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17/01/2019 - La responsabilità civile del giudice amministrativo

tratto da giustizia-amministrativa.it

La responsabilità civile del giudice amministrativo

di Massimiliano Noccelli

 

1. L’applicazione della l. n. 117 del 1988 al giudice amministrativo nell’esercizio delle proprie funzioni giurisdizionali.

 

La disciplina della l. 13 aprile 1988, n. 117 trova applicazione, secondo quanto prevede l’art. 1, comma 1, della stessa legge, anche agli appartenenti alla magistratura amministrativa che esercitano l’attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni[1].

Anche i magistrati appartenenti al plesso della giustizia amministrativa – sia quelli dei Tribunali amministrativi regionali che quelli del Consiglio di Stato – sono dunque chiamati a rispondere dei danni ingiusti cagionati per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere con dolo o colpa grave nell’esercizio delle loro funzioni o per diniego di giustizia[2].

L’ambito di applicazione della l. n. 117 del 1988 alla magistratura amministrativa nell’esercizio delle proprie funzioni giurisdizionali, sul piano soggettivo, costituisce dunque un dato certo e testuale, in virtù di tale previsione, letta in ovvio combinato disposto con l’art. 4 c.p.a., il quale dispone che «la giurisdizione amministrativa è esercitata dai tribunali amministrativi regionali e dal Consiglio di Stato secondo le norme del presente codice».

Deve invece escludersi che la disciplina della l. n. 117 del 1988 si applichi anche ai consiglieri di Stato che svolgono funzioni consultive.

La l. n. 117 del 1988 ha inteso infatti limitare, sul piano oggettivo, il proprio ambito di applicazione solo all’esercizio delle funzioni giurisdizionali e non all’esercizio di funzioni diverse, come quelle consultive[3], che pure il Consiglio di Stato svolge quale organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo (art. 100, comma primo, Cost.)[4].

La disciplina in esame non si applica nemmeno all’esercizio di funzioni extra-istituzionali dei magistrati amministrativi, quali gli incarichi di collaborazione ad organi governativi, fermo restando, come è stato notato, che in questi casi al magistrato amministrativo dovrebbero applicarsi le disposizioni sulla responsabilità civile del personale delle pubbliche amministrazioni e dei pubblici amministratori[5].

Deve invece riconoscersi, ormai, l’applicabilità della disciplina in materia di responsabilità civile ai magistrati del Consiglio di Stato delle sezioni consultive chiamati a rendere il parere in sede di ricorso straordinario, attesa la natura di rimedio giurisdizionale, suscettibile di costituire cosa giudicata, che ormai la giurisprudenza, sia civile che amministrativa, riconosce a tale ricorso.

A questa conclusione deve pervenirsi, del resto, non solo in forza delle recenti riforme di cui all’art. 69 della l. n. 69 del 2009 e della successiva entrata in vigore del codice del processo amministrativo (d. lgs. n. 104 del 2010) [6], ma in ragione della stessa previsione dell’art. 1, comma 1, della l. n. 117 del 1988, la quale con molta chiarezza estende la propria applicazione a tutti gli appartenenti alla magistratura – anche amministrativa – che esercitano l’attività giudiziaria, rientrando in tale attività sostanzialmente anche la pronuncia “giustiziale” sul ricorso straordinario[7], indipendentemente dalla natura – in questo caso formalmente “consultiva” – delle funzioni[8].

L’integrale applicabilità della l. n. 117 del 1988 anche al ricorso straordinario consente, in sede di decisione dello stesso, di poter manifestare il proprio eventuale dissenso ai consiglieri di Stato che non ritengano di aderire al convincimento maggioritario formatosi nell’adunanza della sezione consultiva in ordine allo specifico affare, poi deciso con l’emissione del parere, in modo tale da evitare l’esercizio della rivalsa ai sensi e per gli effetti dell’art. 16 della l. n. 117 del 1988.

A tal proposito occorre rammentare che la decisione dei giudici amministrativi è ordinariamente collegiale, in quanto il Tribunale amministrativo regionale decide con l’intervento di tre magistrati (compreso il Presidente), ai sensi dell’art. 5, comma 2, c.p.a. e il Consiglio di Stato con l’intervento di cinque magistrati, di cui un Presidente di sezione e quattro consiglieri, ai sensi dell’art. 6, comma 2, c.p.a., sicché, se si escludono talune specifiche eccezionali ipotesi di decisione monocratica, come quella dell’art. 56 c.p.a. per le misure cautelari o dell’art. 118 c.p.a. per il procedimento monitorio, troverà pressoché integrale ed esclusiva applicazione ai magistrati amministrativi la disciplina dettata dalla l. n. 117 del 1988 per la responsabilità dei componenti gli organi giudiziari collegiali e, in particolare, la disposizione dell’art. 16 di tale legge[9].

 

2. La giurisdizione unica del giudice civile, nella materia risarcitoria di cui alla l. n. 117 del 1988, sull’esercizio della funzione giurisdizionale da parte del giudice amministrativo.

 

Uno dei problemi più delicati posti dalla disciplina, aggravati ora per effetto della riforma della l. n. 18 del 2015[10] e, in particolare, in seguito all’introduzione, nell’art. 2, commi 3 e 3-bis, della l. n. 117 del 1988, delle nuove fattispecie della colpa grave[11], è certamente quello del sindacato esercitabile dal giudice civile sulla gravità dell’errore compiuto dal giudice amministrativo (come di ogni altro giudice), nell’interpretazione delle norme o nella valutazione dei fatti, ai fini della sua responsabilità civile.

La riforma, come è noto, consente infatti o, per meglio dire, impone al giudice, chiamato ad accertare la responsabilità civile dello Stato-giudice in questa materia, di sindacare la violazione manifesta della legge italiana o del diritto europeo e il travisamento del fatto e delle prove da parte del giudice, anche amministrativo.

Non è questa la sede per esaminare la portata generale della riforma sull’attività interpretativa e valutativa del giudice, con deroga alla c.d. clausola di salvaguardia.

Qui basti osservare che la scelta del legislatore, fin dall’originario impianto della l. n. 117 del 1988, si è orientata nel senso di riconoscere una giurisdizione unica, di tipo funzionale, sull’inescusabile errore interpretativo o sul diniego di giustizia posto in essere da qualsivoglia giudice, anche speciale, con conseguente danno ingiusto per la parte[12].

Si tratta di una scelta che deroga all’ordinario criterio di riparto della giurisdizione vigente nel nostro assetto ordinamentale – artt. 103 e 113 Cost. – per quanto attiene alla tutela degli interessi legittimi e, nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, anche alla tutela dei diritti soggettivi[13].

