08/01/2019 - Le Unioni di Comuni sono mere forme istituzionali di associazione tra Comuni
Le Unioni di Comuni sono mere forme istituzionali di associazione tra Comuni
di Federico Gavioli - Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 7024, del 12 dicembre 2018, ha ribadito che le unioni di Comuni sono mere forme istituzionali di associazione tra Comuni per l'esercizio congiunto di funzioni o servizi di loro competenza affermando, tuttavia, un importante principio ai fini della "soggettività giuridica per l'affidamento del servizio di riscossione coattiva delle sanzioni per violazioni del Codice della Strada".
Di seguito di illustrano gli aspetti principali della sentenza del Consiglio di Stato.
Il contenzioso amministrativo
Una SRL ha interposto appello nei confronti della sentenza del dicembre 2016, del Tribunale amministrativo regionale, che ha respinto il suo ricorso in relazione alla determinazione del 19 maggio 2016, con cui il Comandante della Polizia locale di un Unione Comunale ha indetto la procedura negoziata per l'affidamento del servizio di riscossione coattiva delle sanzioni per violazione del Codice della Strada, nonché il bando di gara, nella parte in cui ha previsto come requisito di partecipazione il possesso del capitale sociale interamente versato in misura pari o superiore a cinque milioni di euro.
Si tratta della procedura negoziata (telematica, con il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa) sotto-soglia, finalizzata all'affidamento in concessione del servizio di riscossione delle sanzioni amministrative, e conclusasi con l'aggiudicazione (allo stato degli atti, ancora proposta) in favore di una società concorrente.
Con il ricorso al TAR la società ha dedotto l'illegittimità della gara, avviata senza garantire alcuna forma di pubblicità, ed in particolare senza previa pubblicazione dell'avviso per la predisposizione di un'indagine di mercato e senza selezione dagli elenchi degli operatori economici, lamentando altresì il mancato invito al gestore uscente (la società ricorrente che era subentrata in forza di contratto di affitto di ramo di azienda), nonché la circostanza che la commissione giudicatrice sia stata nominata lo stesso giorno del termine di scadenza delle offerte. La stessa pubblicazione, peraltro incompleta, sul sito dell'Unione della determina di indizione della procedura, è avvenuta dopo che si era consumato il termine per la presentazione delle offerte, circostanza, questa, che le ha precluso di partecipare.
Con motivi aggiunti ha censurato la previsione del bando di gara, richiedente, tra i requisiti economici di partecipazione, un capitale sociale interamente versato almeno pari o superiore a cinque milioni di euro.
Il TAR ha respinto il ricorso avverso il bando di gara, ritenendo legittima la prescrizione dello stesso che richiede un capitale versato di almeno cinque milioni di euro per partecipare alla gara, ai sensi di quanto previsto dall'art. 3-bis, del D.L. n. 40 del 2010, e dichiarato inammissibile il ricorso principale avverso gli atti di gara nell'assunto della SRL ricorrente, che non essendo in possesso del requisito economico previsto dalla lex specialis, non avrebbe potuto partecipare alla procedura selettiva.
L'analisi del Consiglio di Stato
I giudici di Palazzo Spada evidenziano che, con il primo motivo di appello la SRL ricorrente, critica la sentenza che ha respinto i motivi aggiunti avverso la prescrizione del bando e del disciplinare di gara, prevedente, quale requisito di capacità economica e finanziaria di partecipazione alla gara, la presenza di un capitale sociale interamente versato "almeno pari o superiore a cinque milioni di euro", in asserita violazione od erronea interpretazione dell'art. 3-bis, D.L. n. 40 del 2010, che determina differenziate misure di capitale minimo in funzione del numero degli abitanti costituenti la popolazione nei cui confronti viene svolta l'attività di accertamento e riscossione dei tributi; in particolare contesta l'assunto motivazionale secondo cui l'Unione costituisca un soggetto unico raggruppante sette Comuni, ciascuno con meno di 10.000 abitanti, ma per un totale di 37.593 abitanti, allegando che si tratti invece di un'aggregazione di singoli enti comunali, con la conseguenza che doveva ritenersi sufficiente un capitale sociale pari ad 1 milione di euro, con conseguente illegittimità della lex specialis.
Per i giudici di Palazzo Spada il motivo di ricorso è infondato.
L'art. 3-bis, D.L. n. 40 del 2010, al comma 1, stabilisce che, per l'iscrizione all'albo dei soggetti abilitati ad effettuare, anche disgiuntamente, attività di accertamento e di riscossione dei tributi dei Comuni, le società devono avere un capitale interamente versato:
- non inferiore ad 1 milione di euro in caso di Comuni con popolazione fino a 10.000 abitanti, così anche gestendo contemporaneamente più Comuni, purché non superino complessivamente 100.000 abitanti (lett. a);
- non inferiore a 5 milioni in caso di Comuni con popolazione fino a 200.000 abitanti (lett. b).
