15/01/2019 - Interdittiva antimafia può fondarsi su fatti risalenti nel tempo
Interdittiva antimafia può fondarsi su fatti risalenti nel tempo
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 09/10/2018 n° 5784
Pubblicato il 14/01/2019
La c.d. interdittiva prefettizia antimafia, disciplinata dagli artt. 91 e ss., del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, costituisce una misura preventiva volta ad impedire i rapporti contrattuali con la P.A. di società, formalmente estranee ma, direttamente o indirettamente, collegate con la criminalità organizzata.
Quali sono i presupposti su cui si basa l'interdittiva? Il collegamento con la criminalità organizzata può essere desunto da fatti risalenti nel tempo?
A queste domande risponde il Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza 9 ottobre 2018, n. 5784.
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Il fatto
Il caso trae origine da un contratto d'appalto di servizi affidato dall'A.E. ad un Raggruppamento Temporaneo di Imprese, nel quale, a seguito di verifiche da parte dell'Amministrazione prefettizia, venivano riscontrati elementi di infiltrazione mafiosa in capo ad un'impresa mandante. Per effetto di tale accertamento l'amministrazione adottava un provvedimento inibitorio chiedendo alla mandante capogruppo di estromettere l'impresa mandataria oggetto di interdittiva. Tale provvedimento veniva impugnato dinanzi al TAR del Lazio il quale, in accoglimento, annullava l'interdittiva.
La funzione dell'interdittiva antimafia
Le c.d. informative o interdittive antimafia costituiscono uno strumento preventivo di Pubblica Sicurezza diretto ad arginare la penetrazione della criminalità organizzata di stampo mafioso, nel tessuto economico e produttivo della società ed evitare che in tal modo possa aumentare la propria ricchezza, la propria forza e pericolosità. In altri termini l’interdittiva antimafia, di cui agli artt. 91 e ss., d.lgs. 6 settembre 2011, n.159, permette il prevenire rapporti contrattuali tra la pubblica amministrazione ed imprese che possono essere, direttamente o indirettamente, colluse con organizzazioni criminali a sfondo mafioso, impedendo il contatto dell’imprenditore in combutta con le organizzazioni mafiose con gli apparati pubblici. Essa è fondata su una valutazione di tipo prognostico e presuntivo circa la sussistenza di pericoli di infiltrazione e ciò a prescindere dall'accertamento di responsabilità penali. In tal senso, per l'applicazione dell'interdittiva occorrono idonei e specifici elementi di fatto "obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose" e non "è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso ma un" "quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata" (cfr, tra le altre, Cons. di Stato, Sez. III, 1 settembre 2014, n. 4450 e prima Cons. di Stato, Sez. III, 28 novembre 2013, n. 5697).
D’altronde, anche il legislatore nel disciplinare l'informativa interdittiva antimafia su base indiziaria ha posto il suo fondamento nella ragionevole esigenza del bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall'art. 41 Cost. e l'interesse pubblico alla salvaguardia dell'ordine pubblico e alla prevenzione dei fenomeni mafiosi che, del resto, mediante l'infiltrazione nel tessuto economico e nei mercati, “compromettono anche - oltre alla sicurezza pubblica - il valore costituzionale di libertà economica, indissolubilmente legato alla trasparenza e alla corretta competizione nelle attività con cui detta libertà si manifesta in concreto nei rapporti tra soggetti dell'ordinamento” (Cons. di Stato, Sez. III, 9 ottobre 2018, n. 5784).
I criteri di valutazione
Come poc’anzi accennato, l’interdittiva antimafia si fonda su una valutazione di tipo prognostico e presuntivo circa la sussistenza di pericoli di infiltrazione. Occorre, però, verificare se gli elementi "sintomatici ed indiziari" individuati siano sufficienti a far ritenere come "probabile" o "ragionevole" il rischio delle infiltrazioni. Peraltro, è bene precisare che al giudice amministrativo- chiamato alla valutazione di tali elementi- non è certamente richiesta un'analisi del merito, posto che lo stesso deve limitarsi a valutare la coerenza logica e l'aderenza rispetto alle risultanze dell'istruttoria. D'altro canto, non è nemmeno richiesto al giudice il raggiungimento di una prova di assoluta certezza probatoria degli elementi di infiltrazione mafiosa, essendo sufficiente una valutazione sulla base della regola causale del "più probabile che non", integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali-qual è quello mafioso- e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio.
Quindi, ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali - secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale - sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d'altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. di Stato, Sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).
La decisione
In applicazione dei suddetti principi il Consiglio di Stato, in accoglimento del ricorso principale e di quello incidentale, ha ritenuto la sentenza di primo grado censurabile, in quanto non avrebbe tenuto conto di una serie di elementi indiziari imputabili ad una delle imprese con riferimento a:
-
grave irregolarità relativa alla presenza di un amministratore di fatto;
-
interposizione fittizia di persone nella intestazione delle quote societarie;
-
condanne plurime per gravi reati riportate dall'amministratore di fatto.
Tali elementi, infatti, venivano ritenuti non rilevanti dal giudice di primo grado a fronte della mancanza di univocità e attualità degli stessi. Nella sentenza in esame, invece, aderendo ad un consolidato orientamento, il Consiglio di Stato ha ritenuto tali elementi congrui, obiettivi, concreti e idonei a dimostrare l'attualità del collegamento con ambienti malavitosi e il conseguente condizionamento della società in questione da parte della criminalità organizzata ha stabilito che “l'interdittiva antimafia non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti compiuti in sede penale di carattere definitivo, ma ben può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale da parte della criminalità organizzata” (vd. tra le altre, Cons. di Stato, Sez. III, n. 4450 del 2014; Cons. di Stato, Sez. III, n. 3759 del 2014). In ogni caso, ribadiscono i giudici di Palazzo Spada, non sarebbe necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l'interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi, nel loro insieme, un valore sintomatico e indiziario e con l'ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo nel caso in cui questi vadano a comporre un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.
In definitiva, “l'interdittiva antimafia può legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché dall'analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività di impresa” (Consiglio di Stato, sez. III, Sentenza 09/10/2018 n° 5784; Cfr. Consiglio di Stato sez. III 16 maggio 2017 n. 2327 Consiglio di Stato sez. III 05 maggio 2017 n. 2085).
(Altalex, 14 gennaio 2019. Nota di Pasquale Fornaro)