L’eccezionalità di questa deroga al riparto di giurisdizione, temperata e “attutita” in origine dall’ampia portata della clausola di salvaguardia, di cui al comma 2 dell’art. 2 della l. n. 117 del 1988, che nella sua primigenia formulazione non conosceva eccezione alcuna, si è ora ampliata, però, per effetto della l. n. 18 del 2015, in quanto, dopo le pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea nel 2006 e nel 2011[14], il novellato art. 2 della l. n. 117 del 1988 contempla nel comma 3, tra le fattispecie di colpa grave, «la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea, il travisamento del fatto o delle prove» e, nel successivo comma 3-bis, sancisce che, ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea, «si tiene conto, in particolare, del grado di chiarezza e precisione delle norme violate nonché dell’inescusabilità e della gravità dell’inosservanza» e che «in caso di violazione manifesta del diritto dell’Unione europea si deve tener conto anche della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché del contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea».

Il giudice della responsabilità civile e, quindi, il giudice ordinario è chiamato, dopo la riforma della l. n. 18 del 2015, a valutare se il giudice amministrativo sia incorso in una violazione manifesta della legge o del diritto eurounitario o in un travisamento del fatto e delle prove nelle controversie che hanno ad oggetto gli interessi legittimi e, nelle materie di giurisdizione esclusiva, anche i diritti soggettivi.

La deroga al riparto di giurisdizione, quale delineato dagli artt. 103 e 113 Cost., è giustificata spesso dall’affermazione, quasi tralatizia nelle trattazioni della materia, secondo la quale esiste un diritto soggettivo perfetto, di carattere processuale, che i singoli hanno nei confronti dello Stato all’esistenza di organi giurisdizionali attraverso i quali ottenere tutela dei diritti e degli interessi riconosciuti sul piano sostanziale[15].

La stessa Corte costituzionale ha infatti ritenuto legittima, in una pronuncia di trent’anni or sono, la concentrazione della giurisdizione in capo al giudice ordinario, in quanto, a suo giudizio, la situazione soggettiva lesa dall’illecito giudiziario, fondante la responsabilità dello Stato-giudice, consisterebbe in un diritto soggettivo perfetto, che nasce in seno al rapporto processuale instauratosi con l’esercizio dell’azione, e anzi, per usare le parole della stessa Corte, in «un diritto fondamentale», al quale è estranea e, quindi, indifferente la posizione sostanziale originaria, eventualmente di interesse legittimo, di cui si chiede la tutela nel giudizio[16].

La responsabilità civile dello Stato-giudice, in altri termini, prescinderebbe dalla natura giuridica della situazione fatta valere in giudizio perché lederebbe il diritto fondamentale del cittadino ad un processo che renda effettiva la tutela giurisdizionale da parte degli organi dello Stato a ciò deputati, senza che questi si rendano protagonisti di denegata giustizia o di macroscopici errori, di diritto o di fatto, come ora la riforma del 2015 ha definitivamente chiarito[17].

Vi è più di una ragione per dubitare di questa ricostruzione, avallata dalla Corte, che si pone in contrasto, peraltro, con la posizione assunta di recente dalla stessa Corte costituzionale nelle sentenze n. 123 del 26 maggio 2017 e n. 6 del 18 gennaio 2018.

La lesione che si realizza per effetto della denegata giustizia o dell’attività giudiziaria “illecita” non immuta la natura della situazione giuridica soggettiva fatta valere nel processo e lesa dal processo, diritto soggettivo o interesse legittimo, che anzi proprio da quel diniego o da quell’attività riceve un definitivo e irrimediabile vulnus.

Non esiste, insomma, e non sembra enucleabile un diritto fondamentale, nuovo e diverso rispetto alla situazione giuridica fatto valere nel giudizio concluso dalla sentenza “errata”, né un presunto rapporto processuale, indifferente alla posizione sostanziale difesa, nei confronti degli organi giurisdizionali dello Stato.

Una simile impostazione, che ipotizza e ipostatizza un diritto soggettivo perfetto, definito fondamentale, ad una sentenza necessariamente “giusta”, contraddice già sul piano processuale lo stesso valore e la persistente centralità del giudicato[18], che costituisce una certezza non intaccabile, nel nostro ordinamento, se non a tassative eccezionali condizioni, come la Corte ha chiarito nella sentenza n. 123 del 26 maggio 2017, indipendentemente dal suo contenuto più o meno “giusto”[19], tranne l’ipotesi, appunto, di errori gravi o di dinieghi di giustizia fondanti la responsabilità dello Stato, una volta proposti i mezzi di impugnazione contro la pronuncia giurisdizionale errata[20].

Sul piano sostanziale, poi, è evidente che la lesione che viene a concretizzarsi per effetto dell’attività giudiziaria, nei limiti fissati dall’art. 2 della l. n. 117 del 1988, non muta la situazione giuridica lesa, che preesiste al processo, né fa nascere un diritto nuovo, un diritto soggettivo perfetto al risarcimento per la lesione di una situazione “ulteriore” rispetto a quella fatta valere nel processo stesso.

Il processo che neghi ingiustamente alla parte un bene della vita che le spetterebbe, pur avendolo essa preteso o difeso in giudizio, non è esso causa del danno, ma semmai illecito mezzo del suo definitivo consolidarsi laddove avrebbe dovuto essere, invece, rimozione di questo o, comunque, doveroso strumento di effettiva tutela della parte.

Anche lo Stato, per dirla in altri termini, mediante l’errore grave compiuto dai suoi organi giudiziari può ledere una situazione giuridica soggettiva, di diritto soggettivo o di interesse legittimo, che tuttavia preesiste al processo, instaurato nei confronti di altri soggetti, e non nasce col processo né dal processo, ma la lesione di questa situazione da parte dello Stato-giudice, se non deve mortificarne la ratio essendi, non per questo deve, all’opposto, duplicare o modificare la natura di tale situazione.

Se così è, si comprende che la scelta della l. n. 117 del 1988, nell’assegnare la cognizione delle controversie risarcitorie al giudice civile anche per quanto attiene alla definitiva lesione per via giudiziale degli interessi legittimi e, nelle materie di giurisdizione esclusiva, anche dei diritti soggettivi, costituisca una deroga al riparto di giurisdizione consacrato dagli artt. 103 e 113 Cost. e, in base al criterio del c.d. petitum sostanziale e della causa petendi, una eccezionale ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice ordinario.

Questa deroga potrebbe pur essere giustificata dall’esigenza di assicurare l’unità funzionale della giurisdizione in materia di “errore giudiziario”, devolvendo ad un unico giudice – quello civile in sede risarcitoria – la cognizione delle controversie nelle quali si faccia questione dello scorretto esercizio del potere giurisdizionale nelle sue forme patologiche più gravi, qualunque esso sia (ordinario o speciale), e della conseguente responsabilità civile dello Stato-giudice, unitariamente inteso, ma sta di fatto che tale deroga, a differenza di quanto è previsto per i motivi di giurisdizione (art. 111, comma ottavo, Cost.), non ha una copertura costituzionale esplicita e testuale in riferimento alle sentenze del Consiglio di Stato.