Nella fattispecie controversa è incontestato che l'Unione Comunale appellata abbia una popolazione complessiva di 37.593 abitanti; ai fini del decidere occorre dunque capire se per la stessa sia richiesto il capitale minimo di 1 milione di euro (valorizzando il profilo del servizio svolto per otto Comuni, ciascuno con popolazione inferiore a 10.000 abitanti) ovvero di 5 milioni di euro, valorizzando il dato normativo che definisce l'Unione dei Comuni come «l'ente locale costituito da due o più comuni, di norma contermini, finalizzato all'esercizio associato di funzioni e servizi» (art. 32, D.Lgs. n. 267 del 2000), ovvero anche, con declinazione al plurale, come «enti locali costituiti da due o più comuni per l'esercizio associato di funzioni o servizi di loro competenza» (art. 1, L. n. 56 del 2014).
La sentenza appellata ha ritenuto che l'Unione di Comuni sia ente locale a sé stante, distinto dall'esercizio associato di funzioni.
Tale soluzione risulta corretta in "conformità della littera legis ed anche per dare un senso alla distinzione tra unione di comuni ed esercizio associato di funzioni e servizi, di cui all'art. 33 del TUEL.
Il Consiglio di Stato osserva che il " quadro ermeneutico è un po' complicato dalla sentenza 26 marzo 2015, n. 50 della Corte costituzionale che ha interpretato le Unioni di Comuni alla stregua di mere forme istituzionali di associazione tra Comuni per l'esercizio congiunto di funzioni o servizi di loro competenza.
Ma occorre riconoscere che, quand'anche fosse corretta tale soluzione, per cui l'Unione dei Comuni non possa ritenersi ente territoriale ulteriore e diverso rispetto ai Comuni che la originano, il risultato sarebbe destinato a non cambiare ai fini che qui ci occupano, atteso che anche un siffatto "ufficio Comune" realizzerebbe comunque un'imputazione a sé dell'atto e dunque anche della concessione, oggetto della gara, con la conseguenza che dovrebbe in ogni caso procedersi alla sommatoria degli abitanti dei Comuni facenti parte dell'unione per stabilire il parametro di capitale sociale minimo richiesto dalla norma. In altre parole, come condivisibilmente allegato nel controricorso, «il servizio messo a gara riguarda […] la riscossione di entrate di competenza di un unico centro di imputazione il cui bacino di utenza è di 37.593 abitanti». Non si è al cospetto di una pluralità di (contemporanee) concessioni per ciascun ente che compone l'Unione, come sarebbe nell'ipotesi di cui sub lett. a), ma di un'unica concessione, rispetto alla quale l'Unione, prima ancora che stazione appaltante, è committente e destinataria della prestazione. Ne discende che la fattispecie ricade nell'ambito dell'art. 3-bis, comma 1, lett. b), D.L. n. 40 del 2010, con il corollario che legittimo è il requisito di capacità economica e finanziaria prescritto" nel bando di gara.
Il secondo motivo di appello critica poi la sentenza con riguardo alla statuizione di inammissibilità del ricorso principale, indirizzato nei confronti degli atti di gara, per carenza di interesse della SRL ricorrente, nella considerazione che la stessa vantava un capitale di soli euro 1.600.000, essendole pertanto preclusa la partecipazione alla procedura negoziata, senza che possa riconoscersi valore alla astratta possibilità di avvalersi, in caso di aggiudicazione, della capacità economica di altro soggetto. Deduce la società ricorrente, anzitutto, l'erroneità della pronuncia basata sulla mera eventualità (e non certezza) che la SRL non rinvenga un'impresa ausiliaria per il prestito dei requisiti; inoltre sottolinea come sia viziata l'indizione della gara in assenza di qualsivoglia forma di pubblicità e trasparenza, circostanza di per sé impeditiva del preventivo reperimento delle risorse necessarie per la partecipazione, e dunque anche di un soggetto idoneo per l'avvalimento (peraltro sostituibile), e comunque allorchè sia azionato in giudizio un interesse strumentale alla rinnovazione della procedura.
Anche il secondo motivo del ricorso, per il Consiglio di Stato, è infondato in quanto la critica che si basa sulla mancanza di pubblicità della gara, correlata all'interesse strumentale, non merita condivisione, in quanto la procedura è stata legittimamente svolta, in conformità di quanto disposto dall'art. 36, comma 2, lett. b, D.Lgs. n. 50 del 2016, applicabile anche alle concessioni, secondo il rinvio contenuto nel successivo art. 164, per affidamenti di servizi sotto soglia di rilevanza comunitaria (nel caso di specie il valore è pari ad euro 122.661,01).