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13/02/2019 - Permesso di costruire in sanatoria e autorizzazione paesaggistica: la disciplina delle verifiche di compatibilità

tratto da quotidianopa.leggiditalia.it

Permesso di costruire in sanatoria e autorizzazione paesaggistica: la disciplina delle verifiche di compatibilità

di Michele Deodati - Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale

Una società richiedeva il permesso di costruire in sanatoria relativo alla realizzazione di una recinzione, posta a delimitazione dell'area di proprietà destinata a campeggio rispetto alla confinante zona demaniale. Nonostante il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica da parte della competente amministrazione comunale, la Soprintendenza annullava l'autorizzazione comunale, argomentando che le opere in progetto risultavano già eseguite, dunque la procedura applicabile doveva essere quella prevista dall'art. 167D.Lgs. n. 42 del 2004Codice del paesaggio. Ricevuta pertanto domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica, la stessa Soprintendenza la dichiarava inammissibile, in quanto la realizzazione della recinzione non rientrava nella casistica prevista dall'art. 146, comma 4, del Codice del paesaggio, secondo il quale i casi in cui l'autorizzazione paesaggistica in sanatoria può essere rilasciata successivamente alla realizzazione anche parziale delle opere, sono solo quelli previsti dai commi 4 e 5 dell'art. 167 Codice del paesaggio. Nel rigetto, la Soprintendenza ha aggiunto anche che soluzioni progettuali diverse, incentrate sulla realizzazione di una recinzione lignea infissa nel terreno, si sarebbero valutare una volta intervenuto il ripristino dello stato dei luoghi.

Eccezioni all'ordine di rimessione in pristino: casi e procedure

Vediamo dunque qual è la disciplina di legge in caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza del D.Lgs. n. 42 del 2004, per cui il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino, con le eccezioni di seguito indicate. In queste ipotesi l'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica con le procedure di cui al comma 5 dell'art. 167Codice del paesaggio. I casi sono i seguenti: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'art. 3D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

La procedura prevista è quella dettata dal comma successivo, secondo il quale il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma precedente presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L'importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1 dell'art. 167 Codice del paesaggio.

Il ricorso al TAR contro la Soprintendenza

L'atto negativo delle Belle Arti veniva così impugnato davanti al T.A.R., che lo annullava. Di seguito, una volta riproposta l'istanza, la società ha incassato un altro diniego. A questo punto è stato presentato un altro ricorso fondato su una serie di violazioni, tra cui: mancato rispetto del termine conclusivo del procedimento e difetto assoluto di motivazione. Anche questo ricorso è stato accolto dal Tribunale, che così ha argomentato, in sintesi:

- Il parere tardivo può comunque essere reso in ordine alla compatibilità paesaggistica dell'intervento, tuttavia perde il carattere di vincolatività e deve essere autonomamente valutato dall'amministrazione deputata all'adozione dell'atto autorizzatorio finale;

- La Soprintendenza, la quale si è limitata ad affermare che la recinzione introdurrebbe "elementi dissonanti con la qualità paesaggistica dei luoghi interessati, interrompendo la fruibilità visiva, la godibilità del paesaggio costiero e del contesto naturalistico". La motivazione addotta ricade nella tautologia, limitandosi ad un certo enunciato senza illustrare le ragioni poste a suo fondamento e gli elementi di fatti idonei a confermarne le conclusioni. Questo perché il provvedimento finale è il terminale di un'istruttoria fondata su accertamenti di natura tecnica ovvero tecnico-discrezionale. Si afferma l'eventuale compatibilità di una staccionata lignea di dimensioni adeguate, senza tuttavia spiegarsi perché la stessa, invece, non interromperebbe la fruibilità visiva di quel contesto specifico.

L'appello al Consiglio di Stato: il valore dei pareri tardivi

Contro il pronunciamento del Tribunale, favorevole alla società ricorrente in primo grado, il MIBACT ha presentato appello al Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 895 del 6 febbraio 2019 lo ha parzialmente accolto.

In appello, il privato ha insistito sul carattere necessitato dell'intervento per lo svolgimento della propria attività, rilevando che l'impatto sul contesto ambientale è di fatto nullo. Inoltre, è stato rilevato come il superamento del termine perentorio per l'espressione del parere abbia reso illegittimo tale atto.

Circa tale ultimo aspetto, il Collegio ha richiamato la propria giurisprudenza in materia, in virtù della quale qualora non sia rispettato il termine di novanta giorni assegnato dall'art. 167, comma 5, del Codice del paesaggio, per la valutazione di compatibilità paesaggistica delle opere per le quali è stata chiesta la sanatoria, il potere dell'organo ministeriale continua a sussistere, ma l'interessato può proporre ricorso al giudice amministrativo, per contestare l'illegittimità dell'inerzia. La perentorietà del termine riguarda, in altre parole, non la sussistenza del potere, ma l'obbligo di concludere la fase del procedimento, obbligo che, ove rimasto inadempiuto, può essere dichiarato sussistente dal giudice, con le relative conseguenze, che sono le seguenti:

- possibilità di proporre il ricorso previsto dall'art. 117 del c.p.a. avverso il silenzio dell'amministrazione;

- legittimità del parere tardivo;

- il provvedimento conclusivo del procedimento deve far riferimento motivato al parere emesso dall'organo statale sia pure dopo il superamento del termine fissato.

In sentenza si richiama anche l'art. 20L. n. 241 del 1990, che esclude i procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e il paesaggio dalla formazione del silenzio-assenso.

In merito all'asserito difetto di motivazione, il Collegio d'appello ha invece ritenuto la stessa esaustiva. Più sopra, nella ricostruzione del quadro normativo vigente in materia di sanzioni per la violazione delle prescrizioni poste a tutela dei beni paesaggistici, abbiamo visto che l'intento del legislatore è orientato ad escludere qualsiasi forma di legittimazione del "fatto compiuto", poiché l'esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell'intervento. Il rigore del precetto è temperato soltanto da poche eccezioni tassative, tutte relative ad interventi privi di impatto sull'assetto del bene vincolato.

Il privato ha invece ottenuto l'accoglimento del motivo inerente l'illegittimità del provvedimento impugnato che ha omesso di esprimersi sulla nuova proposta progettuale consistente nella sostituzione della recinzione esistente con una nuova recinzione da realizzare con pilastrini in legno infissi nel terreno e rete metallica plastificata di colore verde di altezza pari a 2,00 m. Il mancato esame era stato motivato sostenendo l'estraneità dalla procedura di cui all'art. 167 del Codice del paesaggio. Il Collegio ha ritenuto che tale omissione di valutazione sia contraria al principio del divieto di aggravamento del procedimento e al principio di correttezza dei rapporti tra cittadino e amministrazione. A fronte di una precisa richiesta dell'istante - ha concluso il Consiglio di Stato - l'organo statale aveva il dovere di indicare subito, contestualmente al parere negativo espresso in ordine alla tipologia di recinzione non ammessa a sanatoria, gli accorgimenti di natura costruttiva idonei a rendere compatibile le prerogative proprietarie di delimitazione del fondo con la tutela del paesaggio.

Cons. di Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 895

Art. 167D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (G.U. 24 febbraio 2004, n. 45, S.O.)

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