L’evidente errore di diritto o il totale travisamento del fatto e delle prove eventualmente compiuti dal Consiglio di Stato nella sentenza definitiva del giudizio amministrativo, nelle controversie devolute alla sua cognizione, diviene infatti oggetto, seppure a fini risarcitori, di un penetrante sindacato da parte del giudice civile e, in ultima istanza, della Corte di Cassazione al di fuori delle ipotesi, tassative, espressamente previste dalla nostra Costituzione nel citato art. 111, comma ottavo, Cost.[21].

La compatibilità di questo assetto con l’architettura costituzionale, soprattutto dopo la sentenza n. 6 del 18 gennaio 2018 della Corte costituzionale, necessiterebbe di una approfondita rimeditazione, forse e anzitutto da parte della stessa Corte costituzionale, poiché la Corte ha inteso negare espressamente qualsivoglia fondamento, anche in una chiave “evolutiva”, alla tesi secondo cui il ricorso in Cassazione, previsto solo nell’ipotesi di cui all’art. 111, comma ottavo, Cost., contro le sentenze del Consiglio di Stato o della Corte dei Conti possa comprendere anche il sindacato su errores in procedendo o su errores in iudicando, in quanto una simile tesi non sarebbe compatibile con la lettera e lo spirito della norma costituzionale, che ha inteso differenziare il regime di impugnabilità di tali pronunce rispetto a quelle degli altri giudici, soggette alla previsione dell’art. 111, comma settimo, Cost., e al ricorso per cassazione per violazione di legge[22].

Ogni forma di controllo sulle sentenze del giudice amministrativo, che esuli dal ristretto ambito dei motivi inerenti alla giurisdizione previsto dal comma ottavo dell’art. 111 Cost., secondo il giudice delle leggi, infatti, «mette in discussione la scelta di fondo dei costituenti dell’assetto pluralistico delle giurisdizioni»[23].

In quest’ottica il sindacato del giudice civile riconosciuto ora dalla l. n. 117 del 1988 in forma ampia e, si direbbe, indeterminata – si pensi alle fattispecie della “manifesta” violazione della legge o al “travisamento” delle prove – sull’errore di diritto o di fatto compiuto dal giudice amministrativo pare oggi, a Costituzione invariata, di difficile giustificazione.

Per ovviare a questa evidente distonia del sistema, e prima di approdare al riconoscimento della giurisdizione del giudice amministrativo, anche in questa materia, sulle sue pronunce, si sarebbero potute valorizzare anche a legislazione vigente soluzioni “mediane” e proposte “compromissorie”, nate in seno ad un proficuo dialogo sviluppatosi tra i vertici delle Supreme Corti (Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei Conti) e dirette ad evidenziare la possibilità di promuovere l’introduzione di disposizioni, a Costituzione invariata, che consentano forme di integrazione degli organi collegiali di vertice con funzioni specificamente nomofilattiche delle tre giurisdizioni (sezioni unite civili della Corte di cassazione, adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sezioni riunite della Corte dei Conti) con magistrati di altre giurisdizioni, quando si trattino questioni di alto e comune rilievo nomofilattico, ivi comprese, per le sezioni unite civili della Cassazione, quelle attinenti alla giurisdizione.

E se anche queste proposte, contenute in un recente Memorandum sulle tre giurisdizioni superiori[24], non paiono di facile attuazione, a Costituzione invariata, come è emerso dal vivace dibattito registratosi su di esse[25], resta però il dato, indiscutibile, secondo il quale la valutazione sulla gravità dell’errore giudiziario è oggi rimessa, dopo la riforma del 2015, ad una giurisdizione diversa in forme ampie ed eccessivamente indeterminate, quando si discute del magistrato amministrativo, poiché il magistrato amministrativo, come è stato ben osservato in dottrina, sarà giudicato, per questioni anche di diritto, «da un giudice non soltanto estraneo alla sua giurisdizione, ma soprattutto estraneo alla sua giurisprudenza»[26].

Il rischio di un sindacato giurisdizionale di secondo livello sulle sentenze del giudice amministrativo, da parte della Corte di Cassazione, e con effetti assai gravi sul piano del risarcimento e dell’eventuale rivalsa, è dunque tutt’altro che remoto e pone delicati problemi di equilibrio non solo tra le due giurisdizioni, ordinaria e amministrativa, soprattutto dopo la sentenza n. 6 del 18 gennaio 2018 della Corte costituzionale, in un sistema, come quello attuale, che riconosce ancora in tutta la sua ricchezza, e indubbia complessità, il c.d. pluralismo delle giurisdizioni, ma anche per la certezza del diritto e la prevedibilità delle pronunce giurisdizionali.

Si deve quindi scongiurare l’eventualità, già prospettata da un’autorevole dottrina dopo le pronunce della Corte di Giustizia e in tempi ben anteriori alla riforma del 2015, che l’ampliamento della colpa grave alla manifesta violazione della legge e del diritto eurounitario possa costituire un insidioso “cavallo di troia” per il tacito superamento del riparto tra le giurisdizioni, ordinaria e amministrativa, di dubbia compatibilità con le previsioni degli artt. 103 e 113 Cost.[27], e causa di incertezza e di contrasti tra le due giurisdizioni, delle quali la prima, quella ordinaria, potrebbe essere chiamata a svolgere un’opera di supervisione o di supplenza sull’interpretazione della legge attuata dalla seconda, seppure a fini risarcitori, al di fuori dei tassativi limiti previsti dall’art. 111, comma ottavo, Cost., nella rigorosa lettura tipizzante che, come detto, ne ha dato recentemente la Corte costituzionale nella sentenza n. 6 del 18 gennaio 2018[28].

 

3. Le peculiarità della giurisdizione amministrativa in rapporto alle fattispecie costitutive di responsabilità civile ai sensi della l. n. 117 del 1988.

 

Il giudizio amministrativo, anche in rapporto alle “nuove” fattispecie generatrici di responsabilità civile introdotte dalla l. n. 18 del 2015, assume connotati peculiari per la specificità del suo oggetto, attinente al legittimo esercizio del pubblico potere, e del conseguente sindacato giurisdizionale esercitato dal giudice amministrativo, sicché potrebbero riscontrarsi con maggiore facilità, per lo stesso giudice amministrativo, situazioni che comportino una responsabilità civile[29].

La riforma della l. n. 18 del 2015, come si è accennato nel § precedente, rischia ora di aggravare questa situazione, poiché il novellato art. 2, comma 3, della l. n. 117 del 1988 impone al giudice di verificare, in sede risarcitoria, se vi sia stata una evidente violazione della legge o del diritto eurounitario o un travisamento dei fatti e delle prove ed estende il suo sindacato ad eventuali errores in iudicando o in procedendo, per quanto connotati dal requisito, non certo cristallino nella stessa formulazione della l. n. 117 del 1998, della gravità.

