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24/12/2019 - Per farsi rimborsare le spese legali, l’assoluzione perché non costituisce reato non è sufficiente

tratto da lapostadelsindaco.it
Per farsi rimborsare le spese legali, l’assoluzione perché non costituisce reato non è sufficiente
La Rivista del Sindaco  24/12/2019 Modelli di Gestione
Se un dipendente pubblico mira al rimborso delle spese legali sostenute per la propria difesa in un processo penale, la formula “perché il fatto non costituisce reato” presente nella sentenza assolutoria non è sufficiente a questo fine, in caso ci si trovi in presenza di una condotta in contrasto con gli interessi dell’ente, ovvero in quei casi in cui il reato ipotizzato abbia l’ente come parte offesa. In aggiunta, il datore di lavoro pubblico deve tutelare i propri diritti e interessi, ed evitare di incorrere nel danno erariale, per eseguire una legittima procedura di rimborso. Il Tar della Sicilia ha raggiunto questa conclusione con la sentenza 2709/2019, con cui conferma il rifiuto del rimborso delle spese legali richieste da un dipendente pubblico.
Dopo essere stato assolto dal reato di abuso d’ufficio, un dipendente pubblico ha richiesto il rimborso delle spese legali sostenute nel processo penale, che si era concluso con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Il dipendente riteneva di meritare il rimborso poiché il processo riguardava fatti relativi a ragioni di servizio legate al rapporto d’impiego con l’ente pubblico. Tuttavia, l’ente ha negato il rimborso, basandosi su un aspetto dell’assoluzione: pur riscontrata la carenza di elementi relativi al reato, erano emersi comportamenti direttamente in contrasto con gli interessi dell’ente. Il dipendente aveva tenuto condotte che non potevano rientrare con i canoni della legalità, imparzialità e con il buon svolgimento della funzione della pubblica amministrazione. Il rispetto di questi canoni è tuttavia un prerequisito indispensabile per sfruttare il diritto al rimborso delle spese legali sostenute.
Il Tar ha sottolineato come la sentenza di assoluzione testimoniava l’assenza di una partecipazione associativa al delitto, ma portando anche all’attenzione un palese conflitto d’interessi, all’interno del quale il dipendente ha operato consapevole di tenere una condotta oggettivamente illegittima.
A questo si aggiunge che i giudici amministrativi hanno posto l’attenzione sul fatto che il datore di lavoro pubblico deve agire sempre in tutela dei propri interessi e diritti, per poter attuare una legittima procedura di rimborso senza esporsi a possibili rilievi di danno erariale. Infatti, la normativa prevede anche l’obbligo per l’ente di scegliere un legale di comune accordo con il dipendente interessato. In pratica, nel caso in oggetto il dipendente era accusato di aver commesso un reato che aveva come parte offesa l’ente stesso, facendo quindi scattare un oggettivo conflitto di interessi, la cui conseguenza è stato il rifiuto della richiesta di rimborso.
Articolo di Loris Pecchia
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