03/06/2019 - Limiti percentuali agli incarichi a contratto nei comuni senza dirigenza
tratto da FB
Limiti percentuali agli incarichi a contratto nei comuni senza dirigenza
Luigi Oliveri
Un lotto di 3.600 comuni usciti dalle elezioni amministrative rimette in moto la macchina dell’assegnazione degli incarichi a contratto, ai sensi dell’articolo 110 del d.lgs 267/2000.
Molti sindaci, infatti, hanno l’idea che debbano costituirsi uno staff di propria fiducia. Si tratta certamente di un’idea ed una concezione distorte. Lo staff politico il sindaco ce lo ha già: è la giunta. Lo staff dell’ufficio può costituirselo: basta avvalersi (in maniera legittima) dell’articolo 90 del Tuel. Lo staff tecnico dovrebbe esistere già: il personale dipendente, che in linea teorica dovrebbe essere adeguato ai fabbisogni dell’ente e, ancora, assunto in ruolo.
Non dimentichiamo che ai sensi dell’articolo 36, comma 1, del d.lgs 165/2001 (norma obbligatoria anche per l’ordinamento locale) “Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall'articolo 35”.
Il precetto è chiaro: la compagine tecnica va costituita in relazione ai fabbisogni con personale di ruolo.
Simmetricamente, quindi, l’utilizzo di incarichi a contratto dovrebbe essere solo un’ipotesi straordinaria ed eccezionale. Ed, infatti, così è. L’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001, per effetto del successivo comma 6-ter, si applica direttamente agli enti locali (non è necessaria nessuna intermediazione statutaria o regolamentare). Dunque, l’articolo 110, comma 1, del Tuel deve leggersi necessariamente in combinazione con l’articolo 19, comma 6, che consente il ricorso ad incarichi a contratto al ricorrere di tre condizioni:
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all’esistenza di una “esplicita motivazione” alla base della scelta di coprire il posto in dotazione (nel caso del comma 2 dell’articolo 110, anche fuori dotazione) con contratto a termine invece che coprendo il ruolo;
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a personale dotato di quella specialissima competenza professionale (non rinvenibile all’interno dell’ente conferente), descritta dal comma 6;
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al rispetto, comunque, di una percentuale massima di incarichi conferibili, rispetto ad un certo totale della dotazione organica.
Non tutti queste tre condizioni sono riportate nell’articolo 110, comma 1: ma, la cosa è irrilevante. Come chiarito sopra, in ogni caso gli enti locali debbono combinare articolo 110 del Tuel ed articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001.
In ogni caso, l’articolo 110 precisa alcune condizioni analoghe:
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il possesso da parte degli incaricati di esperienza pluriennale e specifica professionalità (la quale non può che essere la medesima di quella precisata dall’articolo 19, comma 6);
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un tetto percentuale massimo agli incarichi conferibili.
L’articolo 110 non si riferisce esplicitamente ad un obbligo di motivare l’utilizzo dell’incarico a contrario, ma tale obbligo non per questo non esiste: sia perché, dovendosi attuare anche l’articolo 19, comma 6, esso è ivi espressamente menzionato; aia perché, in ogni caso, qualunque decisione amministrativa (e tale è questa) deve essere motivata, ai sensi della legge 241/1990.
Da qui occorre trarre una prima conclusione: è erroneo ritenere, come invece molti enti ritengono, sussistente una piena alternatività ed equivalenza della copertura dei posti di vertice dell’organizzazione dell’ente con contratti a tempo indeterminato o con incarichi a contratto. Questi non possono che essere un rimedio straordinario ed eccezionale alla regola posta dall’articolo 36, comma 1, del d.lgs 165/2001; è per tale ragione che il medesimo d.lgs 165/2001 impone una motivazione esplicita all’utilizzo di tale istituto.
Non basta, quindi, il mero e solo rispetto del tetto numerico imposto dalla legge, per giustificare il ricorso agli incarichi a contratto.
Concentriamoci, tuttavia, su questo particolare aspetto, cioè il tetto massimo numerico entro il quale è consentito attivare i contrati regolati dall’articolo 110, comma 1.
La norma è chiara nel limitare il ricorso all’assunzione di qualifiche dirigenziali a contratto entro il tetto del 30% “dei posti istituiti nella dotazione organica della medesima qualifica e, comunque, per almeno una unità”. Tale limite, essendo speciale e diverso da quello enunciato dall’articolo 19, comma 6, prevale su questo.
Molto meno chiaro è se esista e quale sia un tetto alle assunzioni ex articolo 110 di vertici amministrativi privi di qualifica dirigenziale.
Pertanto ci si deve chiedere:
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non esiste alcun limite?
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se esiste, è il 30%, come per le qualifiche dirigenziali?;
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oppure, sempre se esiste, è un'altra soglia?
Alla prima domanda occorre fornire una risposta negativa: è facile desumere dalle norme che regolano gli incarichi a contratto il principio generale secondo il quale questi debbano necessariamente consistere numericamente in una frazione del totale degli incarichi.