A livello interpretativo delle norme, anzitutto, è stato già osservato, per quanto attiene allo specifica responsabilità del giudice amministrativo, che questo è chiamato con maggior frequenza, rispetto agli altri giudici, all’applicazione del diritto eurounitario[30], come accade, solo per citare due esempi assai significativi, nel nevralgico settore dei contratti pubblici, ora disciplinato dal d. lgs. n. 50 del 2016, o per gli atti regolatori o sanzionatori adottati delle Autorità amministrative indipendenti[31].

In questi ambiti, di vitale importanza per l’economia nazionale, il processo di integrazione tra il diritto interno e quello eurounitario o convenzionale e il dialogo tra le Corti nazionali e la Corte di Giustizia dell’Unione europea – e la Corte europea dei diritti dell’uomo – può comportare l’innescarsi di un contenzioso aspro e delicato, come è accaduto, a tacer d’altro, per la emblematica vicenda del rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale[32] o quella dei “medici a gettone”, esaminata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 23 del 26 maggio 2017[33], di cui si è fatto cenno.

Il faticoso raggiungimento di un punto fermo, con la formazione del giudicato amministrativo, viene spesso rimesso in discussione dalla dialettica tra diritto nazionale ed europeo, in un quadro normativo già di per sé estremamente mobile e incerto, che schiude la strada anche ad azioni risarcitorie.

A sua volta pure la violazione manifesta della legge nazionale, ora prevista dal novellato art. 2, comma 3, della l. n. 117 del 1988, comporta un difficile equilibrio interpretativo, questa volta tutto interno, tra le pronunce rese del Consiglio di Stato e, in particolare, quelle dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con funzione nomofilattica per l’intera giurisprudenza amministrativa, e quelle rese a fini risarcitori dalla Corte di Cassazione, peraltro in ordine a controversie – come si è detto nel § 2 – non devolute alla cognizione del giudice ordinario.

Solo un attento, costante e profondo dialogo tra le Corti interne, a livello nazionale, e tra queste e le Corti europee (Corte di Giustizia dell’Unione europea e Corte europea dei diritti dell’uomo), sul piano sovranazionale, può scongiurare il rischio, insito nella formulazione delle nuove fattispecie “a maglie larghe” dell’art. 2, commi 3 e 3-bis, della l. n. 117 del 1988, che l’evidente violazione della legge nazionale o del diritto eurounitario costituisca una breccia nella serena, imparziale e uniforme applicazione delle norme da parte del giudice amministrativo, ed evitare fenomeni, peraltro, di giurisprudenza “difensiva” da parte dello stesso Consiglio di Stato, nel timore di conseguenze risarcitorie, anche a fronte di impugnative manifestamente infondate[34].

Anche l’attività valutativa dei fatti e delle prove, nel giudizio amministrativo, sconta ataviche difficoltà legate ad un pieno accesso ai fatti da parte del giudice amministrativo, mediante l’eventuale impiego di tutti i mezzi istruttori, che tuttavia ora il codice del processo amministrativo riconosce al giudice amministrativo con una larga, tendenziale, pienezza (si pensi alla verificazione o alla consulenza tecnica d’ufficio, previste dagli artt. 66 e 67 c.p.a.)[35], secondo la logica europea della full jurisdiction e il principio costituzionale di una tutela piena ed effettiva[36].

E tuttavia il sindacato del giudice amministrativo, soprattutto a fronte di attività puramente discrezionali o tecnico-discrezionali, difficilmente può essere satisfattivo per la parte, di fronte ad un ambito di scelte tutte potenzialmente ragionevoli della pubblica amministrazione insindacabili nel merito, in quanto la posizione del titolare di un interesse legittimo, come è stato autorevolmente osservato, è contrassegnata da una «strutturale incertezza» circa la soddisfazione finale dell’interesse di base[37].

Persino la imperante concezione del processo amministrativo come giudizio sul rapporto, oggi molto in voga, deve essere correttamente declinata non nel senso di consentire al giudice la sostituzione del proprio giudizio a quello della pubblica amministrazione, ma la piena ed effettiva verifica, da parte di questo, del procedimento formativo della decisione pregressa, sia per quanto concerne la selezione dei fatti o interessi rilevanti che per quanto concerne la loro successiva valutazione da parte del pubblico potere.

In questa prospettiva il sindacato giurisdizionale sull’eccesso di potere non può spingersi oltre il pieno controllo sull’osservanza delle regole di copertura – le cc.dd. norme modali – selezionate ed applicate in concreto dalla pubblica amministrazione per giungere ad una determinata decisione[38].

Ma la giurisdizione di legittimità esercitata dal giudice amministrativo mostra tutta la complessità e, insieme, il limite di un simile sindacato, che non può sostituirsi alla pubblica amministrazione nel riconoscimento del bene della vita, sotteso all’interesse legittimo azionato dalla parte.

Soprattutto poi il giudizio di ottemperanza quale tipica ipotesi di giurisdizione di merito (art. 134, comma 1, lett. a), c.p.a.), come comprova l’esperienza applicativa del giudice amministrativo, si presta ad essere strumentalizzato per ottenere un sindacato “intrusivo” di questo e una pronuncia che incida sul tratto del potere amministrativo lasciato libero dal giudicato, con la pretesa del ricorrente a vedersi assegnare il bene della vita che solo l’amministrazione può riconoscergli[39], e, successivamente, a costituire il punto di partenza e l’occasione per promuovere un giudizio risarcitorio ex lege n. 117 del 1988 per il danno asseritamente conseguente alla negazione di detto bene della vita da parte del giudice amministrativo[40].

Sul giudizio di ottemperanza sovente si concentrano e si “scaricano”, infatti, le aspirazioni del ricorrente all’ottenimento del bene della vita, oggetto del residuo potere discrezionale della pubblica amministrazione, e anche le tensioni tra il diritto nazionale e quello europeo o convenzionale in un panorama normativo spesso eterogeneo, confuso e non armonico tra fonti interne e sovranazionali.

Non va poi nemmeno taciuto infine, sul piano delle conseguenze risarcitorie, che anche la lesione dell’interesse legittimo, leso dal giudicato amministrativo “ingiusto”[41], può essere fonte di danno non patrimoniale, oltre che patrimoniale, essendo la tutela risarcitoria dell’interesse legittimo, leso dapprima dall’azione amministrativa illegittima e, poi, dall’attività giudiziaria ingiusta, estesa ovviamente anche al risarcimento del danno non patrimoniale.

