti dell’art. 23-ter comma 1 del D.P.R. n. 380/2001, in base al quale “Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale”. All’opposto, i mutamenti di destinazione d’uso di un’immobile circoscritti all’interno della medesima categoria non richiedono un titolo abilitativo perché considerati non rilevanti. Nel silenzio della legge sulla nozione espressa delle categorie funzionali elencate, il giudice d’appello suggerisce il ricorso alle nozioni di comune esperienza, solitamente recepite anche a livello locale nei vari regolamenti edilizi. In particolare, per destinazione d’uso direzionale si intende quella rivolta ad ospitare attività finalizzate alla direzione, organizzazione e gestione di enti o imprese che offrono servizi diversi da quelli commerciali, nonché alla fornitura di servizi intellettuali o comunque libero professionali, ovvero sedi di banche o assicurazioni o simili, nonché uffici e studi professionali in genere. Per destinazione commerciale si intende invece quella rivolta ad ospitare attività comunque finalizzate alla rivendita al dettaglio di beni o di servizi.
Alla luce di tale ricostruzione del quadro definitorio, il Collegio ha ritenuto infondato il motivo di ricorso inerente la mancata rilevanza commerciale dell’attività intrapresa. Di fatto la vendita di biglietti al pubblico si connota come attività commerciale, e dunque la destinazione a cui si intende adibire il locale è proprio di tipo commerciale.
Quanto invece al secondo motivo di ricorso, incentrato a criticare la posizione assunta dal Comune rispetto ai risvolti di tipo edilizio, il Collegio ha accolto la posizione espressa dal privato. Secondo il Comune, il locale interessato sarebbe un deposito, per cui adibirlo a biglietteria, e quindi ad una destinazione di tipo commerciale, avrebbe rappresentato un cambio della destinazione originaria, tale appunto da richiedere un apposito titolo abilitativo. Spiega il Collegio nella sentenza n. 4427/2019, che se anche originariamente l’immobile fosse stato un deposito, il termine “deposito” non assume di per sé alcuna destinazione, in quanto secondo la comune accezione il deposito qualifica un locale accessorio, che prende la destinazione del bene principale. Si richiama ad esempio un deposito situato all’interno di un negozio per sostenere che non si può negare la destinazione commerciale di tale spazio accessorio.
Infine, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la classificazione a deposito risultante dagli atti catastali abbia una connotazione solo fiscale e non esprima alcun dato dal punto di vista urbanistico.
Scia e preavviso di diniego (art. 10-bis L. n. 241/1990): alcune precisazioni
Per orientamento consolidato sappiamo che l’applicazione dell’art. 10-bis alla Scia è escluso, in quanto anche in base al dettato letterale il preavviso di diniego è previsto solo nel caso si configuri un procedimento preordinato al rilascio di un atto espresso. Qui invece è stato utilizzato il preavviso di diniego anche in caso di Scia, che di per sé, una volta presentata, non instaura un procedimento ad istanza di parte finalizzato al rilascio di un atto finale. La fase che si apre in sede di controllo successivo sulla Scia, può portare alla conformazione o alla sospensione degli effetti, e senz’altro vedrà instaurarsi un momento di interlocuzione e contraddittorio tra le parti, che prenderà avvio da un’iniziativa dell’amministrazione, proseguirà con l’eventuale partecipazione del destinatario attraverso controdeduzioni e culminerà in un atto conclusivo della fase di controllo. Se il contraddittorio è insito nella fase che si apre con il preavviso di diniego, non significa che questo istituto si possa applicare anche in materia di Scia, nell’ambito della quale, come si è visto, altri sono gli strumenti da azionare e diverse le finalità: nel caso del preavviso di diniego, la P.A. comunica la propria intenzione di dire di no e offre al privato la possibilità di presentare ulteriori elementi, che se accolti porteranno al rilascio di un provvedimento favorevole. Nel caso del controllo sulla Scia, la fase contraddittoria serve per capire se sospendere, inibire o conformare un’attività per la quale è già stato presentato il titolo abilitativo.
Tuttavia, in senso contrario, si veda Consiglio di Stato, n. 3453 del 27 maggio 2019, che ribaltando la decisione assunta in primo grado, ha ammesso il ricorso al preavviso di diniego in caso di Scia ai sensi dell’art. 87-bis Codice delle comunicazioni elettroniche.