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25/01/2019 - Nelle Università chi è componente dell'Organo collegiale competente a deliberare l'avvio di un concorso non può poi parteciparvi quale concorrente

tratto da quotidianopa.leggiditalia.it

Nelle Università chi è componente dell'Organo collegiale competente a deliberare l'avvio di un concorso non può poi parteciparvi quale concorrente

di Massimo Asaro - Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile affari legali e istituzionali

Il Consiglio di Stato non è d'accordo con il TAR della Toscana. Al centro della disputa la corretta applicazione soggettiva dell'art. 18comma 1 lett. b), L. n. 240 del 2010 secondo cui: In ogni caso, ai procedimenti per la chiamata, di cui al presente articolo, non possono partecipare coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità, fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell'ateneo. La prima questione da risolvere è stata quella del rapporto di coniugio, non indicato nella disposizione e non compreso in quelli di affinità né di parentela, che sembrava serenamente sistemata con la sentenza del Cons. di Stato, Sez. VI, n. 1270 del 2013, a cui la gran parte della giurisprudenza successiva si era uniformata. Nel 2018 però il Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana ha ritenuto di investire la Consulta per valutarne la compatibilità con la Carta costituzionale (ordinanza n. 76 del 2018), la cui trattazione avverrà il prossimo 5 marzo 2019. Altre decisioni hanno riguardato la convivenza more uxorio con uno dei soggetti indicati dalla citata disposizione (Cons. di Stato, Sez. VI, n. 4148 del 2018), poi l'ambito di applicazione oggettivo ossia a quali procedure la preclusione sia innestata, comprendendo non solo tutte quelle di cui all'art. 18 della Legge e quelle che ad esso facciano diretto rinvio (T.A.R. Toscana, Sez. I, sent. n. 557 del 2018), ma anche alle "chiamate dirette" (Cons. di Stato, Sez. VI, sent. n. 4704 del 2016 e sent. n. 7216 del 2018). Per quanto riguarda l'ambito temporale, è stato affermato che il trasferimento presso altro dipartimento del parente (già in servizio) avvenuto poco prima della delibera di indire la procedura non faccia venir meno il divieto di partecipazione per il (parente) candidato. Esso è inefficace quando avvenga troppo a ridosso del concorso ossia in tempi inidonei a interrompere le relazioni di influenza esistenti tra professore appartenente al dipartimento e componenti del Consiglio di dipartimento (CGARS, Sez. giurisdiz., sent. n. 417 del 2016).

La questione più delicata è quella, anch'essa non indicata dalla disposizione, presupposta perché relativa allo stesso membro (non il suo coniuge, convivente, parente o affine) dell'organo deliberante l'indizione della procedura di chiamata che poi si candidi alla procedura selettiva: secondo una brillante sintesi giuridica il "parente di grado zero". Nel 2016 il TAR Puglia stabilì subito che, anche in questo caso, il valore dell'imparzialità, obiettivo della norma, risulta vulnerato e che la lettura costituzionalmente orientata del citato art. 18 comporta l'inclusione tra i casi di incandidabilità anche di quello ancor più estremo in cui il candidato incompatibile non è il parente, il coniuge o l'affine, ma lo stesso membro dell'organo (CdA dell'ateneo) che ha deliberato la procedura concorsuale, ricorrendo in tutta evidenza il caso per cui lex minus dixit quam voluit (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, sent. n. 874 del 2016). A questa è seguita una ordinanza del Consiglio di Stato, negativa della sospensione della sentenza di primo grado e poi nel 2018 una ordinanza del TAR di Palermo, con problema e soluzione identici (T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, ord. n. 487 del 2018).

La medesima questione è stata affrontata e però risolta in senso opposto dal TAR della Toscana, con la sentenza n. 186 del 2018, e dal CGARS, con l'ordinanza n. 382 del 2018. Secondo questa lettura il legislatore non avrebbe dettato una disposizione dedicata, in ambito universitario, al contrasto del conflitto di interessi tout court, ma ha individuato un'ipotesi qualificata di conflitto di interessi, quella legata appunto all'esistenza del rapporto di parentela o affinità (estesa al coniugio), giudicata meritevole di particolare attenzione e di cautele aggiuntive; dunque la norma non si occupa della differente ipotesi del conflitto coinvolgente interessi propri del componente dell'organo deliberativo dell'ateneo. Non appare, cioè, manifestamente irragionevole che il legislatore abbia assunto alcune cause di incompatibilità - quelle nascenti da rapporti familiari - a vere e proprie cause di esclusione dalla procedura di chiamata, lasciando invece ferma per il resto (non l'assenza di regole, ma) l'ordinaria disciplina del conflitto di interessi e del connaturato obbligo di astensione, ex art. 6-bisL. n. 241 del 1990 e D.P.R. n. 62 del 2013. L'impostazione è apparsa discutibile sotto vari profili a partire da quello inerente la "logica del diritto" [cfr. R. Rota, L'incandidabilità alle procedure selettive pubbliche tra conflitto di interessi "generico" e conflitto di interessi "specifico". Brevi riflessioni su "linguaggio e diritto", su Amministrazione in Cammino, 2018].

La lettura del Consiglio di Stato è molto diversa. Ad agosto scorso ha stabilito che la disposizione in esame è espressione diretta del principio cogente di imparzialità di cui all'art. 97 della Costituzione e pertanto applicabile anche ai concorsi banditi prima dell'entrata in vigore della L. n. 240 del 2010 ma conclusi dopo tale data (Cons. di Stato, Sez. VI, sent. n. 4841 del 2018). Il 18 gennaio scorso, con la sentenza n. 477 del 2019 che ha riformato quella del T.A.R. Toscana n. 186 del 2018, ha in primo luogo ribadito che la lettera della disposizione stigmatizza una delle condotte che più spesso inficiano il corretto svolgimento della procedura, ovvero la partecipazione di candidati legati da vincoli familiari ai componenti della struttura di appartenenza proprio al fine di prevenire il rischio di (una potenziale) compromissione dell'imparzialità che governa la decisione. In secondo luogo, ha riconosciuto che lo scopo perseguito dalla disposizione risulterebbe frustrato qualora si ammettesse la partecipazione al concorso del membro stesso dell'organo deliberante, anche se costui non avesse preso parte alla riunione in cui l'organo ha deciso di attivare la procedura di chiamata. L'esigenza, sempre più avvertita, d'imparziale svolgimento della selezione legittima l'estensione normativa, con fonte regolamentare, dello status d'incompatibilità anche al soggetto in conflitto di interessi. La causa di incandidabilità ratione officii attiene all'appartenenza all'organo e non viene meno sottraendosi alla specifica deliberazione.

Cons. di Stato, Sez. VI, 18 gennaio 2019, n. 477

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