Per la responsabilità civile del giudice amministrativo vige infatti, anche in questa materia, la generale regola dell’art. 2, comma 1, della l. n. 117 del 1988, a norma della quale chi ha subito il danno ingiusto può agire contro lo Stato «per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali», avendo la riforma del 2015 reso risarcibile ogni tipologia di danno non patrimoniale, a prescindere, dunque, dalla circostanza che esso sia prodotto dalla sola privazione della libertà personale, come era nella precedente formulazione della norma[42].

Il sostrato materiale dell’interesse legittimo non di rado afferisce, infatti, a situazioni giuridiche fondamentali della persona, conformate e incise dall’esercizio del pubblico potere, ed è suscettibile di ristoro non patrimoniale ai sensi dell’art. 2059 c.c.[43].

Il riconoscimento del danno non patrimoniale alla parte lesa dall’attività giudiziaria, dunque, ben può trovare ampio sfogo anche quando ad essere coinvolti, e lesi nel giudizio, siano interessi legittimi, giacché anche la lesione dell’interesse legittimo può determinare un danno non patrimoniale alla parte lesa dalla sentenza “ingiusta”, danno reso definitivo dalla pronuncia giurisdizionale resa in evidente violazione della legge o del diritto eurounitario o con travisamento del fatto o delle prove.

Solo un’attenta applicazione della nuova disciplina da parte della giurisprudenza – e, in particolare e in ultima istanza, dalla Corte di Cassazione[44] – potrà garantire che le nuove fattispecie di responsabilità della l. n. 117 del 1988 non prestino il fianco, mediante la proposizione di azioni risarcitorie volte ad evidenziare la lesione di situazioni giuridiche fondamentali risarcibili sul piano non patrimoniale, a porre nuovamente in discussione, questa volta in sede civile, il delicatissimo sindacato esercitato dal giudice amministrativo sul legittimo esercizio del potere pubblico e mettere a repentaglio, in questo modo, la serenità e l’imparzialità del suo giudizio.

La stessa Corte costituzionale, chiamata di recente a pronunciarsi su alcuni aspetti della riforma, non ha mancato di rilevare in generale che un eventuale abuso dell’azione risarcitoria è questione «che solo l’attuazione nel tempo della nuova disciplina potrà chiarire»[45].

La tenuta della riforma è attesa alla prova dei fatti, dunque, benché non si sia mancato di osservare, già da parte di alcuni commentatori, che il temuto effetto moltiplicativo del contenzioso risarcitorio, ad oggi, non si è verificato nella prima concreta esperienza della riforma[46].

Quale che sia il futuro applicativo della nuova disciplina, in questa delicata materia della responsabilità civile, occorre garantire che la doverosa, irrinunciabile, tutela della parte lesa dall’attività giudiziaria, in un’epoca di incertezza e di transizione come quella dell’attuale “diritto liquido”, si misuri e contemperi con l’esigenza altrettanto irrinunciabile di certezza giuridica, sottesa al valore del giudicato, anche amministrativo, che nel nostro ordinamento, come la stessa Corte costituzionale ha chiarito, rimane un bene primario da preservare per lo Stato di diritto e la stabilità dei rapporti giuridici[47], senza poter essere rimesso in discussione, surrettiziamente, da difformi interpretazioni delle norme proposte in modo strumentale in sede risarcitoria.

 

Massimiliano Noccelli

consigliere di Stato

 

 

pubblicato il 16 gennaio 2019

 

 

 

[1] Sull’ambito applicativo della l. n. 117 del 1988 v., di recente, l’analisi di F. Auletta, Oggetto e finalità. Ambito di applicazione. Azione di rivalsa, in F. Auletta, S. Boccagna e N. Rascio (a cura di), La responsabilità civile dei magistrati. Commentario alle leggi 13 aprile 1988, n. 117 e 27 febbraio 2015, n. 18, Bologna 2017, p. 3 ss.

[2] Per la specifica questione v. anche A. Travi, La responsabilità civile e i giudici amministrativi, in AA. VV., La nuova responsabilità civile dei magistrati (l. 27 febbraio 2015, n. 28), in Foro it., 2015, V, coll. 338-340.

[3] Sul punto v. F. Auletta, Oggetto e finalità, cit., pp. 13-14 e nt. 17 nonché A. Travi, La responsabilità civile e i giudici amministrativi, cit., col. 339.

[4] Al riguardo va rammentato che il Presidente del Consiglio di Stato, con il decreto n. 176 del 14 dicembre 2018, ha disposto di recente la trasformazione anche della II sezione da consultiva in giurisdizionale a decorrere dal 1° gennaio 2019. A tale sezione, secondo quanto dispone tale decreto, viene attribuita la competenza a decidere tutti i ricorsi pendenti dinanzi alle quattro sezioni giurisdizionali depositati sino alla data del 31 dicembre 2012, fatti salvi i ricorsi già assegnati ad udienza o per i quali sia stata già fissata una udienza alla data del 31 dicembre 2018 nonché quelli i cui giudizi sono stati, a qualsiasi titolo, sospesi.

[5] Così A. Travi, La responsabilità civile e i giudici amministrativi, cit., col. 338.

[6] Sulla giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario v. di recente, inter multas, Cass., Sez. Un., 6 novembre 2017, n. 26258, la quale ribadisce il principio già espresso dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 23464 del 19 dicembre 2012 e n. 19786 del 5 ottobre 2015, secondo cui «la decisione presidenziale conforme al parere del Consiglio di Stato ripete dal parere stesso la natura di atto giurisdizionale in senso sostanziale, come tale impugnabile in cassazione per motivi di giurisdizione, atteso che la l. n. 69 del 2009, art. 69 – che rende vincolante il parere del Consiglio di Stato e legittima l’organo consultivo a sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale – e il d. lgs. n. 104 del 2010, art. 7 – il quale ammette il ricorso straordinario per le sole controversie sulle quali vi è giurisdizione del giudice amministrativo – evidenziano l’avvenuta “giurisdizionalizzazione” dell’istituto». Nello stesso senso, recependo l’orientamento delle Sezioni Unite, anche il supremo consesso amministrativo: v., per tutti, Cons. St., Ad. plen., 6 maggio 2013, n. 9, in Foro amm., 2014, 1, p. 11 e ss., con nota di P. Gotti, L’Adunanza plenaria si pronuncia sulla natura giuridica del ricorso straordinario al Capo dello Stato e sul giudice competente per l’ottemperanza alla decisione presidenziale di accoglimento.