Proviamo, allora, a rispondere alle altre 2 domande. Allo scopo, ci avvaliamo delle conclusioni cui perviene la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Lazio, con la deliberazione 85/2018: “Al riguardo, viene in considerazione la disciplina generale di cui al d. lgs. 15 giugno 2015, n. 81, c.d. Jobs act, e in specie la disposizione contenuta all’art. 23, per cui il tetto massimo percentuale di assunzione di personale a tempo determinato è fissato al 20% del personale a tempo indeterminato alle dipendenze del medesimo datore di lavoro, salva diversa disposizione dei contratti collettivi, con possibile arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia uguale o superiore allo 0,5. […] la definizione in concreto dei limiti assunzionali in esame è rimessa alle valutazioni generali dall’Ente chiamato a gestire il proprio fabbisogno di personale a tempo determinato in sede regolamentare complessivamente considerato, nei limiti del 20% di quello a tempo indeterminato (salva diversa percentuale definita in sede di contrattazione collettiva)”.
Dunque, secondo questa pronuncia della magistratura contabile il limite c’è ed è quello previsto dal d.lgs 81/2015, non il 30% della dotazione della qualifica, riferibile solo alla qualifica dirigenziale.
Questa ricostruzione, tuttavia, non appare del tutto sufficiente e convincente. Se gli incarichi a contratto fossero trattati da legge e contratti alla stregua di qualsiasi altro contratto a tempo determinato:
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dovrebbero durare nel massimo 24 mesi; ma la loro durata, invece, può spingersi fino a quella del mandato elettorale del sindaco;
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la spesa connessa dovrebbe essere compresa nel tetto imposto dall’articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010; tuttavia, invece, gli articoli 110 sono espressamente esclusi da tale tetto per effetto dell’articolo 16, comma 1-quater, del d.l. 113/2016, convertito in legge 160/2016;
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dovrebbero essere contemplati dal Ccnl tra quelle ipotesi di contratto a termine alle quali eventualmente non si applichi il limite del 20% del personale: ma l’articolo 50 del Ccnl 31.5.2018 nemmeno parla degli incarichi a contratto, non li considera proprio.
Non si deve dimenticare che la disciplina del Ccnl 21.5.2018 richiama gli articoli 19 e seguenti del d.lgs 81/2015 solo “in quanto compatibile”: ma, la compatibilità tra l’articolo 110, comma 1, e le regole normative del contratto a termine è davvero estremamente scarsa, basti ulteriormente pensare all’inapplicabilità delle cause giustificative previste dal regime privatistico.
Insomma, l’articolo 110 è una norma assolutamente speciale, incisa esclusivamente dall’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001, ma non dal d.lgs 81/2015 e nemmeno dal Ccnl 21.5.2018.
Quindi, il fondamento per affermare che il limite numerico entro il quale le amministrazioni possono conferire incarichi a contratto a funzionari non aventi qualifiche dirigenziali sia pari al 20% del personale complessivo di ruolo è molto, molto debole.
Oltre tutto, perché l’interpretazione di una norma superi il vaglio dell’effettiva correttezza, si deve portarla alle eventuali estreme conseguenze e vedere se “tiene” o se, al contrario, produca effetti paradossali o addirittura contrari a leggi e principi.
Poniamo un esempio, allora: un comune con una dotazione di 50 dipendenti, dei quali 10 di categoria D e 10 strutture di vertice alle quali preporre un responsabile di servizio. Immaginiamo che i 10 posti siano tutti vacanti e che l’ente abbia la possibilità di motivare un ricorso pieno e totale agli incarichi a contratto, pari, quindi, al 100% degli stessi.
Abbiamo visto sopra che la normativa è sicuramente contraria alla copertura totale dei vertici organizzativi degli enti con incarichi a contratto.
Ora, se applicassimo, per analogia, anche agli incarichi a contratto per responsabili di servizio non aventi qualifica dirigenziale, il medesimo tetto del 30% dei dirigenti in ruolo, quell’ente potrebbe assumere a contratto al massimo 3 responsabili di servizi.
Applicando, invece, l’interpretazione suggerita dalla Corte dei conti del Lazio, sappiamo che il 20% di 50 è 10: in linea teorica, quindi, l’interpretazione fornita dalla magistratura contabile consentirebbe quella copertura del 100% dei posti di responsabili di servizio mediante incarichi a contratto, che invece molto chiaramente i principi desunti dalle norme vietano.
L’unica conclusione da trarre è che l’indicazione data dalla Corte dei conti è erronea e non può essere seguita. E’ vero che, nei fatti, difficilmente un ente destinerebbe solo ai vertici le possibilità di avvalersi di contratti a tempo determinato, ma è altrettanto innegabile che una norma non può essere letta nel senso che consenta anche solo potenzialmente una violazione di principi generali.
Non resta che una conclusione: alle assunzioni mediante articolo 110, comma 1, di responsabili di servizi senza qualifica dirigenziale va esteso, per analogia, il tetto numerico previsto per le qualifiche dirigenziali.
Luigi Oliveri