17/06/2019 - Nomine e interferenze politiche: il grande male
tratto da luigioliveri.blogspot.com
Nomine e interferenze politiche: il grande male
Non è questa la sede per commentare sul piano politico i fatti connessi alle interferenze per le nomine nelle procure in seno al Consiglio Superiore della Magistratura.
Il tema che si propone, tuttavia, è strettamente connesso e passa da un potere dello Stato, la magistratura, all'intera pubblica amministrazione: l'interferenza eccessiva e da tempo insostenibile della politica appunto nel processo selettivo e di individuazione dei vertici.
Certo, vedere vedere poteri dello Stato che dovrebbero essere del tutto divisi ed indipendenti, specie quando a condurre le danze delle trattative sono soggetti con chiari conflitti di interesse, desta parecchio sgomento.
Ma, se gli apparati amministrativi non formano un corpo a parte ed indipendente, rispetto al potere politico del quale, anzi, sono strumento operativo, per altro verso è ormai chiaro come sia stato messo in soffitta in modo surrettizio l'articolo 98, comma 1, della Costituzione: "I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione".
Questa norma esclude che possa esservi mai nessun intervento, nessun condizionamento, nessun orientamento della politica per l'individuazione di chi immettere nell'apparato.
Certo, i pubblici impiegati costituiscono l'apparato servente, del quale gli organi di governo si avvalgono per attuare i propri programmi, quindi sono obbligati - come ogni lavoratore, del resto - a prestare con buona fede, correttezza e professionalità, ma nel caso del pubblico impiegato anche con vera e propria lealtà, la propria attività.
La Costituzione pone un principio chiaro: coloro che prestano servizio nella PA, ma anche nelle aziende partecipate, non debbono essere scelti sulla base della comprova di una presunta "fedeltà" a priori a certi apparati partitici, bensì sulla base di una selezione delle capacità e di una seria valutazione appunto della lealtà e della competenza.
Non c'è, invece, ormai limite quasi più alcun limite al "potere di nomina" della politica.
L'introduzione dello spoil system a partire dalle riforme Cassese e Bassanini, poi sempre più esteso e sviluppato, attribuiscono agli organi di governdo di ogni livello, Presidente del consiglio, Ministri, presidenti delle regioni, assessori, sindaci e così via, di "nominare" i vertici dell'apparato e, attraverso questi vertici, incidere anche sul resto della composizione. Mentre, da sempre, i vertici del "parastato", enti e società, sono appannaggio di scelte sempre più politiche e sempre meno dettate dalla competenza.
L'estensione incontrollata di strumenti di reclutamento che dovrebbero essere extra ordinem, come gli incarichi a contratto previsti dall'articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 e - negli enti locali - dall'articolo 110 del d.lgs 267/2000 - hanno permesso di intridere gli apparati di persone individuate solo per fiducia e fedeltà, estendendo ulteriormente il "potere di nomina".
Un potere che, però, come dimostra platealmente la vicenda degli incarichi nelle procure, si esercita in modo opaco, nei ristoranti degli alberghi, di notte, da parte di conventicole ristrette e sulla base di complicate scacchiere, alla ricerca delle convenienze private e a totale disdoro dell'interesse della Nazione.
Non si può negare alla politica di potersi comporre un proprio staff. Ma, da troppo tempo si attende la chiarificazione al ruolo e al limite preciso di questi staff. Le leggi che in modo del tutto astratto e generico consentono la creazione degli "uffici di diretta collaborazione" debbono al più presto essere completate dalla descrizione di questi uffici e dai poteri: per i Ministri è più che sufficiente un porta voce, un capo ufficio stampa, un consigliere legislativo, un consigliere esperto delle materie del dicastero, un segretario particolare ed un capo di gabinetto; per un sindaco è più che sufficiente il porta voce ed il segretario particolare.
Che, poi, nei ministeri sia anche possibile radicare la scelta di direttori generali e segretari generali sulla base anche della "personale adesione" di questi al programma politico, come ammette la Corte costituzionale, può anche starci, visto che si tratta di cariche di fatto in tutto analoghe a quelle dei sottosegretari, il cui scopo è contribuire attivamente a formare l'indirizzo politico e non solo attuarlo.
Ma, qui dovrebbe tracciarsi quella linea di confine che impedisca alla politica di brigare, con l'apparato, per la scelta dell'apparato.
I dirigenti, i direttori delle aziende sanitarie, i vertici delle società, non possono che essere selezionati con sistemi di reclutamento del tutto escludenti qualsiasi intervento della politica. L'ipocrita sistema vigente nelle aziende sanitarie che permette la costituzione di "rose di candidati", tra le quali poi sceglie a proprio arbitrio il direttore generale (schema che la riforma Madia avrebbe voluto estendere a tutta la dirigenza) è solo un humus nel quale l'opacità delle nomine, nello stile della vicenda Csm, toccherebbe la propria sublimazione.
Per quanto concerne l'organo di autogoverno della magistratura, appare abbastanza evidente la necessità di riformarne la composizione, escludendo la partecipazione tra i componenti di qualsiasi membro non togato o comunque di provenienza politica.
Finchè non si compiano questi passi, il sistema delle nomine in sedi private, compiute da ristrette conventicole, non sarà mai estirpato. Anche perchè, come si nota, per l'ennesima volta la normativa anticorruzione, che si ricorda dovrebbe combattere e prevenire anche i conflitti di interesse, risulta del tutto inutile ed inefficace.