[7] L’assimilabilità del rimedio giustiziale a quello giurisdizionale è riconosciuta anche da Corte cost., 9 febbraio 2018, n. 24, in Foro amm., 2018, 7-8, p. 1177 nonché in Giur. cost., 2018, 1, p. 226 e ss., con nota di F. G. Scoca, Decisione del ricorso straordinario e giudicato (il quale però correttamente ricorda come la Corte non abbia interamente seguito la tesi della completa assimilazione del ricorso straordinario a rimedio giurisdizionale): le modifiche della l. n. 69 del 2009 e del d. lgs. n. 104 del 2010 «hanno trasformato il ricorso straordinario da antico ricorso amministrativo “in un rimedio giustiziale ... sostanzialmente assimilabile ad un “giudizio”, quantomeno ai fini dell’applicazione dell’art. 1 della l. cost. n. 1 del 1948 e dell’art. 23 della l. n. 87 del 1953”, sicché l’istituto ha perso la propria “connotazione puramente amministrativa ed ha assunto la qualità di rimedio giustiziale amministrativo, con caratteristiche strutturali e funzionali in parte assimilabili a quelle tipiche del processo amministrativo” (sentenza n. 73 del 2014)»: V. già nello stesso senso la richiamata sentenza della Corte cost., 2 aprile 2014, n. 73, in Foro amm., 2014, 6, p. 1663.

[8] In questo senso anche F. Auletta, Oggetto e finalità, cit., pp. 13-14 e nt. 17 nonché A. Travi, La responsabilità civile e i giudici amministrativi, cit., col. 339.

[9] In particolar modo troverà applicazione alla verbalizzazione delle decisioni del giudice amministrativo sia in prima che in secondo grado, ai sensi del comma 3 dell’art. 16 della l. n. 117 del 1988, l’art. 131, ult. comma, c.p.c., introdotto proprio dalla l. n. 117 del 1988, a mente del quale «dei provvedimenti collegiali è compilato sommario processo verbale, il quale deve contenere la menzione dell’unanimità della decisione o del dissenso, succintamente motivato, che qualcuno dei componenti del collegio, da indicarsi nominativamente, abbia eventualmente espresso su ciascuna delle questioni decise» e «il verbale, redatto dal meno anziano dei componenti togati del collegio e sottoscritto da tutti i componenti del collegio stesso, è conservato a cura del presidente in plico sigillato presso la cancelleria dell’ufficio».

[10] Sugli effetti della riforma, in una prospettiva anche comparatistica, v., tra gli altri, C. Cosentino, Indipendenza del magistrato e responsabilità civile, in Nuov. giur. civ. comm., 2017, 7-8, p. 1097 e ss. nonché, ancor più di recente, S. Boccagna, La parabola della responsabilità civile dei magistrati dal c.p.c. del 1940 alla l. n. 18 del 2015, in Nuov. legg. civ. comm., 2018, 5, p. 1194 e ss. e M. Bove, Responsabilità civile dei magistrati: individuazione del giudice naturale e struttura del diritto risarcitorio da illecito giudiziario, in Giur. it., 2018, p. 2129 e ss.

[11] V., in particolare, E. Scoditti, Le nuove fattispecie di «colpa grave», in AA. VV., La nuova responsabilità civile dei magistrati (l. 27 febbraio 2015, n. 28), cit., coll. 317-326, G. M. Salerno, Risarcibilità, colpa grave, rivalsa: ecco le novità, in Guida al dir., 2015, 13, p. 23 e ss. e F. Bonaccorsi, La nuova legge sulla responsabilità civile dello Stato per l’illecito del magistrato, in Danno e resp., 2015, 5, p. 445 ss. Per un esame delle altre legislazioni in materia v. anche L. Bairati, La responsabilità per fatto del giudice in Italia, in Francia e Spagna, fra discipline nazionali e modello europeo, Napoli 2013, ove un’ampia disamina anche dell’orientamento assunto dalla Corte di Giustizia in questa materia a p. 65 ss.

[12] Questa scelta è stata riconosciuta invero legittima dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 243 del 28 aprile 1989, in Foro it., 1989, I, col. 3064 ss., la quale, nel respingere la questione di costituzionalità sollevata allora dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ha ritenuto che non possa essere confusa la posizione soggettiva dedotta in giudizio con il rapporto processuale, instaurato mediante l’esercizio dell’azione, in quanto il processo dà luogo ad un rapporto giuridico autonomo rispetto a quello che forma materia della pretesa, sicché «la situazione giuridica processuale, di cui sono titolari le parti, costituisce un diritto soggettivo perfetto, anzi un diritto fondamentale, al quale è correlato il dovere degli organi giudiziari di rendere effettiva la tutela giurisdizionale» e «non può pertanto esser dubbio che il mancato o inesatto inadempimento di questo dovere integri la lesione del detto diritto soggettivo, al quale è estranea e quindi indifferente la posizione, eventualmente di interesse legittimo, di cui si chiede la tutela giurisdizionale».

[13] Su questo punto v., specificamente, M. P. Chiti, La responsabilità civile dei giudici quale “Cavallo di Troia” per modificare il riparto di giurisdizione, in Giorn. di dir. amm., 2012, 10, p. 1008 ss.

[14] Sulla giurisprudenza della Corte v., tra gli altri, la trattazione L. Bairati, La responsabilità per fatto del giudice in Italia, in Francia e Spagna, cit., p. 65 ss.

[15] In questo senso v., tra gli altri, V. Vigoriti, voce Responsabilità del giudice – I) Responsabilità del giudice, dei suoi ausiliari, del p.m., in Enc. giur. Treccani, XXVI, Roma, 1991, p. 3.

[16] Così la già citata sentenza della Corte costituzionale nella sentenza n. 243 del 28 aprile 1989, in Foro it., 1989, I, col. 3064 e ss. V. anche nt. 12.

[17] La stessa Corte costituzionale si è pronunciata favorevolmente, di recente, sulla “tenuta” della riforma, quanto all’abolizione del filtro sull’ammissibilità dell’azione risarcitoria, ma anche con considerazioni di più ampio respiro sistematico, nella sentenza n. 164 del 12 luglio 2017, che può leggersi in Resp. civ. prev., 2018, 2, p. 484 e ss., con nota di F. Cortese e S. Penasa, Ancora sulla responsabilità civile e disciplinare dei magistrati ordinari: due pronunce sintomatiche. Sul punto v. anche le osservazioni di S. Boccagna, La parabola della responsabilità civile dei magistrati, cit., p. 1205.

[18] V., sul punto, G. Tropea, Diritto alla sicurezza giuridica nel dialogo “interno” ed “esterno” tra Corti, in F. Francario e M. A. Sandulli (a cura di), Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisprudenziali e diritto alla sicurezza giuridica, Napoli 2018, p. 515.

[19] Corte cost., 26 maggio 2017, n. 123, in Foro it., 2017, I, col. 2180 e ss., con nota di E. D’Alessandro, Il giudicato amministrativo (e quello civile) per ora non cedono all’impatto con la Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale sottolinea la certezza del diritto, garantita dalla res iudicata anche a tutela dei terzi, pure a fronte di giudicati nazionali che siano stati poi contraddetti da una pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, senza ammettere la possibilità di revocare la sentenza amministrativa e negando, quindi, che la parte abbia diritto incondizionatamente ad una pronuncia “giusta”, anche a fronte di una successiva sentenza della Corte, che accerti la lesione di un diritto fondamentale da parte del giudice nazionale. Sul tema v. anche P. Pirrone, Obbligo di conformazione alla pronuncia della Corte di Strasburgo e revocazione della sentenza amministrativa: la sentenza n. 123/2017 della Corte costituzionale, in Riv. dir. int., 2018, 2, p. 515 e ss. e N. Paolantonio, Riapertura del processo, giurisprudenza CEDU e giudicato nazionale: un irragionevole orientamento della Corte costituzionale, in F. Francario e M. A. Sandulli (a cura di), Principio di ragionevolezza, cit., p. 275 ss.

[20] Secondo quanto prevede, del resto, l’art. 4, comma 2, della l. n. 117 del 1988, stabilendo che «l’azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando siano esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica e la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell’ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno». Sul punto v. l’ampia analisi di S. Boccagna, Competenza e termini, in in F. Auletta, S. Boccagna e N. Rascio (a cura di), La responsabilità civile dei magistrati, cit., p. 213 ss.

[21] Su questo punto v., in particolare, la condivisibile riflessione di M. P. Chiti, La responsabilità civile dei giudici, cit., p. 1008, il quale rilevava, dopo la pronuncia della Corte di Giustizia e ben prima della riforma del 2015, che «estendendo la responsabilità del giudice a qualsiasi forma di violazione manifesta del diritto, si dà l’opportunità al giudice dell’azione di risarcimento, ovvero al giudice ordinario (anche quello di merito, e quindi con più gradi di giudizio) di sindacare l’operato del giudice amministrativo, di fatto vanificando la sua giurisdizione» e che «ne conseguirebbe anche un inedito ricorso per Cassazione al di fuori della tassativa previsione dell’art. 111, c. 8, Cost. del ricorso per soli motivi inerenti alla giurisdizione».

[22] Corte cost., 18 gennaio 2018, n. 6, in Foro it., 2018, I, col. 376. Al riguardo v., tra gli altri, anche la riflessione di M. Mazzamuto, Il giudice delle leggi conferma il pluralismo delle giurisdizioni, in Giur. it., 2018, 3, p. 704 e ss. Al riguardo v. anche le osservazioni di G. Tropea, Diritto alla sicurezza giuridica nel dialogo “interno” ed “esterno” tra Corti, cit., p. 522 ss.

[23] Così, ancora, Corte cost., 18 gennaio 2018, n. 6, in Foro it., 2018, I, col. 376.

[24] Il Memorandum sulle tre giurisdizioni superiori si può leggere in Foro it., 2018, V, coll. 57-61, con particolare riferimento al punto 4): «valutare, previe opportune consultazioni al proprio interno e con i competenti organi di autogoverno, la possibilità di promuovere l’introduzione di norme, a Costituzione invariata, che consentano forme di integrazione degli organi collegiali di vertice con funzioni specificamente nomofilattiche delle tre giurisdizioni (sezioni unite civili della Corte di cassazione, adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sezioni riunite della Corte dei Conti) con magistrati di altre giurisdizioni, quando si trattino questioni di alto e comune rilievo nomofilattico, ivi comprese, per le sezioni unite civili della Cassazione, quelle attinenti alla giurisdizione».

[25] Questo dibattito, che ha interessato esponenti dei vertici della magistratura, ordinaria, amministrativa e contabile nonché autorevoli esponenti della dottrina, si può leggere in Foro it., 2018, V, col. 62 ss. Una interessante analisi e sintesi delle diverse posizioni in G. Tropea, Diritto alla sicurezza giuridica nel dialogo “interno” ed “esterno” tra Corti, cit., p. 478 ss.

[26] A. Travi, La responsabilità civile e i giudici amministrativi, cit., col. 340. L’Autore, fedelmente alla propria impostazione, osserva peraltro che «il tema della distinzione fra le due giurisdizioni e della prospettiva ideale di una giurisdizione unica in questo caso non assume un rilievo specifico, ma ancora volta la soluzione rappresentata da giurisdizioni separate evidenzia inconvenienti molto seri». Sembra a chi scrive, tuttavia, che il problema debba essere rovesciato poiché, ferma e incontestabile, almeno allo stato, la scelta della doppia giurisdizione da parte della nostra Costituzione, gli inconvenienti sono dati proprio dalla devoluzione del sindacato sull’errore giurisdizionale al solo giudice civile anche in materie che esulano dalla sua giurisdizione a Costituzione invariata. Anche F. De Santis di Nicola, Responsabilità per dolo o colpa grave, in F. Auletta, S. Boccagna e N. Rascio (a cura di), La responsabilità civile dei magistrati, cit., p. 121, si mostra avvertito del problema, allorché rileva la possibilità che «l’azione di responsabilità ex art. 2, l. 117/1988 sia volta a denunciare, innanzi al giudice ordinario, la violazione manifesta del diritto euro-unitario compiuta da parte del Consiglio di Stato o della Corte dei conti, nei rispettivi ambiti di giurisdizione» e a introdurre, in modo surrettizio, un sindacato della Corte di cassazione, in sede di giudizio ai sensi dell’art. 2 della l. n. 117 del 1988, sull’interpretazione della legge ad opera di tali organi che, invece, parrebbe preclusa dall’art. 111, 8° comma, Cost. Sul tema v., comunque, ancora le riflessioni di M. P. Chiti, La responsabilità civile dei giudici, cit., pp. 1011-1012.

[27] Così, ancora, M. P. Chiti, La responsabilità civile dei giudici, cit., p. 1011.

[28] Sul punto v., peraltro, la riflessione di M. Mazzamuto, Il giudice delle leggi conferma il pluralismo delle giurisdizioni, cit., p. 706.

[29] In questo senso A. Travi, La responsabilità civile e i giudici amministrativi, cit., coll. 339-340.

[30] Lo nota ancora una volta A. Travi, La responsabilità civile e i giudici amministrativi, cit., col. 339.

[31] V., per una recente panoramica sul sindacato del giudice amministrativo sugli atti delle Autorità amministrative indipendenti, M. Filice, Gli sviluppo del controllo giurisdizionale sull’attività delle Autorità indipendenti, in Giorn. di dir. amm., 2018, 6, p. 787 ss. nonché, sull’inquadramento del problema nell’ambito del diritto convenzionale, M. Allena, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche complesse: orientamenti tradizionali versus obblighi internazionali, in Dir. proc. amm., 2012, p. 1602 ss. Di estremo interesse anche A. Preto e B. Carotti, Il sindacato giurisdizionale sulle Autorità indipendenti: il caso dell’AGCOM, in Riv. trim. dir. pubbl., 2016, p. 123 ss. Sullo specifico aspetto del sindacato del giudice amministrativo sugli atti adottati dall’Autorità Nazionale Anticorruzione in attuazione del nuovo codice dei contratti pubblici – il d. lgs. n. 50 del 2016 – v, tra gli altri, F. Cintioli, Il sindacato del giudice amministrativo sulle Linee guida, sui pareri del c.d. precontenzioso e sulle raccomandazioni di ANAC, in Dir. proc. amm., 2017, 2, p. 381 ss.

[32] Per questa complicata vicenda, di cui non si può dare conto compiutamente in questa sede, v. tra gli altri M. Lipari, L’insicurezza giuridica del diritto EU: l’indeterminatezza delle regole della direttiva ricorsi e la giurisprudenza pretoria del CGUE, in F. Francario e M. A. Sandulli (a cura di), Principio di ragionevolezza, cit., p. 411 ss. nonché R. Villata, La (almeno per ora) fine di una lunga marcia (e i possibili effetti in tema di ricorso incidentale escludente nonché di interesse legittimo quale figura centrale del processo amministrativo), in Riv. dir. proc., 2018, p. 325 ss.

[33] G. Tropea, Diritto alla sicurezza giuridica nel dialogo “interno” ed “esterno” tra Corti, cit., p. 508 ss.

[34] Un esempio di tale cauto, inevitabile, atteggiamento da parte della giurisprudenza amministrativa si coglie nella recente sentenza non definitiva di Cons. St., sez. VI, 2 marzo 2018, n. 1308, laddove il Collegio giudicante, pur consapevole della «manifesta infondatezza della pretesa della società ricorrente e della ingiustificata protrazione dei tempi del processo collegati alla pendenza della questione pregiudiziale, al solo fine di ottemperare al dovere di rinvio pregiudiziale da parte del Giudice nazionale di ultima istanza ed in considerazione del fatto che l’inosservanza di siffatto dovere determina una diretta responsabilità dello Stato membro di carattere sostanzialmente oggettivo (Corte giust. 30 settembre 2003, causa C-224/01, Kobler; successivamente, 13 giugno 2006, causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo; 24 novembre 2011, causa C-379/10, Commissione Europea c. Repubblica italiana), nonché la responsabilità civile del magistrato ai sensi dell’art. 2, comma 3-bis, l. n. 117 del 1988 come introdotto dalla l. n. 18 del 2015», ha rimesso alla Corte di giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale «se l’art. 3, comma 3, lett. a) della Direttiva 2009/28/CE debba essere interpretato – anche alla luce del generale principio di tutela del legittimo affidamento e del complessivo assetto della regolazione apprestata dalla Direttiva in punto di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili – nel senso di escludere la compatibilità con il diritto UE di una normativa nazionale che consenta al Governo italiano di disporre, con successivi decreti attuativi, la riduzione o, financo, l’azzeramento delle tariffe incentivanti in precedenza stabilite».

[35] Lo nota ancora una volta A. Travi, La responsabilità civile e i giudici amministrativi, cit., col. 339, il quale auspica, per parte sua, che «la nuova legge possa sostenere un cambiamento nelle prassi dei giudici amministrativi, rendendoli più attenti all’esigenza di una ricostruzione puntuale e autonoma dei fatti».

[36] Sul tema v. anche M. Giavazzi, L’effetto utile dell’effetto diretto delle norme UE e l’interpretazione valutativa delle norme di contenuto vago: una riflessione sui limiti del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica, in www.giustamm.it, n. 8 – 2018 nonché F. Goisis, La Full jurisdiction sulle sanzioni amministrative: continuità della funzione sanzionatoria v. separazione dei poteri, in Dir. amm., 2018, 1, p. 1 ss.

[37] A. Romano Tassone, Giudice amministrativo e interesse legittimo, in Dir. amm., 2006, 2, p. 287.

[38] In questo senso v. A. Cassatella, L’effetto sostitutivo della sentenza di annullamento, in Giorn. di dir. amm., 2016, 1, p. 99.

[39] Sul punto v. F. Manganaro, Il giudizio di ottemperanza come rimedio alle lacune dell’accertamento, in Dir. proc. amm., 2018, 2, p. 534 ss.

[40] V., per un significativo esempio attinente alla responsabilità civile del giudice amministrativo, Cass., sez. I, 13 dicembre 2002, n. 17843, in Foro amm., C.d.S., 2002, 12, 3115, proprio relativa a pronuncia emessa dal Consiglio di Stato in sede di ottemperanza.

[41] Sulla sentenza amministrativa “giusta” v., tra gli altri, M. Luciani, Il “giusto” processo amministrativo e la sentenza amministrativa “giusta”, in Dir. proc. amm., 2018, 1, p. 36 ss. e, in particolare, p. 56 ss.

[42] Su questo aspetto del danno non patrimoniale, ora riconosciuto in via generale dall’art. 2, comma 1, della l. n. 117 del 1988, v., in particolare, F. De Santis di Nicola, Responsabilità per dolo o colpa grave, in F. Auletta, S. Boccagna e N. Rascio (a cura di), La responsabilità civile dei magistrati, cit., p. 181 nonché F. Bonaccorsi, La nuova legge sulla responsabilità civile, cit., p. 446.

[43] In ordine al rapporto tra giurisdizione amministrativa e diritti fondamentali v., da ultimo, la trattazione di L. Tarantino, Il giudice amministrativo al cospetto dei diritti fondamentali, in Urb. e app., 2018, 6, p. 735 ss. nonché L. Galli, I diritti fondamentali e giudice amministrativo: uno sguardo oltre confine, in Dir. proc. amm., 2018, 3, p. 978 ss.

[44] Sulla proposta di integrare i collegi della Cassazione da parte del Memorandum, eventualmente da applicarsi anche in questa materia, v. supra § 2. Auspica in via generale l’istituzione di un Tribunale dei conflitti a composizione mista, sul modello francese, già preconizzata nel 1893 da Lodovico Mortara, G. Tropea, Diritto alla sicurezza giuridica nel dialogo “interno” ed “esterno” tra Corti, cit., p. 480. In merito v. anche M. Mazzamuto, Il giudice delle leggi conferma il pluralismo delle giurisdizioni, cit., p. 708.

[45] Corte cost., 12 luglio 2017, n. 164, in Resp. civ. prev., 2018, 2, p. 502.

[46] V., tra gli altri, S. Boccagna, La parabola della responsabilità civile dei magistrati, cit., p. 1208.

[47] Sulla centralità di questo valore v. ancora le riflessioni di G. Tropea, Diritto alla sicurezza giuridica nel dialogo “interno” ed “esterno” tra Corti, cit., p. 527.

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